Diritti

Lanciamo un SOS al mondo del lavoro

Basterebbe una luce, una mano tesa da parte delle aziende, per svoltare il destino agli invisibili, ai giovani Neet, alle persone disabili. Come dimostra Sting nel bellissimo video di The Hiring Chain
Dal video "The Hiring Chain", su YouTube.
Dal video "The Hiring Chain", su YouTube.
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30 aprile 2022 Aggiornato alle 06:30

La mamma di Giovanna ci prova da almeno dieci anni, da quando la figlia ha terminato gli studi, in un istituto professionale, a Milano, come operatrice commerciale. “Adesso basta. È tutto inutile”.

Giovanna appartiene a quelle che la Legge 68/99 definisce categorie protette, persone con invalidità superiore al 45%. Chi si trova in queste condizioni, disoccupato e ha più di 15 anni e meno di 65, può iscriversi alle liste del collocamento mirato, rivolgendosi ai Centri dell’impiego.

Le aziende che impiegano più di 15 dipendenti hanno l’obbligo di assumerne una certa quota. La mamma, almeno tre volte, è andata a rinnovare l’iscrizione all’elenco, ma non ha mai trovato un’azienda disponibile a dare un lavoro a Giovanna. La signora è una donna battagliera, per il futuro della figlia farebbe qualsiasi cosa. Ora, fiaccata, e dopo tanto tempo, si è fermata. Non ci crede più. Ogni volta che ripresentava quel modulo all’ufficio competente, si alimentavano aspettative che poi si sono infrante. Frustrazione, depressione, disillusione. Sconfitta. Sono convinto che la sua speranza si riaccenderebbe, di fronte a un’occasione vera.

La Festa dei Lavoratori giunge anche quest’anno carica di fatica, con diverse situazioni che paiono insanabili, ma anche con qualche feritoia di luce.

Ho preso a prestito la parola feritoia, dal mio parroco, don Walter Magnoni; è stato anche il responsabile del servizio per la pastorale sociale e del lavoro della Diocesi di Milano. In un altro contesto, ha messo in relazione la parola feritoia con ferita. Dentro il dolore e la fatica, c’è spazio per trovare la chiave e la speranza. Ma non da soli.

Lo scorso anno, in primavera, Coordown ha realizzato una campagna per sensibilizzare le aziende a dare un’opportunità di impiego alle persone con sindrome di Down. Sting ha prestato la sua voce, per una filastrocca gradevolissima. Sting, quello dei Police, di Message in a bottle.

La campagna internazionale “THE HIRING CHAIN”, il video (e la canzone) hanno avuto un enorme successo, con milioni di visualizzazioni nel mondo: Coordown fa comunicazione sociale per favorire l’inclusione nella scuola, nel lavoro e nello sport.

Risultato della campagna? Centinaia di contatti, grazie anche a Linkedin: le aziende hanno voluto capire di più. E, soprattutto, alcune decine di assunzioni andate a buon fine, in pochi mesi, con incarichi anche di responsabilità e in base alla competenza dei candidati. Numeri piccoli? Enormi, in un contesto del genere. Dietro questa macchina c’è gente che si prodiga giorno e notte, tanti genitori; come la mamma e il papà di Giovanna, che però sono soli e non sanno più che fare.

L’Italia ha raggiungo un record: è il Paese in cui ci sono più giovani NEET, Not in Employment, Education or Training; molti di più che in tutti gli altri Stati dell’Unione europea: sono oltre 3 milioni, il 25,1% dei giovani italiani. Hanno tra i 15 e i 34 anni; non studiano, non lavorano e non sono impegnati in percorsi di formazione.

Una gigantesca quantità di energie e intelligenza sprecate. Anche qui ci sono genitori, famiglie angosciate. Tutto ciò dentro un paradosso per cui 1 azienda su 10 (11%) in Italia cerca persone da assumere e non le trova, o fa molta fatica a individuarle, con le competenze necessarie.

Qualche anno fa, quando Fondazione Cariplo lanciò il progetto Neetwork, con l’obiettivo di riattivare mille giovani bloccati e invisibili, lanciammo una campagna di comunicazione sui social network. L’idea era che anche il Terzo Settore potesse fare la propria parte, coinvolgendo i ragazzi con tirocini e lavori; centinaia di organizzazioni non profit si sono messe a disposizione.

Risposero i nonni, gli zii, le mamme e i papà, preoccupati per i loro ragazzi. Qualcuno telefonò. Nei loro racconti, emergeva l’impotenza. Erano giovani particolarmente fragili, i più fragili, con basso, bassissimo livello di scolarizzazione, inattivi da diversi mesi, che non rispondevano alle politiche attive del lavoro; se non adeguatamente motivati, stimolati, ripresi, rischiano di rimanere in questa condizione, per sempre.

La solitudine è una costante che permea tante di queste storie. Un triste filo conduttore. Abbiamo preso consapevolezza che di fronte a un problema, molto spesso, la soluzione non si trova in internet, ma con le persone disposte a tendere una mano. Aspetto che si nota nelle testimonianze raccolte tra chi ha partecipato al progetto; fanno capolino nuovi sorrisi, abbozzati. Guardateli in questo video.

Dopo qualche mese, tirando le somme, erano venuti in superficie molti aspetti. Anche dei fallimenti. Alcuni ragazzi ci hanno provato, ma poi hanno abbandonato il progetto. Altri sono andati avanti. Matteo ha spiegato i suoi piccoli passi: riorganizzare gli impegni di ogni giornata è stato fondamentale. Miriam: è bellissimo uscire di casa per andare al lavoro, e sapere che imparerai qualcosa di utile, ma soprattutto troverai delle persone. Emanuele: quello che conta nella vita è che qualcuno ti dia l’opportunità di metterti in gioco. Domenica: nel momento in cui pensavo di non riuscire più a fare nulla si è aperta questa possibilità.

Una possibilità, con attorno una comunità che si occupa delle persone. Solitudine vs comunità.

Don Walter la chiamerebbe una feritoia, che dietro ha un grido di allarme.

Sting, nel 1979, cantava: “Salvatemi prima che cada nella disperazione. Spedirò un S.O.S. al mondo. Spero che qualcuno riceva il mio messaggio nella bottiglia. Passeggiando, non credevo ai miei occhi. Cento miliardi di bottiglie. Sembra che io non sia l’unico a essere solo”.

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