Diritti

Bilan, la prima redazione di sole donne in Somalia

È nata la prima redazione unicamente al femminile del Paese, finanziata dalle Nazioni Unite. Parlerà di violenza di genere e ruoli delle donne in politica e nell’imprenditoria
Photo credit: Bilan media
Photo credit: Bilan media
Chiara Manetti
Chiara Manetti giornalista
Tempo di lettura 5 min lettura
11 aprile 2022 Aggiornato alle 21:00

Chiaro e luminoso. È questo il significato di Bilan, il nome dato al primo progetto editoriale affidato esclusivamente a donne con sede in Somalia. Le sei giornaliste in redazione produrranno articoli e notizie per televisione, radio e media online, concentrandosi su quelle storie che spesso passano inosservate o, per scelta, non vengono raccontate.

Il progetto è finanziato dal Programma delle Nazioni Unite per lo Sviluppo, che opera in 170 Paesi e territori per sradicare la povertà e ridurre le disuguaglianze. Avrà sede a Mogadiscio e sarà ospitato da Dalsan Media Group, la principale stazione radiofonica e televisiva indipendente del Paese, in un piano interamente dedicato di un edificio della capitale somala, «ma rimane completamente indipendente, con un completo controllo editoriale», scrivono sul sito. Saranno infatti le giornaliste a decidere cosa coprire, quando e come.

Le professioniste di Bilan sono giovani, capaci, intraprendenti: vengono da tutta la Somalia e hanno accumulato anni di esperienza sul campo. La caporedattrice Nasrin Mohamed Ibrahim, che fa la giornalista dal 2010, ha avuto la vocazione quando frequentava le elementari: «Ho iniziato a difendere i diritti delle donne quando ho insistito sul fatto che anche noi avessimo diritto a giocare a calcio con i compagni». Negli anni ha lavorato per vari media, tra cui BBC Media Action, l’ente di beneficenza internazionale della rete britannica. «Ad alcune persone potrebbe non piacere il fatto che io giochi a calcio e guidi un team di media. Ma nessuno mi farà cambierà mai idea», scrive nella sua bio.

Poi c’è la sua vice, Fathi Mohamed Ahmed, laureata in Relazioni Internazionali e Diplomazia: «Saremo in grado di portare allo scoperto argomenti tabù. Le nostre sorelle, madri e nonne ci parleranno di questioni di cui non osano mai parlare con gli uomini». Tra le redattrici c’è Farhio Mohamed Hassan, che vuole raccontare «le donne che hanno successo nelle zone rurali, lontano dagli stereotipi delle nomadi che hanno perso tutto a causa della siccità, delle inondazioni e della guerra».

Poi Kiin Hasan Fakat, che è stata cresciuta ed educata in uno tra i più grandi campi nomadi del mondo, Dadaab: «Era piacevole rispetto alla Somalia, perché lì almeno c’era la pace». Per la collega Naciima Saed Salah, la prima sfida da superare è stata la sua famiglia: «Non erano felici che diventassi una giornalista. Credono che vada contro la nostra cultura e che le donne non debbano lavorare in un ambiente dominato dagli uomini». Situazione simile per Shukri Mohamed Abdi, cresciuta in un clan rurale per cui «nessuno dei suoi membri può diventare giornalista, specialmente le giovani donne. Veniamo dalla campagna, dove il concetto di essere giornalista non esiste».

Come dimostrano queste sei storie, in Somalia le giornaliste sono in difficoltà e nelle redazioni subiscono molestie sul lavoro e sono escluse dai ruoli decisionali: «I media somali sono un ambiente ostile per le giornaliste: sono disapprovate da una società che crede che il ruolo di una donna sia quello di stare a casa, cucinare e avere figli», ha spiegato Laylo Osman, presidente dell’Associazione somala per i diritti delle giornaliste, in una recente analisi condotta per l’UNDP Somalia.

La caporedattrice Ibrahim ha spiegato che «per troppo tempo le giornaliste somale sono state trattate come cittadine di serie B e le notizie locali hanno ignorato le storie e le voci di metà della popolazione». Basta tirare fuori una macchina fotografica o cercare di condurre un’intervista per accorgersene. Le figure istituzionali, poi, spesso si rifiutano di parlare con loro e chiedono che sia un uomo a porre le domande. Per non parlare delle promozioni e della formazione da cui vengono categoricamente escluse. Fino a oggi anche la copertura giornalistica ha rispecchiato questo trattamento nel Paese, ignorando quelle tematiche più care alle donne come l’assistenza all’infanzia, gli abusi domestici e la rappresentanza politica paritaria.

Come riporta il quotidiano britannico Guardian, Bilan è un progetto pilota della durata di un anno, ma secondo Jocelyn Mason dell’UNPD a Mogadiscio potrebbe diventare una realtà permanente. L’UNPD fornirà anche un programma a lungo termine di formazione e tutoraggio che coinvolgerà alcuni dei più grandi nomi provenienti dal panorama mediatico mondiale e somalo – tra cui giornalisti da BBC, Channel 4 e Al Jazeera -, e creerà una rete globale con le giornaliste che lavorano in ambienti altrettanto difficili – come l’Afghanistan - per darsi supporto reciproco e scambiarsi idee.

Per poter sviluppare la prossima generazione di giornaliste somale, l’organizzazione offrirà anche stage di sei mesi alle migliori studentesse di giornalismo dell’ultimo anno in due istituti della capitale, l’Università di Mogadiscio e la Somalia National University. E per la prima volta in Somalia, il racconto delle notizie sarà affidato alle donne.

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