Futuro

La scienza e il potere

Il metodo empirico che serve a coltivare la credibilità delle conoscenze scientifiche è l’essenza stessa della ricerca. Ma quando è coinvolto nel mercato del consenso politico rischia. Gli ideologi detrattori possono essere pericolosi. Eppure alla fine il risultato del confronto può essere sorprendente
Credit: Giorgio Encinas 

Tempo di lettura 4 min lettura
28 marzo 2024 Aggiornato alle 06:30

La credibilità della scienza è in fondo il suo cuore. Il metodo scientifico è stato analizzato dai grandi epistemologi, ma in tutti i casi si occupa di costruire teorie che possano cercare consenso perché sono basate su fatti e prove empiriche, come dice Michael Strevens (La macchina della conoscenza, Einaudi 2021).

Naturalmente, negli ultimi tempi è stata fortemente messa in discussione da alcuni politici e ideologi che hanno preferito costruire consenso intorno a emozioni come la paura, la rabbia e la gratificazione che prova chi si trova a dibattere soltanto con persone che condividono le medesime opinioni. Ma quali sono state le conseguenze di questa vera e propria battaglia contro la scienza?

Un risultato sorprendente è stato rilevato grazie alle ricerche di Jon Miller, dell’University of Michigan, pubblicate su Science and Public Policy per gli Stati Uniti.

Dal 2016, quando in pratica è entrata in giorno l’ideologia sintetizzata da Donald Trump, le opinioni degli americani sulla scienza sono molto cambiate. All’inizio del periodo, oltre tre quarti degli americani erano indifferenti alla scienza. Alla fine della presidenza Trump, anche a causa della pandemia, gli indifferenti erano scesi a un terzo.

Nello stesso periodo, la quota di coloro che non credono al lavoro degli scienziati è salita dal 2 al 13%. Ma la quota di coloro che hanno fiducia nella scienza è salita dal 22 al 57%.

La campagna anti-scientifica di Trump, insomma, ha risvegliato l’interesse sull’argomento. E ha chiaramente polarizzato l’opinione pubblica. Ma ha anche ottenuto l’effetto di mostrare che la maggioranza degli americani crede nella scienza. E anche tra i repubblicani ci sono più persone favorevoli alla scienza che contrarie.

Gli osservatori che si focalizzano sulla quantità di persone che disdegnano le conoscenze scientifiche quando si tratta di prendere decisioni pubbliche, dovrebbero prendere in considerazione anche la quantità crescente di persone che invece ritengono che quello che dice la scienza vada seguito attentamente.

Ultimamente, le istituzioni europee hanno lasciato perdere molte battaglie decisive per la transizione verde. Erano decisioni fondamentalmente dettate dalle scoperte scientifiche, per esempio sul clima e sulla biodiversità.

Le proteste degli agricoltori hanno convinto i governi di molti stati ad abbattere la proposta di legge sul restauro della natura che era arrivata, con molti compromessi, quasi in fondo all’iter normativo. Quelle proteste erano molto più visibili dell’opinione degli europei favorevoli alle indicazioni della scienza. E per questo sono state ascoltate di più. Ma il calcolo elettorale complessivo potrebbe essere stato sbagliato.

Per questo il dibattito aperto dal libro di Geoff Mulgan (When science meets power, Polity 2024) è essenziale.

Ci si accorge che la scienza è chiamata sempre più in causa quando si tratta di prendere decisioni politiche. Ma accade anche se si formi una sorta di attrito tra la razionalità della scienza e l’emotività della polemica politica.

Il punto è che mentre non ha molto senso chiedere alla scienza di diventare più emotivamente incisiva, invece, è importante supporre che alla politica tocchi il compito di fare sintesi tra le ragioni e le emozioni.

Solo così la politica esce dal piccolo mercatino del consenso quotidiano per essere capace di leadership.

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