Ambiente

Ci siamo dimenticati del pangolino

A inizio pandemia si credeva fosse la causa della diffusione del virus. Poi, il mammifero ricoperto di squame è finito nel dimenticatoio. Ma il traffico illegale di questa specie protetta non si è fermato
Tempo di lettura 5 min lettura
16 marzo 2022 Aggiornato alle 09:00

Quando a inizio 2020 è scoppiata la pandemia globale, per molto tempo ci si è concentrati sulle possibili origini e le cause. Tutt’oggi, oltre due anni dopo, non ci sono certezze sulle origini del virus che porta al Covid-19 ma per un momento abbiamo creduto che tutto fosse collegato a un particolare animale: il pangolino.

Questo mammifero, unico delle specie a essere interamente ricoperto di squame, a un certo punto era stato inizialmente identificato come il possibile “animale ospite”, quello che poteva aver agevolato il famoso salto di specie. Nel tempo, nonostante diversi studi, non ci sono state conferme o certezze relativamente a questa possibilità, ma per effetto delle prime notizie e soprattutto nel tentativo di bloccare ulteriori epidemie, per un po’ - con tanto di buone intenzioni della Cina - è stata dichiarata guerra al traffico illecito di specie selvatiche. Pangolino compreso.

Tra annunci di divieti di vendita nei wet market asiatici e promesse di toglierlo dalle liste della medicina tradizionale cinese, per qualche mese il pangolino si è allontanato - almeno sulla carta - dal suo triste destino: quello di essere il mammifero selvatico più trafficato al mondo. Poi, dopo tante belle parole, è tornato a essere sempre più desiderato e cacciato. Il problema rimane la domanda: il 99% delle esportazioni di pangolino è legato alla richiesta del mercato asiatico, soprattutto cinese.

Qui questo animale, di cui quattro specie vivono in Asia e altre quattro in Africa, è molto richiesto per svariate proprietà della medicina tradizionale: i cinesi lo desiderano in quanto migliorerebbe, a loro dire, la circolazione del sangue e avrebbe proprietà positive per le donne in gravidanza. Ma tra divieti e controlli, all’interno dell’Asia la caccia al pangolino - che fa parte delle specie CITES protette e che non dovrebbero essere commerciate - sta subendo un freno compensato da un altro sistema di approvvigionamento: i pangolini importati sempre di più dall’Africa.

Tonnellate di squame, ma anche di carne e resti, arrivano infatti soprattutto da Burundi, Repubblica Democratica del Congo, Uganda, passando spesso dalla Nigeria. Per le Nazioni Unite sono i mammiferi selvatici più richiesti. Si stima che solo tra il 2013 e il 2017 siano stati sequestrati quasi 250.000 chili di squame di 11.000 animali. Secondo Ong come Traffic, più della metà del numero di pangolini e sue parti sequestrati in Asia dal 2015 al 2021 proveniva dall’Africa.

Una recente analisi, pubblicata in febbraio, conferma la tendenza della rotta africana dopo l’analisi di ben 1.140 sequestri che hanno coinvolto i pangolini, commerciati sia vivi che morti. La conseguenza è che, secondo alcuni studi realizzati in Uganda, Camerun e altri stati africani, i pangolini sono sempre meno presenti e più difficili da individuare in Africa dove tra corruzione, deboli controlli alle frontiere ed estrema povertà che induce al bracconaggio, questo animale viene sempre più ricercato come fonte di guadagno.

In Uganda i bracconieri intercettati hanno raccontato a funzionari delle Nazioni Unite di catturare in certi periodi anche 20 pangolini al giorno per guadagnare in media 10 dollari l’uno per un esemplare piccolo, e tra i 25 e i 30 dollari per uno più grande. Le rotte individuate sono quelle che dai vari territori africani passano poi per la Nigeri,a che si occupa delle esportazioni verso l’Asia, spesso via Vietnam. Dall’inizio della pandemia, anche complici le notizie fuorvianti relative ai pangolini, c’è stata una diminuzione dei sequestri rispetto agli anni precedenti, anche se in generale il traffico illegale sembra non trovare fine.

Dal 2020 al 2021 sono 233 i sequestri registrati che riguardano quasi 4.000 chili di squame e 247 animali. Secondo le Ong però il calo è più da attribuire all’interruzione nella circolazione delle merci che a una riduzione effettiva del bracconaggio. “I numeri più bassi dovrebbero essere trattati con cautela. Sono transitori e man mano che i confini riaprono e il commercio internazionale aumenta, aumenteranno anche i livelli di illeciti”, si legge in una nota dei responsabili di Traffic Ong, che chiedono un serio contrasto al fenomeno soprattutto in Asia e Afica.

Inoltre, non solo ci siamo dimenticati del pangolini oggi sempre più cacciati, ma secondo le associazioni ambientaliste si sta aprendo anche un nuovo mercato per il commercio illegale di questo animale: l’India. Qui i sequestri sono stati i più alti in Asia dal 2015 al 2021 e quasi il 70% dei 287 sequestri dell’India sono stati effettuati dal 2019 al 2021.

Numeri che in un mondo in allarme per la perdita di biodiversità dovrebbero farci riflettere: dal 2019 tutte le specie di pangolino sono vietate al commercio internazionale, eppure le reti criminali continuano indisturbate a trafficare a livelli preoccupanti l’animale, mettendone a serio rischio la conservazione.

Leggi anche
animali
di Sara Peggion 4 min lettura
Ambiente
di Redazione 3 min lettura