Economia

Cosa succede se la Federal Reserve alza i tassi d’interesse

Al via oggi, il vertice del sistema bancario degli Stati Uniti si concentrerà sulla stretta monetaria americana, prevista per frenare l’inflazione. Gli scenari per l’Europa e per l’Italia
Fabrizio Papitto
Fabrizio Papitto giornalista
Tempo di lettura 4 min lettura
15 marzo 2022 Aggiornato alle 13:35

Inizia oggi la due-giorni di vertice della Federal Reserve, che dovrebbe sancire la stretta monetaria della Banca centrale degli Stati Uniti nel tentativo di frenare la crescita della spirale inflazionistica. A febbraio i prezzi al consumo hanno registrato un incremento mensile dello 0,8% con un’impennata del 7,9% su base annua, il più alto livello di inflazione degli ultimi 40 anni.

In audizione al Congresso all’inizio del mese, il presidente della Fed Jerome Powell ha annunciato un rialzo dei tassi di interesse di 25 punti base. È il primo rialzo dal 2018, e secondo gli analisti è un valore destinato a crescere.

«Il dato dell’Indice dei prezzi al consumo di febbraio e soprattutto gli effetti della guerra in Ucraina sull’inflazione saranno cruciali per il sentiero dei tassi nei prossimi trimestri», afferma il focus realizzato dalla Direzione studi e ricerche di Intesa San Paolo, che prevede un rialzo atteso di 150 punti base entro il 2022 e un punto di arrivo fra 2,5 e 2,75% nel 2023.

Le incognite però sono molte, e non tutti concordano sulla possibile strategia dell’istituto di Washington.

Dopo aver a lungo sottovalutato il fenomeno, «questo approccio consentirebbe alla Fed di riguadagnare parte della sua credibilità nella lotta all’inflazione e di avere un migliore controllo della narrativa politica», scrive Bloomberg, che tuttavia avverte sul pericolo di una possibile recessione.

«Questo non è un rischio da ignorare, soprattutto considerando che le fasce più vulnerabili della popolazione sarebbero le più a rischio», osserva Mohamed El-Erian, capo consigliere economico di Allianz. «Avendo già sperimentato una significativa erosione del potere d’acquisto a causa dei prezzi più elevati di cibo e gas», conclude, «ora potrebbero affrontare sia il timore che la realtà di ulteriori perdite di reddito».

Anche secondo l’analisi condotta da Intesa, «le conseguenze del rialzo dei prezzi si dovrebbero tradurre in una redistribuzione di reddito a livello domestico, con una perdita di potere d’acquisto delle famiglie, a fronte di maggiore reddito nei comparti dell’energia e dell’agricoltura».

Nonostante questi elementi, sostiene il rapporto, «gli Stati Uniti dovrebbero risentire in misura limitata delle ripercussioni dirette della guerra in Ucraina in termini di crescita, grazie alla scarsa esposizione commerciale e finanziaria verso la Russia e ai flussi internazionali netti di materie prime energetiche e agricole».

Diversa la situazione dell’Europa, che registra un’inflazione del 5,8% rispetto al 5,1% attestato a gennaio. La ragione si deve in primo luogo al caro energia, che il mese scorso ha visto le sue quotazioni impennarsi del 31,7%.

A differenza di Usa e Regno Unito, dove il 17 marzo è previsto che la Bank of England alzi i tassi di interesse dello stesso valore portandoli allo 0,75%, la Banca centrale europea ha deciso che per il momento lascerà inalterato il costo del denaro.

«L’inflazione potrebbe essere considerevolmente più elevata nel breve termine», ha avvertito la presidente della Bce Christine Lagarde nella riunione del Consiglio direttivo che si è tenuta il 10 marzo. Ma «in tutti gli scenari», ha aggiunto, «dovrebbe diminuire progressivamente e collocarsi su livelli intorno al nostro obiettivo di inflazione del 2% nel 2024».

Sulla scorta delle possibili implicazioni del conflitto in Ucraina, la Bce ha però rivisto al ribasso le stime di crescita del Pil nell’Eurozona. Giovedì 17 marzo, Lagarde aprirà la XXII edizione della conferenza «La Bce e i suoi osservatori», che vedrà i membri del Consiglio e altri rappresentanti dell’Eurosistema confrontarsi sulle questioni attuali di politica monetaria e stabilità finanziaria.

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