Economia

L’inflazione fa tremare la Turchia

Il costo della vita ha toccato il valore massimo degli ultimi 20 anni. E i prezzi sono schizzati, mettendo in ginocchio la popolazione e la zona Ocse. Ma il Presidente Erdogan non corre ai ripari
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4 febbraio 2022 Aggiornato alle 19:00

Guai in vista per Erdogan. Il tasso di inflazione in Turchia ha raggiunto il livello più alto da quando il partito del presidente turco è salito al potere quasi due decenni fa: secondo l’Istituto di statistica nazionale, a gennaio l’indice dei prezzi al consumo del Paese è aumentato del 48,7% su base annua rispetto al 36% di dicembre. E stando alle previsioni della banca d’affari americana Goldman Sachs, l’inflazione salirà a circa il 56% a maggio e rimarrà vicina a quel livello per gran parte dell’anno. «Con i tassi profondamente negativi, pensiamo anche che la posizione politica si aggiunga ai rischi inflazionistici» ha commentato Goldman Sachs.

I dati sono stati resi noti pochi giorni dopo che Recep Tayyip Erdogan ha silurato il numero uno dell’agenzia di statistica, a seguito delle tensioni tra i due proprio sulla misurazione dell’inflazione. I forti aumenti del costo del cibo, dell’elettricità e del gas stanno mettendo in ginocchio la popolazione turca critica nei confronti del presidente, osannato nel primo decennio di governo per aver dato il via a una prosperità economica.

La Turchia è alle prese con turbolenze economiche, e una valuta nazionale instabile, anche a causa dei massicci tagli dei tassi di interesse. Erdogan, oppositore ideologico degli alti tassi di interesse, l’anno scorso ha ordinato alla banca centrale di tagliarli per 4 volte di fila, facendo sprofondare la lira turca – nel 2021 la moneta nazionale ha perso il 44% del suo valore rispetto al dollaro. Tuttavia, il ministro delle finanze Nureddin Nebati ha affermato che non ci sarebbe stato un dietrofront rispetto alle decisioni del governo: «Non abbiamo alcun aumento dei tassi nella nostra agenda», aveva dichiarato la scorsa settimana.

La situazione attuale della Turchia ha avuto conseguenze anche sui prezzi dell’area Ocse (Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico): la nota pubblicata il 3 febbraio vede un quadro negativo con l’inflazione che è continuata a crescere per raggiungere il 6,6% a dicembre 2021, il livello più elevato dal luglio 1991. Nessun Paese escluso, dall’Italia dove l’inflazione è cresciuta al 3,9% a Germania, Francia e Spagna.

Al di là dei numeri, il baratro economico turco può avere conseguenze drammatiche per l’Europa: con i risparmi del ceto medio che si stanno polverizzando, gli aumenti del salario minimo non basteranno a salvare dalla povertà milioni di turchi. Torna alla mente la fuga dei venezuelani dall’iperinflazione. Questa volta però, la minaccia non è così lontana dai nostri confini.

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