Economia

Serve una economia circolare alimentare

Il World Food Programme teme che la guerra in Ucraina, dove si produce un quarto del grano mondiale, possa far crollare la produzione. Portando a un raddoppio dei prezzi. E a una nuova “fame” soprattutto nei Paesi mediterranei e africani
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11 marzo 2022 Aggiornato alle 08:00

Mentre l’aviazione russa scatena l’inferno sulle città ucraine, senza risparmiare ospedali e obiettivi civili, la guerra comincia a proiettare i suoi effetti collaterali a distanza. Oltre l’energia, desta preoccupazione instabilità e la disponibilità delle derrate alimentari. Russia e Ucraina, note un tempo come “il granaio d’Europa”, oggi esportano circa un quarto del grano mondiale e metà dei prodotti derivati dai fiori di girasole, come semi e olio per la frittura. Non da meno la produzione di mais ucraino, una delle più importanti al mondo. Ora le agenzie Onu, come il World Food Programme temono che la guerra possa far crollare la produzione, portando a un raddoppio dei prezzi globali del grano.

«I proiettili e le bombe in Ucraina potrebbero portare la crisi della fame globale a livelli superiori a quelli che abbiamo visto prima», ha dichiarato il Direttore Esecutivo del WFP David Beasley durante una visita a un centro di sosta dall’organizzazione al confine polacco-ucraino.

I listini nazionali hanno raggiunto prezzi davvero preoccupanti. Il grano ha sfondato i 405 euro a tonnellata, 80 euro in più rispetto a 7 giorni prima. È il valore più alto degli ultimi 14 anni, dai tempi della crisi dei prezzi legato al boom dei biocarburanti che diede poi fuoco alle primavere arabe.

A risentire di questo shock saranno innanzitutto i Paesi mediterranei e africani, dalla Turchia, che importa oltre il 70% del suo fabbisogno dai Paesi confinanti (e ragione del grande attivismo di Erdogan), fino all’Egitto, al Sudan, alla Repubblica del Congo e Ruanda. Alcuni Stati fragili dal punto della sicurezza alimentare, come il Libano dove il pane è la base fondamentale dell’alimentazione, rischiano di rimanere senza farina, visto che il 90% del grano arriva dai due Paesi in guerra.

Ma i super-prezzi si faranno sentire anche in Italia, soprattutto tra le famiglie a basso reddito, con aumenti sensibili sulla pasta e i prodotti da forno.

Situazione simile per i fertilizzanti che sostengono l’agricoltura mondiale. La Russia esporta il 25% dell’azoto, dei fosfati e del potassio fondamentali per nutrire le coltivazioni. E per gli operatori del settore agricolo è già allarme. Il rischio è quello di un aumento dei costi, già sostenuto a causa dell’inflazione e dei prezzi record dei carburanti agricoli, che rischia di mettere in ginocchio i grandi produttori.

Servono soluzioni importanti. «Bisogna invertire la tendenza e investire sui contratti di filiera di lungo periodo tra agricoltori e industrie per potenziare la produzione nazionale e ridurre la dipendenza dall’estero e dalle speculazioni in atto sui mercati mondiali”, ha dichiarato al Messaggero Ettore Prandini, presidente della Coldiretti. Dazi e autorizzazioni all’esportazione per le materie prime essenziali, è la soluzione che arriva dal ministero dello Sviluppo Economico.

Altrettanto si necessita una maggiore attenzione sullo spreco alimentare e una grande riflessione sulla dieta nazionale del nostro Paese. Centrale sarà la gestione del pane e delle farine e il consumo di olio di girasole. Attualmente si buttano quantità di pane immense dovute alle normative vigenti, mentre ristoranti e supermercati generano sprechi consistenti di cibo (buttiamo circa il 40% di tutto il cibo prodotto). Al pari dell’efficienza energetica, con tanto di scioperi del gas, si deve fare lo stesso con i prodotti alimentari, lavorando proattivamente per un’economia circolare di guerra che riduca sprechi e gli extra costi a essi collegati.

Riguardo ai fertilizzanti va messo a terra un urgente piano nazionale di raccolta della frazione organica e un’accelerazione con gli impianti di compostaggio, sia di grandi dimensioni che a scala domestica. Il rischio che questa scarsità, diventando strutturale, possa avere impatti importanti, specie in un momento che per far fronte alla crisi delle derrate serve aumentare la produttività agricola.

Attenzione infine a un’agricoltura rigenerativa, che può riportare produttività ai suoli, specie nelle colture di derrate, abbandonate da tempo in Italia a favore di quei prodotti più redditizi ma anche dal ridotto apporto calorico. Dai grani antichi alla risicultura al rilancio dei legumi serve uno sforzo erculeo del settore alimentare da troppo tempo vittima della Grande Distribuzione Organizzata (GDO) e di un agrobusiness votato all’eccessivo allevamento.

Anche ridurre il consumo di proteine animali sarà parte di questo sforzo. Economisti, chef, ricercatori universitari – l’Università di Scienze Gastronomiche di Pollenzo potrebbe costruire una war-room alimentare – agricoltori e mondo della GDO sono chiamati a un esercizio che richiede soluzioni straordinarie. Riduzione dei rifiuti, riuso e riciclo – fondamenti dell’economia circolare – non sono più una velleità ambientalista. Ma una necessità da tempo di guerra.

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