Futuro

HIV, una terapia sperimentale ci salverà?

Una donna newyorkese è, a oggi, il terzo paziente a essere guarito grazie a un trattamento sperimentale contro l’AIDS. Che prevede il trapianto di sangue del cordone ombelicale neonatale e di cellule staminali adulte
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16 febbraio 2022 Aggiornato alle 19:00

La notizia ha fatto subito il giro del mondo: una donna americana malata di HIV è guarita con un trattamento sperimentale contro l’AIDS. La terapia testata sulla paziente si è basata sul trapianto di sangue del cordone ombelicale neonatale e successivamente di cellule staminali adulte. Dopo l’intervento, avvenuto nel 2017 al New York-Presbyterian Weill Cornell Medical Center di New York City, sono stati somministrati farmaci antirigetto e antivirali per più di 3 anni, alla fine dei quali è stata sospesa ogni tipo di terapia.

Ieri la notizia diffusa dagli esperti durante un convegno a Denver, in Colorado, su retrovirus e infezioni, nessuna traccia di virus dell’HIV nel sangue a 14 mesi dalla fine dei trattamenti medici sperimentali. «Stimiamo ci siano circa 50 pazienti all’anno negli Stati Uniti che potrebbero beneficiare di questa procedura», ha affermato il dottor Koen Van Besien, uno dei medici coinvolti nella ricerca. «La possibilità di utilizzare innesti di sangue del cordone ombelicale parzialmente abbinati aumenta notevolmente la probabilità di trovare donatori adatti per pazienti del genere».

Nel 2013 la diagnosi di HIV, 4 anni dopo una leucemia, e poi il sangue del cordone ombelicale da un donatore parzialmente abbinato per curare il cancro: “la paziente di New York” è la terza persona al mondo e la prima donna a essere stata curata dall’infezione. Gli altri due, Timothy Ray Brown e Adam Castillejo – chiamati rispettivamente il paziente di Berlino e quello di Londra, per le città dove sono stati curati – avevano entrambi ricevuto trapianti di cellule staminali adulte da donatori con la mutazione genica resistente all’AIDS.

A differenza dei casi precedenti, il team della Weill Cornell ha identificato proprio nel sangue del cordone ombelicale di un neonato una anomalia genetica che lo rendeva resistente all’HIV e ne ha utilizzato le cellule per il trapianto.

Il processo terapeutico testato ha lo scopo di ‘sostituire’ il sistema immunitario di un individuo con quello di un’altra persona, curando contemporaneamente il cancro e il virus dell’HIV. Oltre alla scoperta scientifica, il trattamento apre la strada a nuove speranze per molti malati, soprattutto donne: come riporta il New York Times, solo l’11% delle malate viene infatti incluso nelle ricerche per terapie sperimentali. Inoltre, secondo Avert, l’organizzazione inglese di beneficienza che si occupa di educare e diffondere notizie su HIV e AIDS, le giovani donne di età compresa tra 15 e 24 anni sono quelle particolarmente a rischio. Nell’Africa subsahariana, le adolescenti e le giovani donne hanno rappresentato il 25% delle infezioni da HIV nel 2020, nonostante rappresentassero solo il 10% della popolazione. Inoltre, quasi un terzo (35%) delle donne nel mondo ha subito violenza fisica e/o sessuale, e in alcune regioni sono quelle che hanno una probabilità più alta di contrarre il virus. Nel 2020 si stima che 37,7 milioni di persone convivessero con l’Hiv (di cui 1,7 milioni di bambini). Di questi, circa il 16% (6,1 milioni) non sa di avere il virus.

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