Arabia Saudita: prigioniera per un tweet

Carly Morrise sua figlia credevano che sarebbe stata una breve vacanza, la loro, nel 2019. Si erano recatein Arabia Sauditaper permettere alla bambina di incontrare suo padre, ex marito della cittadina statunitense, e la sua famiglia saudita. E da quel giornonon hanno più fatto ritorno a casa. Lunedì 7 novembrele autorità hanno arrestato Morris: si tratta del terzo caso di unə cittadinə statunitense detenutə in Arabia Saudita. La ongFreedom Initiative, che si impegna per difendere i diritti delle persone detenute ingiustamente in Medio Oriente e Nord Africa,ha ricostruito l’intera vicenda, manon è chiaro dove si trovi la figlia. Pochi giorni fa era stata chiamata dalla polizia di Buraydah, a nord della capitale Riyad, per chiarire i dettagli relativi all’identificazione della bambina. Ma non ha mai lasciato la stazione di polizia: non si sa se la piccola sia con lei, oppure nelle mani dell’ex marito. Le due sono intrappolate nel Paese da 3 anni a causa delleleggi repressive sulla tutela maschiledel regno, dove nessuna delle due aveva mai viaggiato prima del 2019. Nonostante la figlia di Morris detenesse la cittadinanza statunitense al momento della partenza, avvenuta quando aveva 5 anni, all’arrivo è stata sottoposta alle regole locali che non le permettevano di uscire dall’Arabia Saudita senza il permesso di suo padre, che nel frattempo le aveva conferito una cittadinanza saudita. Poiché la doppia cittadinanza non è riconosciuta nel Paese, da quel momento la bambina è stata considerata saudita, anche se nata e cresciuta negli Stati Uniti. Quando non le è stato concesso di uscire dal Paese la madre ha cercato un mezzo per lasciare il Regno, senza riuscirci. Disperata,ha condiviso un tweetper chiedere aiuto ai funzionari del governo statunitense e saudita, perché intervenissero. Il 15 settembre, secondoFreedom Initiative, la polizia l’ha informata di essere stata convocata dal pubblico ministero ad Al Qassim, di cui Buraydah è capoluogo di regione, per delle indagini. Le autorità l’hanno accusata di“disturbo dell’ordine pubblico”, un’accusa molto comune nei confronti degli individui che criticano il regime. 3 giorni dopo, Morris ha appreso di essere stata sottoposta aun divieto di viaggio, cosa che le rendeva impossibile uscire dall’Arabia Saudita. Ancora una volta, ha pubblicatoun appello sui social network, denunciando il suo caso e le difficoltà che stava incontrando. La ong con sede a Washington riporta il testo completo: “Avviso tutte le donne e i bambini di non viaggiare in… [Arabia Saudita] per evitare la stessa sorte che sto affrontando. Vi priveranno della vostra dignità, dell’onore e dei diritti. Verrete accusati e criminalizzati… Nel mio caso, i colpevoli camminano liberamente, mentre io vengo criminalizzata… Non si tratta di me, o solo di mio figlia. Questo per aiutare tutte le altre donne là fuori che si trovano in situazioni simili e quelle che potrebbero purtroppo esserne vittime in futuro. Speriamo di poterlo prevenire”. Dopo il suo ingresso nella stazione di polizia, l’account di Carly Morris è stato cancellato. Bethany Al-Haidari, Case Manager saudita presso laFreedom Initiative,ha dichiarato che «Carlyè una vittima, non una criminale. In primo luogo, Carly e sua figlia sono state vittime del suo ex marito. Ora, sono anche vittime del regime che continua a responsabilizzare e incoraggiare gli uomini a commettere tali atrocità contro donne e bambini». La ong spiega come la repressione saudita del dissenso, in particolare nei confronti degli attivisti e dei difensori dei diritti umani, si sia intensificata da quando il presidente degliStati UnitiJoe Bidenha incontrato il principe ereditario sauditaMohammed bin Salmana Gedda. Dopo il suo viaggio, Biden ha annunciato un nuovo ordine esecutivo volto a riportare a casa gli americani detenuti all’estero, dichiarando di voler rivalutare le relazioni con l’Arabia Saudita. Il Paese non è stato incluso dal Dipartimento di Stato tra quelli a rischio maggiore di detenzione illecita. Morris aveva sposato l’ex marito e poi avviato la pratica di divorzio mentre l’uomo si trovata negli Usa grazie a una borsa di studio vinta, durata 7 anni. Persuasa dall’ex marito, si era munita di un visto di 30 giorni per lei e la figlia. La trentaquattrenne, spiega laBbc, ha iniziato a sospettare qualcosa una volta arrivata nella sua stanza d’hotel, prenotata dall’uomo: non c’erano finestre né connessione internet. Mai avrebbe immaginato che quella non sarebbe stata l’unica prigione in cui l’avrebbero rinchiusa.