Warsan Shire, la poetessa dei migranti

Il dovere,l’obbligo morale e politico di raccontare.Anche se su quelle barche non sei mai salita, anche se una lama non ha mai rischiato di marchiarti a fuoco, anche se non hai mai sentito gravarti 14 uomini tra le cosce. Se non sei tu a bruciarti i palmi sotto ai treni, a passare giorni e notti nel ventre di un camion, a preferire il carcere perché è più sicuro di una città che arde. Aperdere la vita a poche miglia da una costa calabresedove tuo figlio avrebbe dovuto giocare con la sabbia e non arrivare con i polmoni pieni di carburante, arenato come un relitto. Nata a Nairobi 35 anni fa da genitori somali migrati a Londra e in fuga dalla guerra civile, lapoetessa afrobritannica Warsan Shirenon ha mai vissuto in prima persona il dramma dei viaggi della speranza,ma le parole della suapoesia più famosa,Home,sono diventate un simbolo, una chiave di lettura lucida e toccante dellestorie dei rifugiatidi questo secolo, quelli che varcano le frontiere ai confini del Messico così come le porte dell’Europa. Leggerla fa bene e allo stesso tempo fa male,risveglia le coscienzema colpisce in pieno petto, e non a caso alcuni suoi versi sono stati citati anche perraccontare lastrage del peschereccioaffondato il 26 febbraio a Steccato di Cutro, in Calabria. Tragedia in cuihanno perso la vita 67 persone,14eranobambini. “Nessuno mette i suoi figli su una barca a meno che l’acqua non sia più sicura della terra”scrive Shire, quasi a voler fugare il dubbio che si fa strada nella testa di ogni genitore che vive al di qua del confine, e non ha mai dovuto scegliere tra vita o morte, tra marchio a fuoco o fuga, trapossibilità di salvezza o schiavitù.Le parole della poetessa scuotono dentro più dei freddi bollettini diramati dalle ong (che stimano 26.000 morti in 10 anni nel Mediterraneo) perché dannovoce a chi voce non hae sono un proclama politico. I versi diHomesono infattinati daConversation about home (at a deported centre),una serie di incontri dell’autrice con un gruppo di migranti africani che nel 2006 si erano rifugiati dentro l’edificio dell’ex ambasciata della Somalia a Roma. Il giorno prima del suo arrivo, un ragazzo si era gettato giù dal tetto. «Ho scritto la poesia per loro, per la mia famiglia, per chiunque abbia vissuto il dolore e il trauma in quel modo» ha dichiarato la poetessa. Conoscere Warsan Shire è facile: sul web le sue letture impazzano ed è considerata una delle voci più influenti deiblack british poetse dellaspoken word poetry.Nel 2015 viene citata dall’attore Benedict Cumberbatch in unvideo sui rifugiati sirianie nel 2016 viene notata anche dalla superstar Beyoncé, che dopo aver letto il suo primo libro di poesie (Teaching My Mother How to Give Birth)la chiama per partecipare al visual albumLemonade, dove compaiono anche la tennista Serena Williams e la modellaWinnie Harlow. Lo scorso gennaio ha pubblicato la prima raccolta delle sue opere,Benedici la figlia cresciuta da una voce nella testa(Fandango,16 euro, 149 pagine), in cui dà spazio a temi come l’immigrazionee l’adolescenza, idisturbi alimentarie iconflitti con la fede. “La poesia mi ha salvato la vita” si legge nella sintesi del libro. Di certo, i suoi versi sanno penetrare nel profondo ehanno il potere di non lasciarci più indifferenti.