Il vocabolario

Ambiente Diritti

Hai domande?
Sei nel posto giusto


Il 1° giugno si apre il Mese del Pride. 30 giorni per imparare e condividere storia, cultura, lessico e personaggi Lgbtqai+ ma anche per formare “Le parole dell’orgoglio”, un vero e proprio vocabolario, dalla A di Arcigay alla Z di Zedsexual

Mese del Pride

Arcigay. Il 2 novembre 1980 le cronache locali di Giarre riportavano la notizia del ritrovamento di due cadaveri abbracciati: si trattava di due giovani di quindici e venticinque anni, Antonino Galatola e Giorgio Agatino, morti per l’unica colpa di essere omosessuali. Secondo le prime ricostruzioni avevano chiesto a Toni, nipote tredicenne di uno dei due, di ucciderli, secondo altre indagini sarebbero invece state le loro famiglie. Non è mai stato individuato il colpevole.

L’omicidio dei due giovani “ziti” – la cui storia è raccontata nel film Stranizza d’amuri di Beppe Fiorello, uscito nel marzo 2023 – fu un momento di svolta per il movimento di liberazione omosessuale italiano. Un mese dopo il delitto, a Palermo nasceva ufficialmente all’interno della sezione “Diritti Civili” dell’Arci l’associazione Arci-gay (Associazione per la Liberazione Omosessuale), animata dal sacerdote omosessuale Marco Bisceglia, sospeso a divinis per aver celebrato l’unione di due omosessuali, con la collaborazione di un giovane obiettore di coscienza, Nichi Vendola.

L’atto costitutivo, datato 22 maggio 1981, elenca tra i compiti di Arci-gay quello di interagire con gli enti pubblici e privati e di organizzare iniziative di carattere culturale, ricreativo e di svago per i propri soci e per tutti quanti volessero prendervi parte: nasceva così, all’interno della sezione ricreativa della sinistra storica, l’associazione destinata a diventare uno degli assi portanti del movimento Lgbtqai+ in Italia.

In pochi mesi, infatti, Arci-gay si diffuse in tutta Italia e tre anni dopo, l’8 novembre 1984, la Presidenza Nazionale dell’Arci approvava all’unanimità la nascita dell’associazione nazionale omosessuale come struttura autonoma, che fu fondata ufficialmente durante un convegno tenutosi a Bologna il 2 e il 3 marzo dell’anno successivo.

Oggi, Arcigay è un’associazione di promozione sociale (Aps) e la principale associazione Lgbtqai+ italiana senza scopo di lucro e la più grande per numero di volontarǝ e attivistǝ su tutto il territorio nazionale attraverso 73 associazioni aderenti e comitati locali.

Agender. Talvolta anche genderblank genderfree, genderless, gendervoid, non-gendered, ungendered, or null gender, agender è un termine che può essere letteralmente tradotto come “senza genere”. Le persone agender potrebbero non avere un’identità di genere o avere un'identità di genere neutra e potrebbero descriversi in uno dei seguenti modi:

• Genderless o privǝ di genere;

• Genere neutro: questo può essere inteso nel senso di non essere né uomo né donna ma avere ancora un genere;

• Neutrois, anche se i termini non sono sinonimi;

• Libragender, cioè sentirsi principalmente agender ma con una connessione parziale con un altro genere;

• Avere un genere sconosciuto o indefinibile, non in linea con alcun genere binario o non binario;

• Non avere altre parole che si adattino alla loro identità di genere;

• Non conoscere o interessarsi del genere, come identità interna e/o come etichetta esterna;

• Decidere di non etichettare il proprio genere;

• Identificarsi più come persona che come qualsiasi genere.

Le persone agender possono avere qualsiasi preferenza per i pronomi, anche se alcunǝ preferiscono evitare di usare il più possibile un linguaggio di genere. Possono anche presentarsi qualunque modo: maschile, femminile, entrambi o qualcosa di completamente al di là del binario. Le persone agender possono sperimentare disforia di genere se non sono in grado di esprimere la propria identità in un modo con cui si sentono a proprio agio, ma non tuttǝ lo fanno.

Le persone agender possono essere di qualsiasi orientamento sessuale e non devono essere confuse con l'essere asessuate.

Il termine “ally” – che può essere tradotto come “alleatǝ" – secondo il New World Dictionary of the American Language di Webster, indica qualcunǝ "unitǝ a un altrǝ per uno scopo comune". Più in generale, unǝ alleatǝ sostiene una causa con un altro individuo o gruppo di persone.

Più specificatamente, si utilizza il termine “ally” per indicare qualcunǝ che sostiene attivamente le persone Lgbtqai+, sia all’interno della comunità che all’esterno: in questo caso si parla anche di straight ally, persone impegnate nella lotta per l'uguaglianza e i diritti di tuttǝ pur essendo eterosessuali e cisgender.

Nel 1978, a San Francisco, ispirandosi ai cinque colori della Bandiera delle Razze l'artista Gilbert Baker ha disegnato la Bandiera Arcobaleno (Rainbow Flag), che da allora è il simbolo più usato dalla comunità Lgbtq+.

La bandiera originale era composta da otto colori, ognuno con un diverso significato: rosso (vita), arancio (salute), giallo (sole), verde (natura), turchese (arte), viola (spirito), rosa (sessualità), indaco (armonia).

Negli anni successivi, però, la bandiera subì delle modifiche. Nel 1978 il rosa venne eliminato a causa dell’irreperibilità della stoffa e l’anno successivo indaco e turchese vennero sostituiti col blu. Nel 1979 nacque quindi la Bandiera Arcobaleno a sei colori, quella che conosciamo ancora oggi.

La Rainbow flag, però, non è l’unica bandiera della comunità Lgbtq+: non solo a diversi orientamenti sessuali e generi corrispondono diverse bandiere, ma il simbolo della Comunità è stato più volte rivisitato per allargare la platea delle rivendicazioni.

Nel 2017, a esempio, è stata creata la Philadelphia Pride Flag, che ha aggiunto una striscia nera e una marrone alla bandiera arcobaleno per portare l’attenzione sulle persone nere e Bipoc all’interno di spazi Lgbtq+ prevalentemente bianchi.

L’anno successivo, l’artista Daniel Quasar ha disegnato la Progress Pride Flag. Questa bandiera incorpora le strisce nere e marroni della bandiera del Philadelphia Pride oltre alle strisce rosa, bianche e blu in riferimento alla bandiera del Trans Pride.

Nel 2021, infine, Valentino Vecchietti ha ridisegnato la Progress Pride Flag includendo un cerchio viola su un triangolo giallo come riferimento alla bandiera dell'orgoglio Intersex creata nel 2013 da Morgan Carpenter.

Battuage. Con questo finto francesismo, coniato all’interno del mondo omosessuale intorno alla Seconda guerra mondiale, si indicano i luoghi “battuti” in cerca di rapporti sessuali occasionali con sconosciuti.

Sebbene sia uno pseudo-francesismo, i francesi per indicare lo stesso fenomeno utilizzano il verbo drague, "dragaggio"; l'inglese parla di cruising (che sta progressivamente sostituendo battuage anche in Italia) e lo spagnolo di ligue.

Il termine “battere” in questo contesto non ha il significato di “prostituirsi”, in quanto non prevede prestazioni sessuali a pagamento.

Si tratta generalmente di luoghi all’aperto ma poco frequentati in alcune ore del giorno, come vespasiani, parchi cittadini, spiagge, cinema e parcheggi.

Battuage è anche il titolo di una pièce teatrale prodotta dal 2015 dal gruppo "Vucciria teatro", per la regia di Joele Anastasi, ambientata in uno di questi luoghi destinati agli incontri sessuali.

Binarismo di genere. Blu e rosa, maschio e femmina, x o y. La nostra (e moltissime altre) società è strutturata attorno a una rigida distinzione tra maschile e femminile, che prende il nome di binarismo di genere.

Si tratta di un costrutto sociale basato sull'idea che la società abbia solo due generi, femminile e maschile appunto, che corrispondono al sesso assegnato alla nascita e, più specificatamente, all’apparato riproduttivo o all’assetto ormonale e cromosomico.

Il genere, però, è appreso e non innato: nonostante la dicotomia uomo-donna venga spesso presentata come universale, norme e aspettative di genere sono specifiche di una particolare struttura sociale.

Non solo esistono società e culture che riconoscono generi diversi, ma ci sono persone le cui caratteristiche fisiche non possono essere classificate come maschili né femminili (le persone intersessuali) o persone la cui identità di genere non corrisponde con il sesso assegnato alla nascita (transgender o non-binary).

Si utilizza il termine “non binario” proprio per riferirsi a quelle identità di genere che non si definiscono secondo i tradizionali poli opposti maschio/femmina ma, piuttosto, si muovono su uno spettro all’interno del quale l’identità di genere può collocarsi in diversi punti.

Marco Bisceglia, nato a Lavello il 5 luglio 1925 e morto a Roma il 22 luglio 2001 è stato un prete italiano, sostenitore dei diritti degli omosessuali e fondatore e primo Presidente di Arcigay.

Parroco della Chiesa del Sacro Cuore di Lavello, in provincia di Potenza, aveva aderito pubblicamente alla teologia della liberazione, una manifestatasi all’interno del cattolicesimo latinoamericano alla conferenza episcopale di Medellín del 1968.

Il primo a parlarne, Gustavo Gutiérrez, la descrisse come il «tentativo di interpretare la fede a partire dalla prassi storica concreta, sovversiva e liberatrice, dei poveri di questo mondo, delle classi oppresse, dei gruppi etnici disprezzati, delle culture emarginate».

Questo lo portò a scontarsi con le gerarchie cattoliche e con la Democrazia Cristiana, da cui non era ben visto per aver sostenuto apertamente la legge sul divorzio, il suo anticonformismo e le sue espresse simpatie per il Partito Comunista Italiano.

Nel 1975 fu sospeso a divinis per aver celebrato un “matrimonio di coscienza” tra due uomini, in realtà due giornalisti del settimanale di destra Il Borghese, Franco Jappelli e Bartolomeo Baldi, che gli avevano teso una trappola.

Apertamente omosessuale, nel dicembre 1980 Bisceglia fondò, assieme tra gli altri a Nichi Vendola, il gruppo Arci-gay Palermo all’interno dell’Arci, il primo nucleo della futura organizzazione per i diritti Lgbtqia+ in Italia, di cui diventò primo Presidente nazionale nel 1985.

Dalla metà degli anni ‘90, malato di Aids, tornò in seno alla Chiesa Cattolica, e la sua sospensione a divinis fu cancellata da Papa Benedetto XVI.

Luciano Massimo Consoli, conosciuto come Massimo, (Roma, 12 dicembre 1945 – 4 novembre 2007) è stato uno dei pionieri del movimento di liberazione omosessuale italiano e uno studioso della storia dell’omosessualità, la cui militanza istrionica si è svolta in seno al movimento omosessuale seppure in maniera indipendente.

Già dal 1964 aveva creato circoli studenteschi formalmente innocui i cui propositi reali erano però “rivoluzionari”: all’interno de Il Vascello, circolo studentesco che organizzava escursioni per la città, pomeriggi al cinema e cene, si celava La Rivoluzione è Verde, la vera anima dell’associazione: lo scopo di questo gruppo segreto era non era solo la liberazione omosessuale, ma una trasformazione radicale della società che spaziava dalla riforma sessuale all’importanza da dare ai giovani, dall’aborto alla censura sino alla liberalizzazione del linguaggio.

Nel 1966, nacque invece ACR-1, l’Associazione Culturale ROMA-1. Il nome è, ancora una volta, studiato per trarre in inganno dissimulando i veri obiettivi dell’associazione: ROMA, infatti, non è che l’acronimo per “Rivolta Omosessuale dei Maschi Anarchici”, mentre il numero “1” dovrebbe indicare che questa rappresenta solo la una fase iniziale dell’associazione.

“Anarchico” prescinde il reale significato politico del termine ed è utilizzato solo per indicare l’ardore rivoluzionario e la rabbia alla base degli ideali di ACR-1. Nel 1968-69 sui muri dei quartieri romani apparvero scritte che inneggiavano alla “Rivolta Omosex” e alla “Rivoluzione Omosessuale” accanto cui compariva la croce polisessuale, simbolo inventato dallo stesso Consoli - che fu pressoché l’unico autore delle scritte - per dimostrare l’universalità e la pervasività del sesso.

A lui si deve il primo documento teorico italiano sull’omosessualità rivoluzionaria italiana: nel 1969, pubblicò la Carta di Amsterdam (il cui significativo sottotitolo era "Per i diritti degli omosessuali"), una sorta di decalogo programmatico per la costituzione di un movimento gay. Sulla base di questo breve elenco, nei due anni successivi avrebbe elaborato il Manifesto Gay, (Manifesto per la rivoluzione morale: l’omosessualità rivoluzionaria) che si fregiava dell’intervento di molte personalità europee attive all’interno dei movimenti di liberazione.

Consoli comprese la necessità di un approfondimento teorico della realtà omosessuale, modificando nuovamente il nome dell’associazione e dandole un’impostazione maggiormente sociologica il 19 maggio 1973 nasceva il CIDAMS, Centro Italiano per la Documentazione delle Attività delle Minoranze Sociali. Nel febbraio 1976 sarebbe stato ribattezzato Ompo’s (Organo del Movimento Politico degli Omosessuali). Lo stesso anno, provocatoriamente, Consoli unì in matrimonio alcune coppie omosessuali officiando, il 2 settembre, una sorta di rito laico presso la sede dell’associazione.

Autore di una quarantina di volumi, tra testi autografi e traduzioni, nel corso della sua pluridecennale attività Consoli ha raccolto un archivio internazionale sull'omosessualità, oggi custodito presso l'Archivio centrale dello Stato a Roma e presso la sede del Gay Center a Roma.

Coming out. Il termine inglese coming out significa letteralmente "uscire fuori" e viene utilizzato per indicate l’atto di dichiararsi o rendersi visibile. Si dice quindi che una Lgbtqai+ fa coming out quando decide di dichiarare il proprio orientamento sessuale o la propria identità di genere.

L'espressione inglese completa è coming out of the closet ("uscire dal ripostiglio" o "uscire dall'armadio"). In spagnolo si utilizza la traduzione salir del armario, così come in francese sortir du placard, mentre in italiano si è mantenuto il termine in lingua originale.

Spesso, anche sui giornali, il termine è confuso con outing (fare outing), ma i due termini non sono sinonimi: fare coming out significa dichiarare il proprio orientamento sessuale o la propria identità di genere, mentre fare outing significa rivelare l’orientamento sessuale o l'identità di genere di un’altra persona senza il suo consenso.

Nel primo caso, quindi, si tratta di un gesto di consapevole autodeterminazione, nel secondo di un’imposizione esterna che può essere fatta per ledere la persona interessata, per scarsa consapevolezza o, talvolta, come atto politico nei confronti di persone che si oppongono pubblicamente ai diritti o alle persone Lgbtqai+.

Crossdressing. Un crossdresser è una persona che si veste (in tutto o in parte) come un membro di un genere che non è allineato con il sesso assegnato alla nascita.

Il crossdressing è un atto di espressione di genere e quindi non un indicatore dell'orientamento sessuale o dell'identità di genere di una persona.

Il termine crossdressing viene spesso confuso con "travestitismo”, ma in realtà le due parole non sono esattamente sinonimi. Il travestitismo, infatti, è solitamente associato all’omosessualità e alla transessualità, mentre crossdressing è un termine neutro, che non si carica di connotazioni sessuali.

“Travestitismo”, inoltre, viene utilizzato per indicare un feticismo, che consiste nel provare piacere nell’indossare gli abiti generalmente identificati con l’altro sesso; viene definita anche una “parafilia”, ovvero “disturbi psicosessuali caratterizzati dal fatto che chi ne è affetto deve, per ottenere eccitamento o soddisfazione sessuale, perseguire fantasie o compiere atti anomali o perversi”.

Deadnaming. Il termine significa chiamare qualcunǝ o riferirsi a lǝi con il nome che non usa più, ovvero il “dead name” (nome morto). Il nome precedente è solitamente il nome di nascita e, anche se tecnicamente è possibile fare deadnaming a qualsiasi persona che ora usa un nome diverso, il termine è usato in relazione a persone transgender, di genere non conforme e non binarie ed è considerato un atto violento.

Il deadnaming, infatti, può essere involontario o un tentativo deliberato di negare, deridere o invalidare l'identità di genere di una persona. In entrambi i casi, quando si utilizza il “dead name” di qualcunǝ stiamo dicendo che abbiamo la possibilità di vederlǝ e definirlǝ come preferiamo, piuttosto che rispettare la sua identità. Questo è un atto incredibilmente irrispettoso, che sia fatto intenzionalmente o meno.

Fare deadnaming a qualcunǝ, anche se fatto accidentalmente, porta in superficie tutte le sue esperienze di vita negative legate a quel nome, costringendo la persona ad affrontare emotivamente quel trauma in un momento casuale in cui potrebbe non essere preparata a farlo o, anche se è preparata ad affrontare quel trauma, non c'è ragione per darlǝ un motivo di farlo.

Marcella Di Folco (Roma, 7 marzo 1943 – Bentivoglio, 7 settembre 2010) è stata un’attrice e un’attivista italiana, Presidentessa del Mit (Movimento Identità Trans) dal 1988 fino alla sua scomparsa nel 2010.

L’hanno succeduta Porpora Marcasciano, in carica fino al 2016, anno in cui la presidenza è passata a Nicole De Leo e, dal 25 ottobre 2022, Mazen Masoud.

Dopo essersi sottoposta a un intervento di riassegnazione di genere a Casablanca nel 1980, era stata una delle principali attiviste di quello che allora (e fino al 1999) si chiamava Movimento Italiano Transessuali, che si batteva perché venissero rispettati i diritti e la dignità delle persone trans e perché venisse introdotta una legge per il cambio di sesso anche in Italia. Legge che divenne realtà nell’aprile 1982, quando venne approvata la 164/82, Norme in materia di rettificazione di attribuzione di sesso.

A Marcella Di Folco si deve l’idea del consultorio per l'identità di genere di Bologna, il primo al mondo gestito da persone transgender, che oggi fa parte a tutti gli effetti dei servizi offerti dalla Asl della città di Bologna. Forse il più importante, ma non certamente l’unico, dei tanti successi ottenuti grazie a un’intensa attività politica nella città in cui si era trasferita nel 1986 e di cui nel 1995 sarebbe diventata consigliera comunale, eletta con i Verdi.

Drag. “We are all born naked, and the rest is drag” – Ru Paul Andre Charles. La drag è una forma d'arte gender-bending – che rifiuta un’identità di genere prefissata, trasgredendo al comportamento previsto dal suo genere – in cui una persona si veste con abiti e trucco intesi a esagerare una specifica espressione di genere, di solito del genere opposto.

Sebbene lo scopo principale della drag sia stato quello di esibirsi e divertirsi, è anche usato come espressione di sé e come celebrazione dell'orgoglio Lgbtqai+.

Le drag queen si vestono con abiti e trucchi femminili esagerati per assumere ruoli e aspetto femminili. Mentre la maggior parte delle drag queen sono uomini (spesso uomini gay o uomini queer), c’è un numero crescente di drag queen che sono donne transgender o cisgender (in questo caso viene talvolta utilizzato il termine bio queen). I drag king – spesso donne – viceversa si vestono con abiti e trucchi da uomo esagerati per assumere ruoli e presentazioni maschili.

La drag ha radici profonde nella cultura occidentale, in particolare nel teatro, quando alle donne non era permesso esibirsi sul palco, quindi gli uomini interpretavano ruoli femminili.

Nel diciannovesimo secolo, l’impersonificazione femminile divenne arte performativa, specialmente negli spettacoli di vaudeville.

Nel 1880, la prima drag queen, William Dorsey Swann, ospitò un cosiddetto “drag ball” a casa sua. All'inizio del ventesimo secolo e a partire dagli anni ‘20, il drag si legò alla comunità Lgbtqai+, una comunità emarginata negli Stati Uniti, soprattutto attraverso la ballroom (o ball) culture, una sottocultura formata da un insieme di persone raggruppate in house (famiglie) che si sfidavano partecipando a ball (competizioni, dette anche “funzioni”), suddivise in categorie.

Da sottocultura, la drag è entrato a far parte della cultura pop mainstream, negli ultimi anni anche grazie a programmi come RuPaul Drag Race o serie tv come Pose. Diversi Stati conservatori degli Stati Uniti, come il Tennessee e la Florida, hanno però varato leggi per vietare gli spettacoli di Drag, più precisamente “gli spettacoli di “cabaret per adulti” con ballerini in topless, cubisti, spogliarellisti o imitatori di uomini o donne negli spazi pubblici o dove è probabile che siano visti da minori di 18 anni”.

Elementi di critica omosessuale. Pubblicato da Einaudi nel 1977, Elementi di critica omosessuale è il primo e più celebre scritto di Mario Mieli e uno dei documenti più importanti e maggiormente conosciuti della storia del movimento omosessuale italiano, un vero e proprio manifesto dell’omosessualità rivoluzionaria.

Nato come tesi di laurea in laurea in filosofia morale del giovane Mieli, metteva in discussione le teorie freudiane: secondo Mieli, infatti, l'ambiente in cui un bambino cresceva era responsabile di un processo di “educastrazione” che puntava a mutilare la natura transessuale che è nel profondo di ogni persona per renderla funzionale alle necessità economiche di una sessualità omosessuale mercificata, tale da permettere il mantenimento del dominio eterosessuale.

Il contesto sociofamiliare non era dunque responsabile dell’omosessualità, come volevano gli psicanalisti che si promettevano di curarla, bensì della rigida separazione dei ruoli, delle etichette “etero” e “omo”, di una sessualità castrata che inibiva la libera espressione delle naturali pulsioni che sono dentro ogni individuo. Proprio dalla comprensione della comune schiavitù doveva nascere la rivoluzione, grazie alla pratica di autocoscienza che permette di passare dall’esperienza personale alla presa di coscienza dell’oppressione universale.

La via per la liberazione era la “transessualità, la disposizione erotica polimorfa e «indifferenziata» infantile, che la società reprime e che, nella vita adulta, ogni essere umano reca in sé allo stato di latenza oppure confinata negli abissi dell’inconscio sotto il giogo della rimozione. Il termine «transessualità» mi sembra il più adatto a esprimere, a un tempo, la pluralità delle tendenze dell’Eros e l’ermafroditismo originario e profondo di ogni individuo. […] siamo tutti, nel nostro profondo, transessuali, siamo stati tutti bambini transessuali e ci hanno costretto a identificarci con un ruolo monosessuale specifico, maschile o femminile”.

Se Elementi di critica omosessuale ha rappresentato un punto di riferimento per intere generazioni grazie alla sua carica radicalmente eversiva, alcuni passaggi incentrati sulla sessualità infantile hanno suscitato forti perplessità, poiché in essi si vedeva una pericolosa apologia della pedofilia e una conferma dell’identificazione tra omosessualità e pedofilia. Spesso l’accusa è stata trasposta su tutti i gay, rei di “idolatrare un pedofilo”.

Il sesso assegnato alla nascita non definisce il modo in cui ognuno di noi percepisce e fa riferimento a se stessǝ. Il genere, infatti, non è una mera caratteristica biologica ma un costrutto sociale di norme, comportamenti e ruoli che varia tra le società e nel tempo e può essere classificato come maschile, femminile o non binario.

L’identità di genere è dunque la percezione che ognuno ha di sé e del proprio genere, che sia uomo, donna, nessuno dei due o entrambi. Come vedremo, a differenza dell'espressione di genere, l'identità di genere non è esteriormente visibile agli altri.

Per la maggior parte delle persone, l'identità di genere si allinea con il sesso assegnato alla nascita, mentre per le persone transgender e non binarie l'identità di genere differisce in vari gradi dal sesso assegnato alla nascita.

Transgender, o semplicemente trans, è un aggettivo usato per descrivere qualcuno la cui identità di genere differisce dal sesso assegnato alla nascita. Un uomo transgender, a esempio, è qualcuno che è stato indicato come femmina alla nascita ma la cui identità di genere è maschile.

Non binario è un termine che può essere utilizzato da persone che non descrivono se stesse o il proprio genere come rientranti nelle categorie di uomo o donna e che possono identificarsi come entrambi, nessuno o avere un’identità di genere fluida. Anche i termini genderqueer e genderfluid rientrano sotto questo termine-ombrello.

Con il termine “disforia di genere” viene definito il disagio che una persona può sperimentare a causa di una mancata corrispondenza tra la sua identità di genere e il sesso assegnato alla nascita. Fino al 2013 si utilizzava “gender identity disorder” ma questa condizione è stata rinominata per rimuovere lo stigma associato al termine “disturbo”, nonostante secondo alcune persone solo il fatto che sia inserita nel manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali (DMS-5) rischia di classificarla come una malattia. In Italia, la diagnosi di disforia di genere è al momento necessaria per sottoporsi a un percorso di riassegnazione di genere.

L'espressione di genere è invece il modo in cui una persona presenta il proprio genere esteriormente, attraverso il comportamento, l'abbigliamento, la voce o altre caratteristiche in base alle aspettative sociali. La società identifica questi segnali come maschili o femminili, sebbene ciò che è considerato maschile o femminile cambi nel tempo e vari a seconda della cultura.

Euforia di genere è il termine che indica la soddisfazione, il godimento o il sollievo provato dalle persone trans e non binarie quando sentono che la loro espressione di genere corrisponda alla loro identità di genere: non necessariamente, infatti, c’è corrispondenza tra le due.

Eterosessismo. Indica un sistema di atteggiamenti, pregiudizi e discriminazioni a favore della sessualità e delle relazioni uomo-donna. Secondo la definizione che ne ha dato Gregory M. Herek in The Context of Anti-Gay Violence: Notes on Cultural and Psychological Heterosexism (1990) è un vero e proprio sistema ideologico che “rifiuta, denigra e stigmatizza ogni forma di comportamento, identità, relazione o comunità di tipo non eterosessuale”. Si manifesta sia a livello individuale che a livello culturale, politico e sociale e si basa sulla convinzione che tutte le persone siano o debbano essere eterosessuali e che le relazioni eterosessuali siano la norma e, quindi, intrinsecamente superiori a tutte la altre.

Esempi di eterosessismo includono, a esempio, la mancanza di protezione legale dalla discriminazione in materia di occupazione, alloggio e servizi; l'ostilità verso le unioni tra persone Lgbtqai+ o la possibilità di avere dei figli, leggi che criminalizzano l’omosessualità, mancanza di tutele contro i crimini di odio basati sull’orientamento sessuale o sul genere.

Il termine iniziò a essere usato come analogo a sessismo e al razzismo all’inizio degli anni ‘90: come le discriminazioni basate sul genere e sull’etnia, infatti, l'eterosessismo pervade i costumi e le istituzioni della società, agendo attraverso un duplice processo di invisibilità e attacco.

La parola “eterosessismo” viene spesso utilizzata come sinonimo di omofobia, il termine coniato dallo psicologo eterosessuale George Weinberg alla fine degli anni '60 per indicare la paura degli eterosessuali di essere a stretto contatto con gli omosessuali e il disprezzo di sé degli omosessuali. La parola è apparsa per la prima volta in stampa nel 1969 ed è stata successivamente discussa a lungo nel libro di Weinberg del 1972, Society and the Healthy Homosexual.

Secondo l’American Heritage Dictionary l’omofobia è "avversione per le persone gay o omosessuali o per il loro stile di vita o cultura" e "comportamento o atto basato su questa avversione". Altre definizioni identificano l'omofobia come una paura irrazionale dell'omosessualità.

Tendenzialmente si utilizza “omofobia” per descrivere atteggiamenti e comportamenti anti-lgbtqai+ individuali, mentre “eterosessismo” viene utilizzato per riferirsi a ideologie a livello sociale e modelli di oppressione istituzionalizzata di persone non eterosessuali.

Eterosessualità. L’eterosessualità è un orientamento sessuale che comporta l'attrazione emozionale, romantica e/o sessuale verso individui di genere opposto.

È l’orientamento sessuale più comune e, per questo, è stato a lungo ritenuto – e molte persone e società continuano a ritenerlo – la norma. Come ha ricordato Brandon Ambrosino sulla Bbc, anche l’eterosessualità come la conosciamo è una costruzione sociale e solo 100 anni fa le persone avevano un'idea molto diversa di cosa significa essere eterosessuali.

Non ci credi? Il Dorland's Medical Dictionary del 1901 definiva l'eterosessualità come un "appetito anormale o perverso verso il sesso opposto". Più di due decenni dopo, nel 1923, il dizionario di Merriam Webster lo definì in modo simile come "morbosa passione sessuale per uno del sesso opposto". Fu solo nel 1934 che l'eterosessualità fu abbellita con il significato che conosciamo oggi: “manifestazione della passione sessuale per uno del sesso opposto; sessualità normale”.

Fluidità di genere. La fluidità di genere è un'identità di genere non fissa (fluida, appunto) che cambia nel tempo o a seconda della situazione. Queste fluttuazioni possono verificarsi a livello di identità di genere o di espressione di genere. Una persona genderfluid può fluttuare tra diverse espressioni di genere nel corso della sua vita o esprimere contemporaneamente più aspetti di vari indicatori di genere.

La fluidità di genere può essere una fase di transizione, che consente alle persone di esplorare il genere prima di trovare un'espressione o un'identità di genere più stabile, o continuare per tutta la vita.

La prima menzione nota del termine è del 1994 nel libro Gender Outlaw: On Men, Women and the Rest of Us della teorica di genere Kate Bornstein. Il 6 maggio 2015 il termine è stato incluso tra le voci di Dictionary.com.

Nel febbraio 2014, Facebook ha incluso "Gender Fluid" come una delle 50 opzioni di identità disponibili.

FtM/MtF. FtM o F2M (Female to Male) è una sigla della lingua inglese utilizzata per indicare una persona il cui sesso assegnato alla nascita era femminile e che è in transizione di genere o che ha completato la transizione a maschio.

Al contrario, MtF o M2F (Male to Female) indica una persona il cui sesso assegnato alla nascita era maschile e che è in transizione di genere o che ha completato la transizione a donna.

Il percorso di transizione deve ritenuto concluso anche in mancanza di operazioni chirurgiche demolitive (come la mastectomia e l'isterectomia) e ricostruttive dei genitali (falloplastica) a cui si sottopongono alcune persone trans. Secondo due importanti sentenze della Corte di Cassazione e della Corte Costituzionale l'intervento chirurgico di riattribuzione di sesso non è necessario o obbligatorio nemmeno per la riassegnazione del nome e del genere anagrafico.

Fuori!. Il Fuori! (prima F.U.O.R.I.) è stata la prima e una delle più importanti associazioni omosessuali della storia italiana, dal 1971 fino al suo scioglimento nel 1982. “Fuori!” è anche il nome della rivista pubblicata da dicembre 1971, per quasi un decennio una delle voci più importanti del movimento italiano.

Nato alla fine del maggio 1971 nell’appartamento di Fernanda Pivano a Torino il “F.U.O.R.I.” il Fronte Unitario Omosessuali Rivoluzionari Italiani nacque sulla spinta rivoluzionaria che stava interessando gli Stati Uniti e l’Europa.

La “goccia che fece traboccare il vaso” fu un articolo pubblicato nell’aprile 1971 da La Stampa, L’infelice che ama la propria immagine, a firma di Andrea Romero, primario neurologo dell’Ospedale Mauriziano, che descriveva la difficile condizione degli omosessuali in Italia rassicurando il pubblico: chi non è affetto da omosessualità “congenita” o dovuta a sbalzi ormonali, spiegava, può essere felicemente curato attraverso la psicanalisi, che ha permesso di trovare le cause dell’omosessualità.

Più che l’articolo, in realtà, a scatenare la rabbia degli “infelici” fu la lettera del Direttore Alberto Ronchey in risposta a una lettera di protesta – mai pubblicata – inviata da un libraio torinese, Angelo Pezzana, e altri intellettuali: “di questi argomenti si parla fin troppo”, disse il Direttore.

Il neonato F.U.O.R.I. prese a modello il francese FHAR e il GLF statunitense e aveva come obiettivo l’abbattimento del sistema capitalista e la distruzione della società borghese, nella convinzione che nella società consumistica e capitalista non avrebbe mai potuto esserci una vera libertà per gli omosessuali.

Sotto la guida di Angelo Pezzana, però, il Fuori! Assunse posizioni progressivamente sempre più riformiste e si avvicinò al Partito Radicale, con cui si federò nel 1974 e due anni dopo, alle elezioni nazionali del 1976 alcuni militanti, tra cui Pezzana, si candidarono tra le file del Pr di Pannella.

GPA. Con il termine “gestazione per altri” (talvolta indicata come surrogazione di maternità o maternità surrogata) si fa riferimento a una tecnica di procreazione assistita in cui una donna (che può essere definita madre surrogata, gestante d'appoggio, gestante per altri o portatrice gestazionale) porta avanti la gravidanza per conto di una o più persone, che acquisiranno la responsabilità genitoriale nei confronti del nascituro. I gameti possono essere sia quelli della coppia che non può concepire che di donatori esterni.

La gestazione per altri è illegale in Italia, mentre all’estero la giurisdizione varia da Paese a Paese. In alcuni casi è legale anche quando prevede un compenso economico – è il caso degli Stati Uniti e dell’India – in altri è consentita a determinate condizioni anche nei Paesi Bassi, in Grecia, Repubblica Ceca, Cuba, Regno Unito, Albania, Ucraina e Georgia. Quando non prevede un compenso economico si parla di “gravidanza per altri altruistica”. Sebbene si parli spesso della GPA come una questione di diritti Lgbtqai+, le stime indicano che a livello globale in quasi 7 casi su 10 le coppie che usufruiscono della maternità surrogata sono eterosessuali. In Italia, i dati sono ancora più polarizzati: la GPA per le coppie omosessuali sarebbe infatti limitata solo al 10% dei casi.

Grey. Conosciuto anche come gray-A, è un termine ombrello che viene utilizzato per descrivere le persone asessuali o aromantiche che provano attrazione occasionalmente, raramente o solo in determinate condizioni.

Queste persone possono anche usare termini come gay, bisessuale, lesbica, etero o queer in combinazione con “grey” per spiegare la direzione dell'attrazione romantica o sessuale mentre la sperimentano.

Il termine può essere utilizzato sia in relazione all’asessualità che all’aromanticismo, poiché come abbiamo visto non c’è una correlazione tra l’attrazione sessuale e quella romantica ed emotiva.

Franco Grillini (Pianoro, 14 marzo 1955), è un giornalista, attivista e politico italiano, presidente onorario di Arcigay.

Tra i fondatori del Circolo di cultura omosessuale 28 giugno nel cassero di Porta Saragozza a Bologna – che dalla sua sede prenderà poi il nome di Il Cassero – nel 1985 Grillini è stato tra i fondatori di Arcigay Nazionale, di cui è stato segretario e poi, dal Congresso di Rimini, Presidente dal 1987 al 1998.

Sotto la sua presidenza, le principali linee di azione dell’associazione furono la richiesta di una legge che punisse le discriminazioni degli omosessuali e il riconoscimento giuridico delle coppie omosessuali.

Nel 1987 si è candidato alle elezioni politiche con il Partito Comunista con lo slogan “RENDI VISIBILE LA LIBERTÀ, manda un GAY in Parlamento” e una campagna elettorale incentrata proprio su due proposte di legge mirate a realizzare questi obiettivi.

Lo stesso anno è stato trai fondatori della “LILA - Lega italiana per la lotta contro l'Aids -", mentre 10 anni dopo ha ideato e fondato la LIFF, Lega Italiana delle Famiglie di Fatto.

Come giornalista ha dato prima vita alla rivista CON/TATTO nel 1989, di cui era direttore responsabile, poi (il 29 maggio 1998) ha aperto il sito web N.O.I. - Notizie Omosessuali Italiane -, che nel 2004 si è trasformato in Gaynews.it, una sorta di agenzia di stampa a tematica Lgbtqai+.

È stato un deputato della XIV e XV legislatura, da maggio 2001 all’aprile 2008. Membro della Commissione Giustizia, ha presentato 18 proposte di legge. Nel corso della legislatura ha presentato 27 interrogazioni parlamentari, 10 interpellanze, una mozione e 25 ordini del giorno, molte delle quali interpellanze relative alla comunità gay e lesbica italiana e al problema Aids.

Nel 2004 è riuscito a iscrivere all'ordine del giorno della Commissione Giustizia della Camera la proposta di legge sul Pacs (Disciplina del patto civile di solidarietà e delle unioni di fatto (3296)), il "Patto Civile di Solidarietà", una forma di unione civile mai diventata legge.

Hate speech. L’enciclopedia Treccani definisce l’hate speech “Espressione di odio rivolta, in presenza o tramite mezzi di comunicazione, contro individui o intere fasce di popolazione (stranieri e immigrati, donne, persone di colore, omosessuali, credenti di altre religioni, disabili, ecc.)”.

I discorsi di odio si sviluppano soprattutto sul web, dove le persone Lgbtqai+ sono tra le vittime principali: secondo la Mappa social dell’intolleranza disegnata da Vox, l’odio online è sempre più radicalizzato e le persone omosessuali sono al terzo posto tra chi ne riceve di più, dopo donne e disabili. Dopo anni di indifferenza, o quasi, da parte degli haters online, nel 2022 l’8,78% dei tweet negativi sono stati rivolti alle persone omosessuali, soprattutto dopo eventi mediatici come il Pride o dibattiti politici (es. Ddl Zan), ma anche spettacoli come il Festival di Sanremo, quando il comico Checco Zalone ha raccontato la «storia Lgbtq+ ambientata in Calabria» sul palco dell’Ariston, e in generale in concomitanza con aggressioni omofobe.

Tra le zone più intolleranti ci sono il Veneto, la Calabria, e la città di Bari. Secondo l’Istat, le offese legate all’orientamento sessuale ricevute online riguardano il 31,3% delle persone. Escludendo episodi avvenuti in ambito lavorativo, l’11,7% afferma di aver subito, negli ultimi tre anni, minacce e l’8,8% aggressioni violente per motivi legati all’orientamento sessuale.

Hiv/Aids. Il 5 giugno 1981 il Centers for Disease Control and Prevention di Atlanta (Cdc) riportava sul bollettino epidemiologico settimanale l’insolito aumento, in giovani maschi apparentemente immunocompetenti, di polmoniti causate da Pneumocystis carinii (Pcp), un’infezione opportunistica capace di svilupparsi in pazienti debilitati da un deficit immunitario. È la prima testimonianza dell’epidemia di Aids, la Sindrome da Immunodeficienza Acquisita, che nei successivi trenta anni avrebbe portato alla morte di 25 milioni di persone in tutto il mondo.

Poiché la malattia si presentò soprattutto in giovani maschi gay, la stampa individuò nei soli omosessuali le vittime della morbo letale e, in assenza di un nome preciso, i giornalisti si sbizzarrirono nella creazione di nomi attraverso cui riferirsi alla sindrome che contemplavano, nella quasi totalità dei casi, il termine “gay”: gay compromise sindrome, cancro gay, morbo gay, peste gay e, soprattutto, GRID, acronimo usato anche in ambito scientifico nelle prime fasi di studio per riferirsi alla Gay-Related Immune Deficiency.

Fu solo nel 1982 che la malattia ebbe finalmente il nome ufficiale di Aids, Acquired Immune Deficiency Syndrome. Nell’aprile del 1984, un virus identificato l’anno precedente, che in seguito avrebbe preso il nome di Hiv (Human Immunodeficiency Virus), fu ufficialmente dichiarato l’agente responsabile dell’Aids, rendendo possibile effettuare test per valutare la presenza dell’infezione - o “sieropositività” - anche in una fase asintomatica.

Per tre anni, dalla comparsa della malattia all’individuazione del virus, il “morbo gay” aveva scatenato il panico nella popolazione e, complici campagne mediatiche (e talvolta istituzionali) che individuavano categorie e non comportamenti a rischio, si era rafforzata l’idea che l’Aids fosse un castigo divino per punire i peccatori. Una convinzione che, nonostante le scoperte scientifiche, faticò a morire anche negli anni successivi.

Homosexual. “La legge non deve occuparsi del fatto che l’omosessualità sia innata o no, deve interessarsi solo ai pericoli personali e sociali associati a essa. […] Non otterremmo nulla provando l’innatezza oltre ogni ragionevole dubbio. Al contrario dovremo convincere i nostri oppositori che essi non dovrebbero avere niente a che fare con questa inclinazione, sia che sia innata sia che sia intenzionale, dal momento che lo Stato non ha il diritto di intervenire in nulla di ciò che accada tra due persone consenzienti di più di 14 anni, che non coinvolga la sfera pubblica né i diritti di terze parti”.

Questa lettera, inviata da Karl-Maria Kertbeny, scrittore e patriota ungherese a un amico (probabilmente Karl Henrik Ulrichs) nel 1868, è la prima attestazione del termine homosexuel, coniato dallo stesso Kertbeny l’anno precedente. Questo neologismo impuro, che affianca al greco ὅμος (hòmos) = “uguale” il termine latino sexualis = “che ha a che vedere col sesso”, era stato coniato in risposta al più famoso uraniano (Urnig in tedesco), inventato nel 1862 da Karl Henrich Ulrichs.

Kertbeny non condivideva, infatti, la visione secondo cui gli omosessuali rappresentavano una sorta di terzo sesso, per questo utilizzò homosexual (Homosexualität) per rimarcare come si trattasse invece di persone che, sebbene del tutto uguali alle altre, erano attratte da individui del loro stesso genere.

Le persone cresciute in una società omofobica, eterosessista e discriminatoria, possono apprendere idee negative sull'omosessualità e sulle identità di genere non binarie.

Questo accade non solo alle persone eterocisgender ma anche alle persone Lgbtqai+, in particolare quelle cresciute in ambienti fortemente religiosi o conservatori, che attraverso un processo di interiorizzazione possono essere portati a pensare che l'eterosessualità sia la norma e il "modo corretto di essere", sviluppando quelle che vengono chiamate “omofobia interiorizzata” o “oppressione interiorizzata”.

Queste possono manifestarsi in vari modi, tra cui:

· negazione dell'orientamento sessuale o dell’identità di genere;

· tentativi di alterare o cambiare l’orientamento sessuale, a volte sposando qualcuno dell'altro sesso per ottenere l'approvazione sociale o nella speranza di "essere curato";

· bassa autostima, immagine corporea negativa;

· disprezzo per i membri più aperti o evidenti della comunità Lgbtqai+;

· disprezzo per coloro che si trovano nelle prime fasi del processo di coming out;

· negazione del fatto che l'omofobia, l'eterosessismo, la bifobia o il sessismo siano gravi problemi sociali;

· disprezzo per coloro che non sono come noi o disprezzo per coloro che sembrano come noi;

· proiezione del pregiudizio su un altro gruppo target;

· vergogna o depressione; difesa; rabbia o amarezza;

· assenza di scuola o abbandono scolastico. Inoltre, assenteismo sul posto di lavoro o riduzione della produttività;

· automonitoraggio continuo dei propri comportamenti, manierismi, convinzioni e idee;

· pratiche sessuali non sicure e altri comportamenti distruttivi di assunzione di rischi, incluso il rischio di Hiv e altre malattie sessualmente trasmissibili.

“Intragender “indica una modalità di genere – la corrispondenza o la mancanza di corrispondenza tra il proprio sesso assegnato alla nascita e la propria effettiva identità di genere – che descrive un individuo che, pur non essendo cisgender, ha un'esperienza simile a quella degli individui cisgender. Questo può significare:

• identificarsi parzialmente con il genere assegnato;

• identificarsi con un'identità di genere simile/comparabile al genere assegnato;

• sentire che la propria identità di genere è fortemente influenzata dal genere assegnato.

Il termine “intragender” può indicare anche un tipo specifico di xenogender che, come vedremo, è un termine ombrello per identità di genere non binarie che non possono essere completamente descritte attraverso la loro relazione con concetti tipicamente usati per descrivere il genere come maschio, femmina, donna, uomo, mascolinità, femminilità, androginia, neutralità.

In the closet (nell’armadio), talvolta anche closeted, è una metafora per indicare le persone Lgbtq+ che non hanno rivelato il proprio orientamento sessuale o identità di genere o alcuni aspetti di questa, tra cui l'identità sessuale e il comportamento sessuale.

Questa metafora è associata e talvolta combinata con il coming out, l'atto di rivelare la propria sessualità o genere agli altri, per creare la frase coming out of the closet.

Secondo il dottor Travers Scott questi termini hanno origine in due diverse metafore. Coming out è stata inizialmente una frase usata all'inizio del XX secolo per riferirsi a una giovane donna che partecipava a un ballo delle debuttanti e che, quindi, stava "facendo coming out" nella società.

La parola closet, invece, in passato significava "camera da letto", quindi la propria sessualità non veniva mostrata al di là.

Degli anni '60, la metafora dello "scheletro nell'armadio" – che intendeva nascondere un segreto dovuto a tabù o stigmi sociali – è stata utilizzata anche in riferimento a un'identità di genere o una sessualità che si potrebbe non voler rivelare.

Secondo lo studio The other kind of coming out: transgender people and the coming out narrative genre, la comunità transgender può utilizzare un vocabolario diverso per riferirsi allo stato di rivelazione della propria identità di genere, utilizzando a esempio "stealth" al posto di closeted. Uno studio del 2019 della Yale School of Public Health ha stimato che l'83% delle persone Lgbtqai+ nel mondo non rivela il proprio orientamento sessuale, con percentuali che secondo altre ricerche variano dal 94,8% dell’Africa del Nord e del Medio Oriente, all'89,5% dell'Africa subsahariana, l’85% della Cina e il 30% dell’Ue.

Marsha P. Johnson (Elizabeth, 24 agosto 1945 – New York, 6 luglio 1992) è stata una delle figure più importanti del movimento per i diritti dei gay e delle persone trans degli anni '60 e '70 a New York City, una drag queen e una sostenitrice dei giovani senzatetto Lgbtqai+, delle persone colpite da Hiv e Aids e dei diritti di gay e transgender.

Dopo il diploma si trasferì a New York, adottò prima il nome Black Marsha e in seguito Marsha P. Johnson.

La "P" stava per Pay It No Mind (non farci caso), una frase che divenne il suo motto. Johnson si descriveva come una persona gay, un travestito e una drag queen e usava i pronomi she/her; il termine transgender è diventato comune solo dopo la sua morte.

Nella notte tra il 27 e il 28 giugno 1969 raggiunse assieme all’amica Sylvia Rivera lo Stonewall Inn, dove la rivolta era già iniziata. Ci sono diverse storie sul loro ruolo nella protesta: secondo un resoconto, Johnson "aveva lanciato un bicchiere contro uno specchio, nel locale in fiamme, e aveva urlato I got my civil rights ([anche] io ho i miei diritti civili)", in altri non si trovano riscontri, ma non è indubbio il ruolo di primo piano nei Moti di Stonewall e nella successiva nascita del movimento di liberazione omosessuale.

Lei e Rivera furono le icone delle prime azioni contro le forze dell’ordine e diedero vita alle parate nel 1970, i primi Pride, sotto il nome di Gay Liberation Front, di cui furono tra le fondatrici. Assieme fondarono l'organizzazione per gay, trans e persone genderqueer Street Transvestite, Action Revolutionaries (Star), in italiano conosciuta come Azione Travestite di Strada Rivoluzionarie.

Christine Jorgensen (New York, 30 maggio 1926 – San Clemente, 3 maggio 1989) è stata la prima persona a diventare conosciuta per aver subito un intervento chirurgico di riassegnazione del sesso.

Il 1° dicembre 1952 il New York Daily News raccontò la sua storia in un pezzo intitolato "Ex-GI becomes blond beauty"; "Ex soldato diventa una bella bionda"). L’articolo raccontava che Jorgensen era stata la prima persona a sottoporsi con successo a un'operazione chirurgica per il cambio di sesso, anche se questo non era esatto, perché operazioni chirurgiche di vaginoplastica erano state eseguite fin dal 1930.

Jorgensen – che scelse il nome “Christine” in onore del dottor Christian Hamburger, il chirurgo che eseguì l'operazione in Danimarca e che supervisionò la sua terapia ormonale – divenne una volenterosa portavoce di transessuali e transgender durante gli anni settanta e ottanta girò nei campus universitari e in altri luoghi per parlare della sua esperienza. Ai genitori, in una lettera per annunciare il cambio di sesso, scrisse “"La Natura ha fatto un errore, che io ho corretto, e ora sono vostra figlia".

Nei suoi ultimi anni lavorò come attrice teatrale e intrattenitrice da nightclub. Morì di cancro all'età di 62 anni nel 1989. Proprio in quell’anno affermò di aver dato alla rivoluzione sessuale "un bel calcio nei pantaloni".

Nella notte tra il 27 e il 28 giugno 1969, otto agenti della polizia di New York facevano irruzione allo Stonewall Inn, il più popolare bar gay del Greenwich Village, per arrestare il proprietario, sprovvisto della licenza per la vendita degli alcolici, e allontanare gli avventori.

Le retate, sebbene diradatesi negli ultimi anni, erano una costante nei locali omosessuali e nulla quella sera faceva presagire che il raid della polizia sarebbe stata una scintilla capace di far scoppiare la rivolta che avrebbe cambiato per sempre il corso della storia del movimento omosessuale, non solo statunitense ma internazionale.

Quella sera, però, i frequentatori del bar non si allontanarono, alcuni dicono perché provati emotivamente dal funerale di Judy Garland, più probabilmente sull’onda delle proteste anti-autoritarie del Sessantotto e della ormai radicata idea che le minoranze avessero il diritto di rivendicare la loro dignità.

Quando la polizia tentò di sgomberarli, risposero con un lancio di monetine e di bottiglie, intonando verso le squadre anti-sommossa una cantilena che sarebbe rimasta nella Storia, mentre la polizia si rifugiava all’interno del bar.

We are the Stonewall girls

We wear our hair in curls

We wear no underwear

We show our pubic hair…

We wear our dungarees

Above our nelly knees!

La protesta omosessuale, al grido di Gay Power!, sarebbe durata tre giorni, trascorsi i quali «i froci avevano perduto quel loro sguardo ferito» come chiosò poeticamente Allen Ginsberg, cantore omosessuale della beat generation.

Kertbeny, al secolo Karl Maria Benkert, è stato uno scrittore e patriota ungherese. Nel 1868 ha coniato il termine homosexual.

Pur non essendosi mai dichiarato apertamente omosessuale, Kertbeny si fece promotore di una battaglia contro l’inserimento del paragrafo 143 del Codice Pussiano del 14 aprile 1851 – atto a reprimere gli “atti contro natura” tra persone dello stesso sesso e con animali - all’interno del codice del nuovo Bund formatosi nel 1866.

Nel 1869, quindi, indirizzo un pamphlet anonimo ad Adolf Leonhardt, ministro della giustizia prussiano che si accingeva a redigere il nuovo Codice Penale della Confederazione Germanica del Nord. Il testo si intitolava Il paragrafo 143 del codice penale prussiano del 14 arile 1851 e la sua conferma come Paragrafo 152 nella proposta di codice penale per la Confederazione della Germania del Nord: qui, la parola Homosexualität era utilizzata, per la prima volta, pubblicamente. Un secondo pamphlet, redatto immediatamente dopo, ribadiva la necessità di non inserire il paragrafo 143 nel nuovo Codice Penale poiché lesivo dei diritti umani.

Nonostante gli sforzi di Kertbeny, il paragrafo 143 entrò a far parte del Codice della Confederazione Germanica come §152. Poi, attraverso successive modifiche (eminentemente nominali) nel 1871 fu inserito nel nuovo codice del Secondo Reich tedesco, diventando tristemente famoso come “paragrafo 175” (formalmente §175 StGB).

Il termine inglese kink (come il suo derivato kinkiness e l'aggettivo kinky) descrive una gamma di pratiche sessuali non convenzionali, come feticismi o Bdsm (schiavitù, disciplina, sadismo e masochismo). Esempi di pratiche kinky sono il gioco con la cera, il bondage, lo spanking, il pony-play e altri giochi di dominazione-sottomissione o umiliazione erotica, ma anche l’esibizionismo, i fetish e secondo alcuni il sesso di gruppo. Il termine è generalmente contrapposto a vanilla, che definisce le pratiche più usuali.

Molto spesso le persone kinky (kinkster) subiscono stigma, discriminazioni, patologizzazione e talvolta perfino ostacoli alla custodia deə propriə figliə a causa dei loro comportamenti sessuali: del resto, l’immagine preferita dagli omofobi per screditare le persone Lgbtqai+ è quella di uomini in perizoma di pelle (spesso fotografati in occasione del Pride) a cui, ci viene chiesto, “affidereste mai dei bambini?”.

I punti di contatto con le persone queer sono numero: per questo, secondo alcune persone, all’acronimo Lgbtqai+ dovrebbe essere aggiunta la K di Kink. Su questo punto, la comunità Lgbtqai+ ha pareri contrastanti.

Nel 1948 Alfred Kinsey e i suoi colleghi Wardell Pomeroy e Clyde Martin pubblicarono la ricerca Sexual behaviour in the Human Male, in cui si diceva che il 10% della popolazione fosse omosessuale (erano stati "più o meno esclusivamente omosessuali per almeno tre anni nell'età tra i 16 e i 55 anni").

Secondo i risultati dello studio, quasi il 46% dei soggetti maschi ha "reagito" sessualmente a persone di entrambi i sessi nel corso della sua vita adulta e il 37% ha avuto almeno una esperienza omosessuale. L'11,6% degli uomini bianchi tra i 20-35 anni aveva “comportamento o attrazione ugualmente eterosessuale e omosessuale”.

Il 7% delle donne single tra i 20–35 anni e il 4% di donne tra i 20–35 anni che erano state sposate aveva “comportamento o attrazione ugualmente eterosessuale e omosessuale”.

Dal 2% al 6% delle donne di età tra i 20–35 anni era “prevalentemente omosessuale” e tra l'1% e il 3% di donne non sposate tra i 20–35 anni era “esclusivamente omosessuale”.

Crollava così la tesi che l’eterosessualità fosse norma indiscutibile e l’omosessualità una devianza che interessava un piccolissimo numero di diversi.

Questo da un lato portò a riconsiderare il fenomeno dell’omosessualità, dall’altro permise ai singoli omosessuali di comprendere che non erano soli. I dati del Rapporto Kinsey, tuttavia, non sono ritenuti attendibili, poiché il campione d’indagine fu abbastanza limitato e la valutazione degli intervistati non rispose, spesso, al loro comportamento sessuale effettivo.

Per la valutazione degli intervistati, la ricerca introduceva la cosiddetta Scala Kinsey (o Heterosexual-Homosexual Rating Scale) che, nonostante le sue limitazioni, è stata la prima scala scientifica a suggerire che la sessualità umana e l'attrazione sessuale sono un continuum e non si limitano esclusivamente agli orientamenti eterosessuali o omosessuali.

“Il mondo non è diviso in pecore e capre. Non tutte le cose sono bianche o nere. È fondamentale nella tassonomia che la natura raramente ha a che fare con categorie discrete. Soltanto la mente umana inventa categorie e cerca di forzare i fatti in gabbie distinte. Il mondo vivente è un continuum in ogni suo aspetto. Prima apprenderemo questo a proposito del comportamento sessuale umano, prima arriveremo a una profonda comprensione delle realtà del sesso”, spiegò Kinsey per illustrare il modo in cui la sessualità umana non è divisa in compartimenti stagni, ma varia secondo un criterio di gradualità anche nel medesimo individuo, a seconda delle circostanze ambientali e legate all'età.

La scala Kinsey è formata da 7 livelli, va da 0 a 6 e include una categoria aggiuntiva denominata "X". Ecco le varie classificazioni e le loro definizioni:

0: Comportamento o attrazione esclusivamente di sesso opposto/eterosessuale

1: Prevalentemente eterosessuale, ma leggermente incline a essere attratto dallo stesso sesso o ad assumere comportamenti omosessuali

2: Prevalentemente eterosessuale, ma più che leggermente incline a essere attratto dallo stesso sesso o ad assumere comportamenti omosessuali

3: comportamento o attrazione ugualmente eterosessuale e omosessuale

4: Prevalentemente omosessuale, ma più che leggermente incline a essere attratto dal sesso opposto o ad assumere comportamenti eterosessuali

5: Prevalentemente omosessuale, ma leggermente incline a essere attratto dal sesso opposto o ad assumere comportamenti eterosessuali

6: Comportamento o attrazione esclusivamente omosessuale/omosessuale

X: Nessun contatto o reazione socio-sessuale/asessuale

Lambda è stato uno dei principali periodici del movimento di liberazione omosessuale italiano, pubblicato dal 1976 al 1982.

Fondato a Torino per prendere il posto del Fuori!, in una prima fase ebbe come direttore responsabile Angelo Pezzana, mentre Felix Cossolo si occupava della direzione editoriale.

Dopo i primi 10 numeri, nel 1978 Pezzana abbandonò la rivista, in polemica con Cossolo che aveva pubblicato una falsa intervista al leader del Partito Radicale Marco Pannella in cui si fingeva che avesse fatto coming out.

L’impostazione che Cossolo aveva dato alla rivista si era progressivamente allontanata dal progetto originario su cui Lambda era nata, distaccandosi sempre più dalle posizioni del Fuori! Ormai federato al Pr e avvicinandosi a quelle degli autonomi e, una volta consolidatasi la frattura, "Lambda” cerco di ricrearsi come punto di riferimento e di collegamento tra i collettivi, come nuovo strumento d’informazione omosessuale.

Nella Dichiarazione di Primavera dei Collettivi Autonomi si legge, infatti, “Il movimento gay si impegna affinché lambda diventi l’espressione fedele dell’intero movimento omosessuale". La rivista si rivolgeva quasi esclusivamente a un pubblico maschile, ma per un periodo propose alcune pagine a tema specificamente lesbico, curate dalle “Brigate Saffo”.

Dal 1979, come strumento di finanziamento della rivista Cossolo lancio i “campeggi gay”: il primo si era tenuto a Capo Rizzuto, in Calabria, e aveva rappresentato un’occasione di incontro, di svago e di riflessione politica.

Lamba chiuse i battenti nel 1982, quando Cossolo si unì a Ivan Teobaldelli e si trasferì a Milano per lanciare il primo mensile gay da edicola, Babilonia.

Se ti chiedessimo di dare la definizione dei termini che compongono la sigla Lgbtqai+, acronimo-ombrello che include chiunque sia non eterosessuale o non cisgender, riusciresti a spiegarli tutti? Oggi ripassiamo le 8 lettere e andiamo alla scoperta delle bandiere che le rappresentano.

L come lesbian. L’aggettivo “lesbica” indica una donna la cui attrazione fisica, romantica e/o emotiva è verso altre donne. Alcune lesbiche potrebbero preferire identificarsi come gay o come donne gay.

Il termine, nato come dispregiativo, deriva dall'isola di Lesbo, dove nel VII secolo a.C visse la poetessa Saffo che nei suoi versi esaltò la bellezza della femminilità e dell'eros tra donne.

G come gay. L'aggettivo “gay” descrive le persone le cui attrazioni fisiche, romantiche e/o emotive sono per le persone dello stesso genere.

Nato come termine dispregiativo prima per indicare tutte le persone “lussuriose” e “depravate” – “gay woman” era utilizzato per indicare le prostitute, mentre una gay house era un bordello – a partire dagli anni ‘30 ha assunto la connotazione di “omosessuale” utilizzata in modo offensivo.

Nel 1969 i militanti omosessuali scelsero di appropriarsi del termine e auto-definirsi utilizzando quello che per anni era stato uno slur. Per anni, quindi, “gay” ha quindi assunto la connotazione di “omosessuale orgoglioso e militante". Oggi, però, ha perso questa carica politica e viene utilizzato per indicare chi ha un’attrazione fisica, romantica o emotiva per persone del suo stesso sesso, in particolare gli uomini.

B come bisexual. Una persona bisessuale può avere attrazione fisica, romantica e/o emotiva per persone dello genere o per più di un genere. Le persone possono sperimentare questa attrazione in modi e gradi diversi nel corso della loro vita. Le persone bisessuali non devono aver avuto esperienze sessuali specifiche o relazioni per essere bisessuali, né è necessario che abbiano avuto alcuna esperienza sessuale per identificarsi come bisessuali.

Spesso si utilizza il termine “bisex” come sinonimo di “bisexual” o come abbreviativo di bisessuale, ma questo è un errore. Si tratta di una parola offensiva e invalidante, perché nata per indicare la categoria porno dei threesome e non un orientamento sessuale. L’abbreviativo corretto è “bi”.

T come transgender. Transgender è un termine ombrello per definire le persone la cui identità di genere e/o espressione di genere differisce da ciò che è tipicamente associato al sesso loro assegnato alla nascita. Le persone sotto l'ombrello transgender possono descrivere se stesse usando uno o più di un'ampia varietà di termini, inclusi transgender, transessuale, trans o non binarie.

Ad alcune persone transgender vengono prescritti ormoni dai loro medici per allineare i loro corpi con la loro identità di genere e alcune persone si sottopongono anche un intervento chirurgico di riassegnazione di genere. Non tutte le persone transgender possono o vogliono fare questi passi, e un'identità transgender non dipende dall'aspetto fisico o dalle procedure mediche.

Le persone transgender possono essere eterosessuali, bisessuali, omosessuali, pansessuali o asessuali: l’identità di genere, infatti, è slegata dall’orientamento sessuale.

Q come queer. Queer è un aggettivo usato da alcune persone il cui orientamento sessuale non è esclusivamente eterosessuale o etero. Questo termine generico include persone che hanno identità non binarie, fluide di genere o di genere non conformi. Nato come termine dispregiativo, queer è stato ripreso da alcune persone Lgbtqai+ per descrivere se stesse; tuttavia, non è un termine universalmente accettato nemmeno all'interno della comunità.

A volte, la Q può anche significare questioning, un termine che descrive qualcuno che sta mettendo in discussione il proprio orientamento sessuale o identità di genere.

A come asexual. L'aggettivo “asessuale” descrive una persona che non prova attrazione sessuale verso alcun genere. A volte abbreviato in "ace" (dall’abbreviazione fonetica di asexual), è un termine generico che può includere anche le persone demisessuali – che provano attrazione sessuale solo verso persone con cui hanno stretto un forte legame e un coinvolgimento emotivo – e greysessuali, che sperimentano attrazione sessuale in misura minore rispetto alle persone allosessuali o solo in alcune situazioni o periodi particolari. L’asessualità è quindi uno spettro e sono diverse le sfumature in cui può manifestarsi.

Le persone asessuali possono essere o meno aromantiche: in questo caso, provano poca o nessuna attrazione romantica e/o hanno poco o nessun desiderio di formare relazioni romantiche.

I come Intersexual. “Intersessuale” o intersexual è un aggettivo utilizzato per descrivere una persona con una o più caratteristiche sessuali innate, inclusi i genitali, gli organi riproduttivi interni e i cromosomi, che esulano dalle concezioni tradizionali dei corpi maschili o femminili.

Alle persone intersessuali viene assegnato un sesso alla nascita - maschio o femmina - e tale decisione da parte di operatori sanitari e genitori potrebbe non corrispondere all'identità di genere del bambino o della bambina. In alcuni casi, se il sesso del neonato è difficile da assegnare, i genitali vengono resi “conformi” o “normalizzati” attraverso operazioni chirurgiche e trattamenti ormonali. Trattamenti irreversibili, vere e proprie mutilazioni genitali che possono avere ripercussioni fisiche – genitali sfregiati e non funzionali, sterilità, dolore cronico, perdita importante o totale di sensibilità genitale, incontinenza urinaria e/o fecale e scompensi ormonali – e psicologiche profonde.

Secondo l’ultimo rapporto dell’Ilga, l’integrità corporea delle persone intersesessuali è una tendenza in aumento in Europa. La Grecia ha adottato il divieto di interventi medici non vitali sui bambini, compreso il divieto di mutilazione genitale intersessuale, e più in generale c’è stato un movimento positivo verso il riconoscimento della questione a livello istituzionale in Europa. L’Italia, invece, è rimasta ferma. Secondo le stime le persone che presentano dei tratti intersessuali sono tra lo 0,5% e l’1,7 % della popolazione, ma secondo la biologa Anne Fausto-Sterling il numero reale è sottostimato e la percentuale dovrebbe aggirarsi attorno al 4%. Solo per avere un’idea di che numeri stiamo parlando, le persone con i capelli rossi sono tra l’1 e il 2% della popolazione.

Non tutte le persone intersessuali si identificano come parte della comunità Lgbtqai+.

PS: + è un simbolo inclusivo che indica tutti gli orientamenti sessuali e identità di genere non etero-conformi

Con il termine linguaggio inclusivo si intende un tipo di linguaggio pensato per evitare pregiudizi e stereotipi. Si tratta quindi di una lingua le cui parole:

· Non rafforzano stereotipi di genere

· Non sono razziste

· Non discriminano le persone in base all’età (ageism)

· Non sono abiliste (cioè non discriminano le persone con disabilità)

Per quanto riguarda sesso e genere, un linguaggio inclusivo può essere realizzato, a esempio, usando sostantivi che non siano specifici di genere per riferirsi a ruoli o professioni, oppure formando le frasi senza un genere predominante.

La nostra lingua presenta diversi ostacoli grammaticali che la rendono particolarmente rigida di fronte a un uso non declinato per genere, per questo sono state proposte diverse soluzioni per parlare e scrivere un italiano più inclusivo, aggirando l’utilizzo del cosiddetto maschile sovraesteso (utilizzato come se fosse neutro) per abbracciare anche le persone femminili e non binarie, utilizzando le loro caratteristiche come aggettivi e non riducendo le persone a uno dei loro aspetti.

Rientrano in questa tipologia di linguaggio non solo i femminili professionali, ma anche le perifrasi che possiamo utilizzare per aggirare termini esclusivamente genderizzati o le introduzioni grammaticali come schwa (ǝ), asterisco, desinenza in x o a/o per sostituire le desinenze di genere.

In linguistica, la schwa corrisponde a un suono vocalico medio, non arrotondato, che viene utilizzato quotidianamente in alcune aree del mondo (non solo in lingue come l’inglese o il francese ma anche in dialetti come il napoletano, il barese o il siciliano: è quindi una vocale caratterizzata da un suono a metà strada fra le altre vocali esistenti, come quello della “a” di “about” o dell’espressione napoletana “mammətə”.

Vladimir Luxuria (Foggia, 24 giugno 1965) è un’attivista, politica, attrice e opinionista italiana, prima persona transgender a essere eletta nel Parlamento di uno Stato europeo.

Il suo impegno nel movimento per i diritti della comunità Lgbtqai+ risale agli anni ottanta, quando è entrata a far parte del Circolo di cultura omosessuale Mario Mieli di Roma. Nel 1993 ne è diventata direttrice artistica, organizzando la serata di autofinanziamento Muccassassina, che negli anni diventa una delle più importanti della Capitale e d’Italia. L’anno successivo, con Imma Battaglia e Vanni Piccolo è stata tra gli organizzatori del primo Gay pride d'Italia, che si tenne a Roma il 2 luglio 1994 e al quale parteciparono circa diecimila persone.

Dal 2006 al 2008 è stata eletta deputata della XV legislatura durante il governo Prodi II, correndo come indipendente con Rifondazione Comunista di Fausto Bertinotti. Prima di lei, nessuna persona transgender era mai stata eletta in Parlamento in Europa.

Durante il suo mandato è stata promotrice e firmataria di diverse proposte di legge, tra cui la n. 2733 del 2007 (Norme in materia di diritti e libertà delle persone transgenere) di cui è stata prima firmataria. La legge, ispirata alla legislazione tedesca e in particolare alla legge 10.9.1980, n. 1654, proponeva la possibilità di chiedere il cambio dei dati anagrafici anche prima dell'operazione di riassegnazione chirurgica del sesso. La proposta non è mai stata approvata, ma nel 2015 una sentenza della Corte Suprema di Cassazione ha stabilito che l’intervento di riassegnazione di genere non è obbligatorio per chiedere il cambio di genere all’anagrafe.

Luxuria non si è mai sottoposta a intervento chirurgico di riassegnazione di genere. Anche per questo, i suoi oppositori politici e haters hanno ripetutamente invalidato la sua identità di genere, facendole ripetutamente deadnaming e accusandola a più riprese di “essere un uomo”, come nel caso della deputata Elisabetta Gardini che nel 2006, dopo aver incrociato Luxuria in uno dei bagni di Montecitorio, ha tentato di cacciarla dicendole “tu sei un uomo, non puoi stare qui devi andare nel bagno degli uomini”.

In seguito, Forza Italia, lo schieramento di Gardini, ha proposto di creare un bagno ad hoc.

In alcuni Stati, ma non in Italia, l’istituto giuridico del matrimonio è aperto a tutte le coppie, anche quelle formate da persone dello stesso genere. In questi casi si parla anche di matrimonio gay, matrimonio omosessuale e matrimonio tra persone dello stesso sesso.

I primi movimenti di liberazione omosessuale avevano rifiutato l’istituzione matrimoniale, visto come uno strumento repressivo della società capitalista ed eterosessuale – nel matrimonio “borghese” si era sempre vista una forma di oppressione patriarcale e gli omosessuali rivendicavano con orgoglio il proprio rifiuto di pretendere per sé la possibilità di riprodurre all’interno delle coppie omo gli stereotipi oppressivi delle coppie “normali” – ma dalla fine degli anni ‘70 il Fuori!-Pr prima e Arcigay poi avrebbero inserito le unioni civili (il matrimonio per tuttǝ sembrava una via difficilmente praticabile) tra le loro rivendicazioni.

È soprattutto dalla fine degli anni ‘80, però, che in Italia si è aperta una battaglia per modificare l’ordinamento esistente per inserirvi delle norme che garantissero l’uguaglianza di tutti i cittadini. Il primo (e unico) vero passo avanti è stato fatto nel 2016, quando la legge 20 maggio 2016, n. 76 (detta anche “legge Cirinnà”) ha introdotto le unioni civili, che prevedono però solo alcuni diritti e doveri analoghi a quelli del matrimonio.

Il primo Paese a introdurre il matrimonio egualitario sono stati i Paesi Bassi nel 2001. Oggi, sono legali in 34 Paesi del mondo (Andorra, Argentina, Australia, Austria, Belgio, Brasile, Canada, Cile, Colombia, Cuba, Costa Rica, Danimarca, Ecuador, Finlandia, Francia, Germania, Irlanda, Islanda, Lussemburgo, Malta, Messico, Norvegia, Nuova Zelanda, Portogallo, Regno Unito, Slovenia, Spagna, Stati Uniti d'America, Sudafrica, Svezia, Svizzera, Taiwan e Uruguay) e nella componente europea del Regno dei Paesi Bassi, mentre nelle altre sue tre nazioni costitutive (Aruba, Curaçao e Sint Maarten) così come in Israele, pur non essendo il matrimonio disciplinato per legge, è permesso alle coppie dello stesso sesso coniugate altrove di registrarvi il proprio matrimonio. Inoltre, Estonia, Armenia e Nepal riconoscono i matrimoni omosessuali celebrati all'estero sotto alcuni aspetti.

Dal 26 giugno 2015, una sentenza della Corte Suprema degli Stati Uniti (Obergefell v. Hodges) ha stabilito che il negare la licenza matrimoniale a coppie dello stesso sesso viola alcune clausole del XIV emendamento della Costituzione degli Stati Uniti d'America. Da quel giorno, il matrimonio egualitario è legale in tutti i 52 Stati.

Mario Mieli (Milano, 21 maggio 1952 – Milano, 12 marzo 1983) è stato un attivista e scrittore, considerato uno dei fondatori del movimento omosessuale italiano e uno dei massimi teorici del pensiero nell'attivismo omosessuale italiano.

Legato al marxismo rivoluzionario, è stato tra i fondatori del Fuori!, ma ve ne si allontanò nel 1974 dopo la svolta riformista e la federazione con il Partito Radicale. Lo stesso anno fondò i Collettivi Omosessuali Milanesi.

Considerato uno dei massimi teorici del genere in Italia, mise in discussione le teorie psicanalitiche, asserendo che il processo di educastrazione portato avanti dall’ambiente familiare reprimeva la la “transessualità, la disposizione erotica polimorfa e «indifferenziata» infantile” e che il contesto sociofamiliare era responsabile non tanto dell’omosessualità – come volevano gli psichiatri – ma della rigida separazione dei ruoli, delle etichette “etero” e “omo”, di una sessualità castrata che inibiva la libera espressione delle naturali pulsioni che sono dentro ogni individuo. Tutti nascono transessuali, spiegava, ma siamo condizionati a considerare l'eterosessualità come "normalità" e tutto il resto come perversione.

Alcuni passaggi dell’opera di Mieli sulla sessualità dei bambini e sulla pederastia sono oggi completamente irricevibili, così come per molti la coprofagia per cui spesso Mieli è ricordato. Nonostante questo la sua vita di eccessi e contraddizioni, la sua follia eversiva, la sua intelligenza e la sua capacità acuta di analizzare la realtà storica ne hanno fatto un punto di riferimento essenziale per il movimento gay, che mai riuscì a “contenerlo”.

A venticinque anni, ricordò Giovanni Dall’Orto nella recensione al libro di Mieli Il risveglio dei faraoni, Mieli era «temuto e riverito da tutti: un semidio, praticamente onnipotente. Intorno a sé aveva il vuoto, quel vuoto che si crea per rispetto e timore che si crea nei confronti di un personaggio importante. Continuava a sorridere e, nonostante salutasse tutti, restava distante, la sua non era la distanza di chi se la tira, piuttosto quella di chi, avendo viaggiato troppo veloce, si ferma ad aspettare che gli altri arrivino…e chissà quando arriveranno e se arriveranno”.

Il 12 marzo 1983 fu ritrovato il corpo di Mieli, che si era tolto la vita nel suo appartamento. Non aveva ancora 30 anni.

Dopo la sua morte, l’associazione romana appena nata dai due collettivi Fuori! E Narciso cambiò nome in Circolo di Cultura Omosessuale Mario Mieli.

Muccassassina è una delle serate Lgbtqai+ più longeve e famose d’Italia. Il nome deriva dell'ex Mattatoio di Testaccio a Roma, nei cui padiglioni si sono svolte le prime serate all’inizio degli anni’90. Per lo stesso motivo, il logo del party è una mucca che impugna una falce per vendicare le sue compagne macellate.

Nato come serata di autofinanziamento del Circolo di Cultura Omosessuale Mario Mieli da un’idea di Francesco Simonetti (killingcow DJ), Rossano Marchi, Giorgio Gigliotti e Francesco Longo, ebbe un successo inaspettato. Nel 1993 la direzione artistica è affidata a Vladimir Luxuria: il party si sposta prima all'Alpheus, una delle discoteche più grandi di Roma, a pochi passi da via Ostiense, poi al Qube di via di Portonaccio, la discoteca più grande di Roma, dove si tiene ancora oggi ogni venerdì, da metà ottobre a giugno.

Negli anni, numerosi personaggi di rilievo nazionale e internazionale hanno partecipato al Muccassassina, sia come ospiti che come avventori. Tra loro Michael Pitt, Platinette, Pamela Prati, Laura Betti, Franca Valeri, Franca Rame, Alexander McQueen, Francesco Totti, Mara Venier, Cicciolina, Monica Guerritore, Loretta Goggi, Rupert Everett, le Spice Girls, Grace Jones, David La Chapelle, Paola & Chiara, Ambra, Serena Dandini, Sergio Rubini, Jimmy Sommerville, Giuliana De Sio, Mita Medici, Lucia Ocone, Amanda Lear, Sabrina Salerno, Rosa Fumetto, Paola Cortellesi, Rettore,

Marina Occhiena, Carla Boni, Cristina D'Avena, Valerio Scanu, Davide Papasidero, Mirko Oliva, Marina Ripa di Meana e Matteo Garrone

Neutrois è un'identità di genere sotto l’ombrello non-binary e transgender in cui il proprio genere è neutro o nullo, ma anche essere associato all'assenza di genere. A causa di questo stato di assenza di genere, è spesso associato a agender o genderless, sebbene non siano necessariamente la stessa cosa.

La parola neutrois è stata creata da una persona neutrois di nome HA Burnham nel 1995 ed è presumibilmente composta dal francese neutre, che significa neutro e dal francese trois, tre, come terzo genere. Poiché il francese trois ha suoni difficili da anglicizzare, alcune pronunce di neutrois in uso sono new-TWA, new-TRAW, new-TROY, new-TROYS, new-TROSS, new-TROZ o new-TROYZ.

Il simbolo neutrois più comunemente usato è ∅, noto anche come segno nullo. È stato usato per la prima volta come simbolo per rappresentare i neutrois nel 2009, sulla prima pagina del sito web neutrois.com. Il cerchio (lettera o) rappresenta la persona/anima (cerchio della vita). La barra diagonale è stata presa dalla barra nel simbolo nullo (il numero zero con una barra diagonale).

La monosessualità è l'attrazione romantica o sessuale per i membri di un solo sesso o genere: una persona monosessuale può identificarsi come eterosessuale o omosessuale. Le persone non-monosessuali, quindi, sono quelle che provano attrazione per più di un genere (bisessuali, pansessuali o identità fluide).

Non binariǝ e genderqueer sono termini generici per le identità di genere che si collocano al di là del binarismo di genere e che non sono quindi esclusivamente maschili né femminili. Le identità non binarie rientrano nell'ombrello transgender, poiché le persone non binarie tipicamente si identificano con un genere diverso dal sesso loro assegnato, ma non tutte le persone non binarie non si considerino transgender.

Le persone non binarie possono identificarsi come un terzo genere intermedio o separato, identificarsi con più di un genere (demigender, bigender, trigender, pangender, polygender od omnigender), nessun genere (agender) o avere un'identità di genere fluttuante (genderfluid o genderqueer). Non binary non è sinonimo di intersessuale e le persone non binary possono avere diversi orientamenti sessuali.

Alla fine degli anni ’40 si erano costituiti, in molti Paesi d’Europa, movimenti che rivendicavano l’emancipazione sociale degli omosessuali, ancora considerati dalle leggi statali dei criminali. Nel 1946 era nato lo Shakespeareklub ad Amsterdam (ribattezzato nel 1949 Cultuur- en Ontspannigsentrum - C.O.C. -, nome col quale sarebbe divenuto famoso), seguito due anni più tardi dal Forbundet, movimento degli omosessuali danesi. Dallo stesso anno, la rivista francese «Arcadie» si era fatta promotrice delle istanze che animavano i movimenti autodefinitisi “omofili”.

La scelta di questo neologismo in cui si eliminava il latino sexualis in favore del greco φιλία (filìa = “inclinazione, amicizia”), racchiude in sé lo spirito che li guidava: spostando l’attenzione dalla sessualità all’affettività, i movimenti omofili cercavano di “nobilitare” la loro lotta, portando avanti una liberazione sessuale eliminando la sfera della sessualità, in un tentativo di assimilazione alla società eterosessuale grazie all’offerta di un modello che da essa potesse essere accettato.

I gruppi omofili provarono a unire le forze nel 1951 nell’International committee for sexual equality (Icse), che aveva come obiettivo politico immediato il riconoscimento, da parte delle Nazioni Unite e da altre organizzazioni internazionali, del diritto inalienabile di ciascun individuo alla libertà sessuale e che tenne il suo primo congresso in Olanda. In Italia Bernardino Del Boca di Villaregia, antropologo, scrittore e militante omosessuale ante litteram se ne fece portavoce: «L’obiettivo di base era l’educazione sessuale, per una eguaglianza sessuale che portasse la libertà sessuale, una sessualità buona, accettata, positiva, che per noi era molto importante», spiegò.

Omofobia, dal greco ὁμός - homòs - (stesso, medesimo) e φόβος - fòbos - (paura) letteralmente significa "paura dello stesso".

Il termine "omo", però, in questa accezione è usato come abbreviazione di "omosessuale", e quindi il termine indica “la paura e l'avversione irrazionale nei confronti dell'omosessualità, della bisessualità e della transessualità e quindi delle persone omosessuali, bisessuali e transessuali basata sul pregiudizio”.

Il termine "fobia" perde il suo significato clinico – l’omofobia non è classificata come una vera fobia e non compare né nel DSM né nella classificazione ICD – e come il termine xenofobia indica genericamente un’avversione.

Il termine è stato coniato dallo psicologo clinico George Weinberg nel suo libro Society and the Healthy Homosexual del 1971.

Generalmente si utilizza il termine omofobia per riferirsi a un’avversione individuale, mentre si preferisce il termine eterosessismo per indicare l’atteggiamento antiomosessuale sistemico e istituzionalizzato.

L’omofobia non riguarda solo le persone eterocisgender, ma può essere interiorizzata anche da parte delle persone appartenenti alla comunità Lgbtqai+, soprattutto se cresciute in contesti fortemente religiosi o conservatori.

Invertiti, capovolti, anormali, pervertiti, orgiasti, sensibili, quelli così, quelli là, uno di quelli, velati, zie, terzo sesso, rapporti innominabili, lo sfondo omosessuale, la sensibilità a ponente, certi ambienti, lo squallido ambiente, quelli dell'altra sponda, quelli dell'altra parrocchia, frocio, ricchione, finocchio, culo, culattone, culano, culatino, bucaiolo, buso o busone, bardassa o bardascia, buggerone, checca, cupio, garrusu, invertito, urningo o uraniano, femminello, mezzafemmina, pederasta, sodomita, invertito, piglianculo…

Il linguaggio dell’eterosessismo è pieno di termini offensivi che sono stati utilizzati (e talvolta continuano a esserlo) per riferirsi alle persone non-eterocisgender.

Non sono (solo) queste, però, le parole dell’omofobia, ma anche quei termini che, all’apparenza innocui e non offensivi, entrano nel linguaggio e nell’immaginario comune, plasmandolo e contribuendo ad alimentare un’immagine profondamente negativa delle persone e della comunità Lgbtqai+. Oggi ne vediamo 3, che sicuramente hai sentito nominare almeno una volta.

Teoria del gender. A volte semplicemente “gender” o “ideologia gender”: si tratta di un prestito dall’inglese gender theory che, nato alla fine degli anni ‘90 per riferirsi agli studi scientifici di genere – accusati di essere un complotto mirante alla distruzione della famiglia e di un supposto ordine naturale su cui fondare la società – oggi è piuttosto un termine ombrello usato contro i movimenti femministi e Lgbtqai+ per opporsi alle loro lotte ed elaborazioni teoriche.

Se a livello accademico è considerata alla stregua di una teoria del complotto, a livello mediatico viene utilizzata come espediente retorico per attaccare la comunità Lgbtqai+ e invalidarne l’inclusione e le rivendicazioni. Spesso, è utilizzato come argomento fantoccio con toni eccessivi e allarmistici giustificati con la necessità di proteggere i bambini: si dice, infatti, che la teoria del gender vorrebbe insegnare la masturbazione a scuola e che vorrebbe confondere i bambini insegnando loro che non esistono i generi maschile e femminile.

Secondo un sondaggio, nel 2019 la maggioranza degli uomini polacchi sotto i 40 anni credeva che «il movimento LGBT e l'ideologia di genere» siano la «più grande minaccia da affrontare nel 21º secolo». L’anno successivo, un sondaggio effettuato su un campione rappresentativo di 1.000 polacchi ha rilevato che il 30% di loro credeva in un «un piano segreto per distruggere in parte la tradizione cristiana assumendo il controllo dei media pubblici».

Lobby gay. La lobby gay (anche nota come lobby Lgbtqai+, in inglese anche "gay mafia") è una teoria del complotto secondo la quale esisterebbero dei gruppi di pressione (lobbisti) che agiscono nell’ombra e che hanno come fine quello di distruggere la famiglia, cancellare le differenze fra uomini e donne, creare una sessualità fluida, educare e plagiare i bambini stravolgendo le leggi naturali e morali e piegando il mondo ai capricci di una minoranza.

Questi gruppi di pressione, che agirebbero nel nome della cosiddetta “ideologia gender”, sono evocati dalla destra radicale e dagli ambienti ultracattolici, ma spesso il termine “lobby gay” viene utilizzato anche per ridicolizzare le richieste del movimento Lgbtqai+ o per riferirsi a supposti privilegi che sarebbero riservati alle persone non-eterocisgender.

Agenda Gay. Il termine “agenda gay” o agenda omosessuale (dall'inglese gay agenda e homosexual agenda) viene utilizzato per riferirsi all'obiettivo di aumentare l'accettazione e l'uguaglianza della comunità Lgbtqai+ attraverso politiche attive, visibilità nei media e cambiamento culturale.

Questa espressione, però, viene utilizzata anche (spesso soprattutto) per riferirsi a una supposta agenda segreta (si parla di hidden agenda) e, quindi, come sinonimo di “piano nascosto dei gay” e si traduce anche in “propaganda omosessuale” o “propaganda gay”.

L'organizzazione GLAAD descrive il termine come "un'invenzione retorica di estremisti anti-gay che cercano di creare un clima di paura rappresentando sinistramente il perseguimento dei diritti civili per le persone LGBT".

L’espressione "agenda gay" è diventata popolare grazie a una serie di video prodotti dal gruppo religioso evangelico Springs of Life Ministries in California. Nel primo video del 1992, che si chiamava The Gay Agenda, appariva Paul Cameron, cofondatore dell'Istituto per la ricerca scientifica della sessualità a Lincoln, in seguito ribattezzato Family Research Institute, affermando che il 75% degli uomini gay ingerisce regolarmente le feci e che il 70-78% ha avuto una malattia sessualmente trasmissibile. A questo video sono seguiti The Gay Agenda in Public Education (1993), The Gay Agenda: March on Washington (1993) e un lungometraggio intitolato “Stonewall: 25 Years of Deception “(1994): in tutti comparivano contributi di oppositori dei diritti Lgbtqai+ e la serie è stata diffusa da organizzazioni cristiane di destra.

L'orientamento sessuale si riferisce all'attrazione fisica, romantica e/o emotiva verso membri dello stesso e/o di altri generi, compresi gli orientamenti lesbici, gay, bisessuali, eterosessuali e pansessuali. Anche l’asessualità può essere considerata un orientamento sessuale.

Non è necessario che le persone abbiano avuto esperienze sessuali specifiche per conoscere il proprio orientamento sessuale, né che abbiano avuto alcuna esperienza sessuale. Allo stesso modo, non è necessario che abbiano una relazione per convalidare il loro orientamento sessuale. a esempio, se una donna bisessuale è in coppia con un uomo, ciò non significa che non sia ancora bisessuale.

L'orientamento sessuale è un concetto completamente separato dall'identità di genere. Per dirla in parole semplici, il primo riguarda da chi sei attrattǝ e di chi ti innamori; la seconda riguarda chi sei. Le persone trans possono essere etero, lesbiche, gay, bisessuali o queer. Una donna trans (una persona il cui sesso assegnato alla nascita era maschile ma ha un’identità di genere femminile) che è attratta esclusivamente dagli uomini si identificherà tipicamente come una donna etero. Viceversa, un uomo trans (una persona Afab che si identifica come uomo) attratto esclusivamente dagli uomini si identificherà tipicamente come gay.

Outing significa rivelare l’orientamento sessuale o l’identità di genere di una persona senza il suo consenso. Abbiamo già visto come e perché sia una cosa completamente diversa rispetto al coming out – nonostante anche la stampa italiana continui a usare i termini come sinonimi – e come sia uno svelamento violento di qualcosa che una persona desidera tenere nascosta.

L’outing, però, secondo alcune teorie non sarebbe solo un atto violento di vendetta o una negligente leggerezza, ma un vero e proprio strumento di lotta politica.

Questa idea si è sviluppata ancora prima che il termine prendesse piede: nel 1982, il giornalista Taylor Branch, definì questa pratica outage, prevedendo che sarebbe diventato un atto politico.

Il primo a utilizzare la parola outing fu William A. Henry, che nel 1990 la utilizzo in un articolo pubblicato su Time dal titolo Forcing Gays Out of the Closet, in cui scriveva: “Frustrati dalla lentezza con cui vengono approvate leggi a tutela dei diritti civili degli omosessuali e dall’indifferenza del governo rispetto all’epidemia di Aids, sempre più attivisti rivendicano il diritto morale a costringere le persone a dichiarare la propria omosessualità, sia per forzarli ad aiutare il movimento, sia per neutralizzarli quali oppositori. Gli obiettivi principali sono le personalità pubbliche e i leader religiosi che potrebbero avere una vita privata omosessuale ma che pubblicamente sostengono misure contro i gay”.

L’outing non avrebbe dovuto essere praticato indistintamente, ma verso quelle persone che mantenevano una doppia vita e un doppio standard stigmatizzando gli omosessuali e l’omosessualità in pubblico ma praticandola nel privato.

A praticare l’outing come atto politico fu anche l’attivista, giornalista, scrittore e conduttore radiofonico Newyorkese Michelangelo Signorile, figura storica dell’attivismo radicale e presidente di Act Up negli anni ’80 e ’90.

La pansessualità è l'attrazione romantica, emotiva e/o sessuale per le persone indipendentemente dal loro genere.

Alcune persone preferiscono il termine "omnisessuale" e ritengono che il termine pansessualità implichi che l’attrazione per le persone non ha nulla a che fare con il genere.

Le persone che preferiscono il termine omnisessuale possono essere attratte da persone di qualsiasi genere, ma il genere è ancora un fattore rilevante nella loro attrazione. Sia "pan" che "omni" significano "tutto" e la distinzione tra omnisessualità e pansessualità non è così netta e alcune persone li usano in modo intercambiabile.

Le persone di qualsiasi identità di genere possono e si identificano come pansessuali.

Alcune persone usano i termini "bisessuale", "pansessuale" e “polisessuale” in modo intercambiabile, ma non sono sinonimi.

La bisessualità, infatti, è l’attrazione per alcune persone di due o più generi, mentre la pansessualità è l'attrazione per una persona indipendentemente dal genere. La polisessualità, infine, l'attrazione per persone di molti, ma non di tutti, i generi.

Angelo Pezzana (Santhià, 15 settembre 1940) è un attivista, politico e giornalista italiano e uno dei maggiori esponenti del movimento di liberazione omosessuale degli anni ‘70.

Nel 1971 fu tra i fondatori del Fuori! (Fronte Unitario Omosessuale Rivoluzionario Italiano), il primo movimento gay italiano, di cui è stato il leader fino al suo scioglimento nel 1982 e fautore della linea riformista opposta a quella rivoluzionaria.

Nel 1972 partecipò alla protesta contro primo congresso organizzato dal Cis “Centro Italiano di Sessuologia”, che si temeva potesse rappresentare un primo tentativo di recriminalizzare l’omosessualità.

Assieme a Françoise Deaubonne del Fhar si iscrisse in incognito al convegno e, di fronte alla platea, prese la parola e affermò “sono omosessuale e sono felice di esserlo”.

Nel 1974 decise di federare il Fuori! con il Partito Radicale di Marco Pannella e nel 1976 si candidò alle elezioni con il Pr.

Primo degli esclusi, sarebbe dovuto entrare alla Camera per la rotazione di metà legislatura, ma non accettò la carica di deputato e continuò la militanza fuori dal Parlamento.

Si servì comunque del tesserino di riconoscimento di Montecitorio (che deteneva in qualità di deputato supplente) e della carta intestata della Camera dei Deputati per scrivere un telegramma in favore di Serghej Paradjanov, regista sovietico arrestato nel 1974 in virtù dell’articolo 121 del Codice Penale sovietico che puniva l’omosessualità. La battaglia in favore del regista nel 1977 lo portò fino a Mosca dove, solo, manifestò per la sua liberazione.

Dal 1976 al 1978 è stato direttore responsabile di Lambda, periodico del movimento, ma ritirò la firma in polemica con il direttore editoriale Felix Cossolo, che aveva pubblicato una finta intervista con il coming out di Marco Pannella.

Nel tempo, Pezzana si è spostato su posizioni più conservatrici: è fortemente schierato dalla parte di Israele nel conflitto mediorientale e nel 2001 ha creato il sito informazionecorretta.com, come strumento di analisi e critica dell’informazione italiana su Israele. Collabora con testate come il Giornale, il Foglio, Libero e con i periodici ebraici Shalom e Bollettino.

Un tempo conosciuto come Gay Pride, oggi semplicemente “Pride”, è una marcia per ricordare i Moti di Stonewall, la rivolta contro la polizia avvenuta a New York nella notte tra il 27 e il 28 giugno 1969, simbolicamente considerata la nascita dei moderni movimenti di liberazione omosessuale.

La parata, che si tiene generalmente nel mese di giugno in diverse città del mondo, non è solo un evento celebrativo, ma una rivendicazione dell'accettazione sociale e dell'auto-accettazione delle persone lesbiche, gay, bisessuali, transgender, asessuali, non-binarie e queer, un grido liberatorio e un momento di lotta per i diritti civili e legali di tuttǝ.

Le prime marce del Pride sfilarono a New York, Los Angeles e Chicago il 28 giugno 1970. Migliaia di persone Lgbtq+ si riunirono per commemorare Stonewall e manifestare per la parità dei diritti.

L’Italia avrebbe dovuto aspettare il 2 luglio 1994 per il suo primo pride “ufficiale”: organizzata dal Circolo Mario Mieli e da Arcigay, la prima celebrazione nazionale del movimento gay italiano vide la partecipazione di circa 10.000 manifestanti che sfilarono per le strade della Capitale.

22 anni prima, però, di fronte al Casinò di Sanremo si era tenuto quello che possiamo considerare il primo, vero, pride italiano: il 5 aprile1972, infatti, i membri del Fuori! di Torino, i militanti del Fhar francese, del Glf inglese e belga si erano radunati per protestare contro il primo congresso organizzato dal Cis - “Centro Italiano di Sessuologia” - (vicino ad ambienti cattolici e vaticani) in occasione del quale psicanalisti di fama internazionale avrebbero dovuto discutere dei «Comportamenti devianti della sessualità umana», tra cui l’omosessualità, e proporre terapie per curarli.

Per la prima volta anche in Italia gli e le omosessuali uscivano fuori per rivendicare il loro orientamento sessuale con orgoglio e per rigettare la psicanalisi che li voleva “malati” e che poteva – e secondo alcune voci doveva – servire per renderli dei criminali.

Fuori dal Casinò la polizia sequestrò tutti i cartelli dei manifestanti, facendo sparire le scritte “La normalità non esiste” “Gay è orgoglio” “Gli omosessuali escono fuori e con orgoglio”; dentro le sale, la relativa tranquillità in cui si era svolto il Congresso durò fino al pomeriggio quando, dopo un’animata discussione, Angelo Pezzana (che assieme a Françoise Deaubonne del Fhar si era iscritto sotto mentite spoglie) prese la parola e, rivolgendosi ai Professori presenti, dichiarò: «Sono omosessuale e sono felice di esserlo».

I pronomi di genere preferiti o pronomi di genere personali sono l'insieme dei pronomi (generalmente indicati in inglese alla terza persona) che una persona desidera che gli altri utilizzino per riflettere la sua identità di genere.

In inglese (e nell’italiano che ha adottato la forma anglogona) quando si dichiarano i propri pronomi preferiti, generalmente si indicano i pronomi soggetto e oggetto ("he/him", "she/her", "they/them"), anche se a volte vengono indicati anche i pronomi possessivi.

I pronomi scelti possono includere neopronomi come "ze/hir”, “ze/zir”, xe/xem”, “ve/ver”. Alcune persone usano più di una serie di pronomi, in modo intercambiabile o a seconda della situazione.

I Pgp sono entrati in uso come un modo per promuovere l'equità e l'inclusione per le persone transgender e genderqueer. La pratica di condividere i pronomi di genere personali è stata praticata nella comunità Lgbtqai+ per decenni e negli ultimi anni è diventata una pratica comune nei contesti sociali e sui social media, che hanno aggiunto campi pronome dedicati nei profili utente.

Con il termine queer-bashing (talvolta anche gay bashing) si indica un attacco, un abuso o un'aggressione commessi contro una persona che è percepita dall'aggressore come Lgbtqai+, e

include sia la violenza che il bullismo contro queste persone. Il termine copre sia la violenza e il bullismo nei confronti di persone Lgbtqai+, sia di persone che non lo sono ma che l'aggressore percepisce come tali.

Le aggressioni fisiche a volte includono violenze estreme o omicidi motivati dall'orientamento sessuale, dall'identità di genere o dall'espressione di genere della vittima.

I giovani Lgbtqai+ hanno maggiori probabilità di denunciare il bullismo rispetto ai giovani non Lgbtqai+, in particolare nelle scuole.

Le vittime possono sentirsi insicure, con conseguente depressione e ansia, compreso un aumento dei tassi di suicidio e tentato suicidio. Gli studenti – e più in generale le persone – Lgbtqai+ possono provare a “passare” (in inglese si utilizza il termine passing) per eterosessuali per sfuggire al bullismo, portando a ulteriore stress e isolamento dai supporti disponibili.

Alcuni Stati hanno approvato leggi contro il bullismo, la violenza e i crimini di odio motivati dall’orientamento sessuale o dall’identità di genere. In Italia, nonostante a partire dagli anni ‘80 si sia cercato a più riprese di introdurre una norma ad hoc, non è ancora presente e il Ddl Zan, l’ultima proposta di legge che andava in questa direzione, è stata bocciata al Senato.

Secondo l’Oxford English Dictionary il queerbaiting è “la pratica di cercare di attrarre e capitalizzare il pubblico o i clienti Lgbtq in modo ingannevole o superficiale”. Si tratta di una tecnica di marketing utilizzata soprattutto nella narrativa e nell'intrattenimento in cui autori e creatori accennano, ma poi non descrivono, storie d'amore tra persone dello stesso sesso o altre rappresentazioni Lgbtqai+.

Lo scopo è attrarre (bait, letteralmente “esca”) il pubblico con la promessa che ci sarà una narrazione positiva della queerness senza poi dar vita a quella rappresentazione.

Il queerbaiting è stato osservato nella cultura popolare e nella narrativa come film, serie televisive, libri, musica, pubblicità, varie forme di media, ma anche nelle celebrità che trasmettono un'identità sessuale ambigua attraverso le loro opere e dichiarazioni. Ma questa tattica può essere utilizzata anche in altri ambiti, a esempio nel caso di un politico in corsa per una carica che lo utilizza per ottenere sostegno o coinvolgimento in una campagna.

Di fondo, c'è sempre una promessa non mantenuta di inclusività Lgbtqai+.

Il termine è nato ed è stato reso popolare dall’inizio degli anni 2010 attraverso discussioni nel fandom di Internet, ovvero nei luoghi in cu si raggruppano persone unite dalla passione per un comune fenomeno, personaggio, oggetto, ma ha una storia più ampia che risale già agli anni '70.

Il queerbaiting non è solo una tattica di marketing manipolatoria, ma può avere effetti profondamenti negativi sulle persone Lgbtqai+, in particolare sulla loro salute mentale, diventando causa di isolamento sociale poiché invalida la loro esperienza e la loro esistenza.

Questioning è un aggettivo usato per descrivere il processo di esplorazione dell'orientamento sessuale e dell'identità di genere.

A volte è indicato dalla lettera Q nell’acronimo Lgbtqai+.

Le persone questioning, spiega l’organizzazione di advocacy Pflag, "hanno la sensazione che potrebbero essere diversǝ ma sono ancora in un processo di esplorazione. L'uso del termine consente loro di identificarsi come parte della comunità, evitando etichette e onorando comunque il fatto di essere in un processo di autoidentificazione”.

L'autoidentificazione è una parte importante dell’esperienza di qualsiasi persona Lgbtqai+. È importante ricordare che le persone questioning non devono alcuna spiegazione della propria sessualità a nessuno e dovrebbero sentirsi a proprio agio nell'esplorarla secondo i loro tempi e modi.

Con il termine “chirurgia di riassegnazione del sesso” o “chirurgia di riassegnazione del genere” (Srs/Grs) si indicano una serie di procedure chirurgiche attraverso cui vengono alterati l'aspetto fisico e la funzione delle caratteristiche sessuali esistenti di una persona transgender per assomigliare a quelli socialmente associati con il loro genere identificato.

Molte persone transgender preferiscono la terminologia utilizzata dall'American Society of Plastic Surgeons (Asps) che parla di chirurgia di conferma del genere o Gcs.

Si utilizzano anche i termini “chirurgia di affermazione del genere”, “operazione di cambio di sesso”, “chirurgia di ricostruzione genitale”, "chirurgia di riallineamento sessuale”, “chirurgia di ricostruzione del sesso” e “chirurgia superiore” e “chirurgia inferiore” per riferirsi rispettivamente a interventi chirurgici del torace e dei genitali.

Questi interventi includono, tra gli altri, procedure di “femminilizzazione” come vaginoplastica, mastoplastica additiva femminilizzante, orchiectomia, chirurgia di femminilizzazione facciale, tirocondroplastica riduttiva (rasatura tracheale) e chirurgia di femminilizzazione della voce e interventi di “mascolinizzazione”, come la chirurgia della mascolinizzazione del torace (chirurgia superiore), la metoidoplastica, la falloplastica, la scrotoplastica e l'isterectomia.

Talvolta si utilizza questo termine anche per descrivere l'intervento chirurgico per le persone intersessuali.

La chirurgia di conferma del genere può essere parte di un trattamento per la disforia di genere, ma non è necessaria ai fini del cambio di sesso anagrafico.

Sylvia Lee Rivera (New York, 2 luglio 1951 – New York, 19 febbraio 2002) è stata un'attivista statunitense e un'icona transgender del movimento Lgbtqai+ in seguito ai moti di Stonewall del 1969.

Nata in un taxi nel 1951, nel 1963 incontrò Marsha P. Johnson e questo le cambiò la vita: di lei disse che "era come una madre".

Già militante nel movimento per la pace e nel Black liveration movement, partecipo ai riot del 28 giugno 1969 quando i clienti dello Stonewall Inn, un bar gay nel Greenwich Village a Lower Manhattan, respinsero un raid della polizia, il momento-simbolo dell’inizio del movimento per i diritti dei gay. Rivera ha dichiarato in un'intervista nel 2001 che, nonostante un mito di lunga durata, non ha lanciato la prima molotov alla polizia, ma ha lanciato la seconda.

Per sei notti, la diciassettenne Rivera si è rifiutata di tornare a casa o di dormire, dicendo: "Non mi perdo un minuto di questo, è la rivoluzione!".

Durante gli anni '70, si è spesso scontrata con i leader dei diritti dei gay che erano riluttanti a includere le persone transgender nel loro lavoro di difesa. La Gay Activist Alliance (Gaa), formata in risposta a Stonewall e in opposizione al Gay Liberation Front, si batteva esclusivamente per il riconoscimento dei diritti delle persone gay e lesbiche e ha spesso rifiutato il ruolo che le persone transgender, la maggior parte delle quali erano persone di colore, avevano svolto nella rivolta.

Nel 1973, Rivera partecipò alla Gay Pride Parade ma quando non le fu permesso di parlare afferrò il microfono per direi: “Se non fosse per la drag queen, non ci sarebbe nessun movimento di liberazione gay. Siamo in prima linea".

Rivera ha fondato insieme a Marsha P. Johnson la Street Transvestite Action Revolutionaries (Star) e ha combattuto contro l'esclusione delle persone transgender dal Sexual Orientation Non-Discrimination Act di New York.

“Non esiste la possibilità per l’omosessuale di emanciparsi completamente in seno alla società capitalista. La liberazione totale dell’essere umano che è in lui non avverrà che con la rivoluzione condotta dal proletariato per l’emancipazione dell’umanità, la quale, rendendo all’uomo la sua propria essenza, gli renderà con essa la sessualità, che gli è strutturale, in quanto componente fondamentale dell’essere animale. La sessualità si riscoprirà allora libera da quelle forme di comportamento escludentesi l’un l’altra, cioè da quei fenomeni con cui si presenta oggi la sessualità alienata dell’uomo”.

Era il settembre 1972 e Mario Mieli spiegava sulle pagine del Fuori! Perché l’unica via per la liberazione omosessuale fosse la rivoluzione.

Il movimento gay italiano, sul modello dei coevi movimenti internazionali (il Glf statunitense e il Fahr francese) era effettivamente nato come rivoluzionario e questa sua anima era racchiusa dalla “r” dell’acronimo “Fuori” (Fronte Unitario Omosessuali Rivoluzionari Italiani), nel sottotitolo del numero zero della rivista, “Mensile di Rivoluzione Sessuale”, uscito nel dicembre 1971, e nelle pagine della rivista, su cui si poteva leggere: “Nelle capitali del nord, del benessere, della cosiddetta libertà sessuale, la condizione dei liberi omosessuali è paurosa: sono stati accettati alle condizioni precise del capitale e, ma era il caso di dirlo, sono a suo esclusivo vantaggio. Già perché è anche nella logica del capitale l’accettazione è condizionata. Chi vuole comandare ha bisogno di servi: e l’accettazione viene scambiata con la servitù. […] Gli omosessuali del FUORI! sono usciti soltanto con la coscienza della loro omosessualità. Ma con la volontà di spingere questa loro condizione sino alle più estreme conseguenze, che è la rivoluzione e con la certezza che la loro rivoluzione è LIBERAZIONE”.

Già a partire dal 1973, però, il movimento iniziò a scindersi in due anime, una ancora convintamente rivoluzionaria, animata dai collettivi autonomi che vedevano in Mario Mieli un punto di riferimento, l’altra progressivamente sempre più riformista, guidata da Angelo Pezzana. Il dibattito tra rivoluzione e riformismo (che avrebbe portato alla spaccatura tra il Fuori!, dal 1974 federato al Partito Radicale e gli altri) sarebbe continuato per tutti gli anni ‘70, ma a partire dagli anni ‘80 sarebbe stato l’approccio riformista a imporsi.

Il termine “spettro” (spectrum) si riferisce all’idea che le identità e gli orientamenti sessuali delle persone non siano fissi e determinati, ma siano complessi e resistano a una classificazione rigida o elementare.

Invece di offrire alle persone una scelta obbligatoria tra omosessuale/eterosessuale/bisessuale oppure tra uomo/donna, fornisce un modo per parlare dell’orientamento sessuale, dell’identità di genere e dell’asessualità in termini di molteplici possibilità.

Il genere, quindi, non si realizza secondo una opposizione binaria ma, appunto, su uno spettro entro cui muoversi: alcune persone sentono di rientrare in una categoria diversa rispetto al genere che hanno ricevuto alla nascita e si spostano da una parte all'altra e alcune persone sentono di essere entrambi o nessuno e si collocano in qualche punto tra i due poli, o si spostano. Alcune persone, invece, possono sentire di non appartenere allo spettro.

Il termine inglese “stepchild adoption” (letteralmente “adozione del figliastro”) viene utilizzato per indicare la possibilità per un genitore non biologico di adottare il figlio (naturale o adottivo) del partner.

In Italia è una pratica prevista dal 1983 per le coppie eterosessuali (dal 2007 anche quelle non sposate) ma non è consentita alle coppie omosessuali, nemmeno quelle che hanno contratto un’unione civile, nonostante nel 2014 il Tribunale dei Minori di Roma abbia riconosciuto di fatto la prima adozione omosessuale, quando ha permesso a una donna di adottare la figlia naturale della compagna.

Nonostante le prime stesure della c.d. Legge Cirinnà sulle unioni civili ne prevedessero l’estensione, l’adozione del figlio del partner per le coppie dello stesso sesso non è stata inserita nel testo definitivo (20 maggio 2016, n. 76): l’eliminazione delle stepchild adoption è stato uno dei compromessi necessari per far passare la legge.

Lo Stonewall Inn è il bar in cui ebbero inizio le rivolte conosciute anche come Moti di Stonewall iniziate il 28 giugno 1969, la data simbolica dell'inizio del movimento Lgbtqai+.

Il locale, che si trova in Christopher Street, all’interno del Greenwich Village a New York, dal 2016 è uno dei monumenti nazionali degli Stati Uniti d'America.

Nato nel 1930, inizialmente era gestito dalla mafia ma negli anni si era trasformato in un gay bar. Nello Stato di New York l’omosessualità non era illegale, quello che veniva considerato illecito era servire alcolici a clienti omosessuali.

Lo Stonewall Inn, quindi non aveva la licenza per vendere alcolici e fu questo il motivo per cui la polizia poté fare ripetutamente irruzione nel locale, come accadde nella notte tra il 27 e il 28 giugno 1969.

Il locale fallì dopo nemmeno 6 mesi dalle proteste e solo negli anni '90 metà del locale venne riadibita a gay bar. Nel 2007 tutto il locale tornò a essere un gay bar, e riprese il nome di Stonewall Inn.

Il 28 giugno 1999, in occasione dell'anniversario dei moti di Stonewall, il locale venne inserito nel National Register of Historic Places e nel giugno del 2016, il Presidente degli Stati Uniti Barack Obama proclamò l'edificio monumento nazionale, con la classificazione di National Historic Landmark.

Con il termine “terapie riparative” (o terapie di conversione) si intende qualsiasi intervento che cerchi di cambiare l'orientamento sessuale o l'identità di genere di una persona.

Le terapie di conversione lavorano per un obiettivo: "curare" qualcuno dall'essere Lgbtqai+.

Le terapie di conversione sono unidirezionali: l'intenzione è far cambiare una persona o il suo orientamento sessuale o identità di genere. Questo è l'opposto di una terapia o consulenza appropriata, affermativa e salutare, mirata a sostenere un individuo che sta esplorando il proprio orientamento sessuale o identità di genere qualunque sia il risultato.

Queste pratiche possono includere sessioni di consulenza pseudo-scientifica, essere indotti a ingerire sostanze “purificanti”, minacciare una persona di buttarla fuori di casa, stupro correttivo, la preghiera come una forma di "guarigione" ed esorcismi.

Le terapie riparative comportano danni significativi per coloro che le subiscono e il danno psicologico può assumere la forma di disturbi come depressione, disturbo da stress post-traumatico o ansia.

Non è possibile acconsentire alle pratiche di conversione in modo libero e informato, e non dovrebbe essere una difesa il fatto le vittime sembrano aver acconsentito, soprattutto in presenza di uno squilibrio di potere in un contesto di stigmatizzazione, in cui la capacità di un individuo di comprendere appieno le conseguenze del le azioni sono limitate.

In Italia, le terapie di conversione non sono illegali.

Con il termine “transfobia” si indica l’atteggiamento delle persone che hanno convinzioni negative profondamente radicate su cosa significhi essere transgender, non binari e non conformi al genere. Le loro convinzioni influenzano il modo in cui loro, il governo, le organizzazioni, i media e la società generalmente trattano le persone le cui identità non rientrano nei tipici ruoli di genere maschio/femmina.

La transfobia, infatti, si traduce in politiche che tolgono i diritti e la sicurezza a bambini, adolescenti e adulti trans e non binari. Ciò si traduce in discriminazione, molestie e talvolta violenza contro persone che non sono cisgender.

Secondo l’ultimo rapporto dell’Ilga Europe, “il discorso pubblico sta diventando più polarizzato e violento, in particolare contro le persone trans” e “negli ultimi 12 mesi non c'è stato solo un forte aumento della violenza contro le persone Lgbtq+, ma anche della gravità di quella violenza. […] Un numero sempre maggiore di persone trans viene attaccato e ucciso, compresa l'uccisione di un migrante trans. […] Ci sono stati anche più suicidi segnalati, incluso quello di una giovane coppia in Armenia dopo aver subito molestie quando una foto di loro che si baciano è diventata virale, tre donne trans in Italia e una in Moldavia. Due dei tre lo erano adolescenti, appena 16 e 19 anni”.

Comportamenti transfobici possono essere anche l’invalidazione delle persone trans, il deadnaming e l’outing.

Alcune persone transgender e non binary (ma non tutte) intraprendono un percorso di affermazione di genere sottoponendosi a trattamenti ormonali. Il trattamento viene alle esigenze individuali tenendo conto anche i fattori di rischio e lo stato di salute della persona. Come spiega il sito infotrans.it per accedere a un trattamento ormonale di affermazione di genere le persone devono soddisfare i seguenti requisiti:

· marcata e stabile incongruenza di genere;

· soddisfatti i criteri di incongruenza di genere prima della terapia ormonale in quei Paesi in cui sia richiesta una diagnosi per accedere all’assistenza sanitaria;

· capacità di fornire il consenso informato al trattamento ormonale di affermazione di genere;

· altre potenziali cause di apparente incongruenza di genere sono state identificate ed escluse;

· identificazione di condizioni di salute mentale e fisica che potrebbero avere un impatto negativo sugli esiti della terapia ormonale con discussione dei rischi e benefici;

· presa in carico di eventuali problemi di salute fisica e/o psicologici potenzialmente interferenti con l’esito del trattamento;

· comprensione degli effetti della terapia ormonale sulla riproduzione e discussione delle possibilità di preservazione della fertilità;

· (in Italia) maggiore età oppure, in caso di minori consenso di entrambi i genitori se presenti o di chi ne fa le veci;

· (in Italia) per accedere all'erogazione gratuita dei farmaci tramite il Ssn servirà una diagnosi di disforia di genere/incongruenza di genere secondo i criteri Dsm-5 (Apa, 2013) o Icd-11 (Who, 2018) confermata da una equipe multidisciplinare e specialistica.

In Italia la terapia ormonale può essere prescritta gratuitamente se vengono rispettati i criteri stabiliti dall’Agenzia Italiana del Farmaco (Aifa) stabilite nelle determine Aifa n. 104272/2020 e n. 104273/2020 del 23 settembre 2020 (Gu Serie generale n.242 del 30-09-2020).

L’Italia nel 2008 ha aderito alla prima Dichiarazione dell’Assemblea Generale Onu su “diritti umani, orientamento sessuale e identità di genere”, assumendosi l’impegno di promuovere i diritti umani di tutte le persone, indipendentemente dall’orientamento sessuale o dall’identità di genere.

A distanza di 15 anni, però, l’uguaglianza di tuttǝ lǝ cittadinǝ sembra ancora molto lontana. I dati relativi all’Italia sono infatti concordi nell’indicare un ritardo verso la piena inclusione e la fine delle discriminazioni nei confronti dellǝ cittadinǝ Lgbtqai+.

Secondo lo speciale Eurobarometro 2019 “Discriminazione nella Ue” l’Italia si colloca sotto la media europea per quanto riguarda a esempio la percentuale di persone che ritengono che le persone gay e lesbiche debbano avere gli stessi diritti delle persone eterosessuali, pari al 68% a fronte di una media Ue del 76%; il 59% considera che non vi sia nulla di male nella relazione affettiva fra due persone dello stesso sesso contro il 72% della media europea; il 43% concorda sul fatto che le persone transgender dovrebbero poter modificare i propri documenti civili in modo che corrispondano alla propria identità di genere a fronte di una media Ue del 59% e solo il 37% è d’accordo con l’indicazione di un “terzo genere” sui documenti pubblici a fronte della media Ue del 46%.

Nel Rainbow Report 2023 dell’Ilga Europe, il Rapporto annuale sullo stato dei diritti in 49 Paesi del continente europeo e dell’Asia centrale, l’Italia è risultata al 34° posto (lo scorso anno era al 33°) confermando con un indice pari al 25%, nessun miglioramento per quanto riguarda l’avanzamento dei diritti delle persone Lgbtqai+.

Anche il Rapporto dell’Agenzia dell’Unione europea per i diritti fondamentali (Fra), che ha riguardato un’indagine online condotta tra il maggio e il luglio 2019 nei 27 Stati membri della Ue, nel Regno Unito, in Macedonia del Nord e in Serbia, mostra che la situazione in Italia “denota un contesto improntato sulla paura di dimostrare in pubblico la propria affettività: il 62% delle persone intervistate evita di prendere per mano la persona amata e il 30% dichiara di evitare di frequentare alcuni luoghi specifici per paura di subire aggressioni. Solo il 39% del campione italiano esprime liberamente la propria identità Lgbtq+, a fronte di una media europea del 47%. Il 23% degli intervistati dichiara di aver subito discriminazioni sul posto di lavoro e il 32% ha dichiarato di aver subito almeno un episodio di molestia nell’anno precedente all’indagine e l’8% un episodio di aggressione fisica nei 5 anni precedenti. Solo il 16% del campione ha dichiarato di aver denunciato questi episodi alle forze dell’ordine, mettendo in evidenza il fenomeno dell’under-reporting, mentre

l’8% (contro una media europea del 33%) degli intervistati ha espresso fiducia nel reale impegno delle istituzioni pubbliche”.

Vengono definiti “unioni civili” i rapporti di tipo affettivo a cui la legge riconosce attraverso uno specifico istituto giuridico uno status giuridico simile o analogo, per molti aspetti, a quello conferito dal matrimonio.

Il primo Stato a registrare le unioni civili delle coppie dello stesso sesso è stata la Danimarca, che già nel 1989 ha introdotto le register partnerskab.

In Italia la prima proposta di legge risale al 12 febbraio 1988, ma per molti anni tutti i tentativi sono andati a vuoto, nonostante il fatto che nel settembre 2003 il Parlamento europeo avesse approvato una risoluzione sui diritti umani in Europa (il cosiddetto “Rapporto Sylla sul rispetto dei diritti umani nell'Unione europea”) in cui si ribadiva la richiesta agli Stati membri di “abolire qualsiasi forma di discriminazione - legislativa o de facto - di cui sono ancora vittime gli omosessuali, in particolare in materia di diritto al matrimonio e all'adozione" e si "raccomanda[va] agli Stati membri di riconoscere, in generale, i rapporti non coniugali fra persone sia di sesso diverso che dello stesso sesso, conferendo gli stessi diritti riconosciuti ai rapporti coniugali, oltretutto adottando le disposizioni necessarie per consentire alle coppie di esercitare il diritto alla libera circolazione nell'Unione".

La battaglia legislativa ha portato i suoi frutti solo nel 2016, con l’approvazione della Legge 20 maggio 2016, n. 76, chiamata anche “legge Cirinnà” dal nome della senatrice Monica Cirinnà, promotrice e prima firmataria. La legge prevede alcuni diritti e doveri analoghi da quelli del matrimonio ma ne esclude altri, come a esempio l’adozione (anche del figlio del partner, la cosiddetta stepchild adoption).

I Paesi europei che non riconoscono alcuna legislazione all'interno del proprio ordinamento per le coppie dello stesso sesso sono 18: Macedonia del Nord, Serbia, Lituania, Romania, Bulgaria, Albania, Polonia, Slovacchia, Armenia, Azerbaijian, Bosnia ed Erzegovina, Bielorussia, Georgia, Moldavia, Russia, Turchia, Città del Vaticano e Ucraina.

“Uranismo” è un termine coniato nella seconda metà del XIX da Karl Henrich Ulrichs (1825-1895), uno scrittore, poeta e giurista tedesco considerato tra i pionieri del movimento omosessuale.

Secondo la sua teoria, i sessi umani non sono due, ma tre: maschile, femminile e intermedio. L'uranista è l'appartenente a questo "terzo sesso": “gli "invertiti" sono un "Terzo sesso", biologicamente diverso sia da quello maschile che da quello femminile: differenze anatomiche, stili di vita, abitudini in fatto di abbigliamento, specifiche forme di tabagismo (l'uomo vero fuma il sigaro, mentre il "terzo sesso" la sigaretta!).

Gli omosessuali vengono visti dai medici come una classe a parte di persone "diverse" in quanto sofferenti di una patologia innata: se è quindi innata, allora non può più essere considerata né un vizio morale né tanto meno un reato penale”.

Nel suo opuscolo Inclusa Ulrichs specificò il concetto con la definizione latina Anima muliebris corpore virili inclusa (Un'anima femminile imprigionata in un corpo maschile). Il termine tedesco utilizzato da Ulrich era urning, tradotto in urningo, urningouranita e soprattutto uranista; il corrispettivo femminile è urningina, ma il termine non ha avuto successo in italiano.

A questa teoria si oppose l’amico e corrispondente di Ulrich Kertbeny (Karl-Maria Kertbeny), che non condivideva l’idea che gli omosessuali rappresentassero un terzo sesso, anime maschili in corpi femminili e viceversa, e coniò in risposta il termine homosexuel (Homosexualität) per indicare le persone attratte dallo stesso sesso.

La Chiesa Cattolica è, soprattutto in Italia, uno dei protagonisti della storia Lgbtqai+. Non solo perché è proprio alla Chiesa che la neonata Repubblica aveva affidato il compito di reprimere l’omosessualità, decidendo di non inserire nel codice penale un articolo che la criminalizzasse, ma anche perché le gerarchie vaticane sono state caratterizzate da una sempre maggiore ingerenza sulle Istituzioni della Repubblica, cui si chiedeva di accordare le proprie decisioni ai fondamenti della religione cattolica. Per questo, a più riprese i massimi esponenti della Chiesa hanno ribadito la chiusura ecclesiastica.

Nel 1986 il Cardinale Ratzinger aveva scritto la Lettera ai Vescovi della Chiesa cattolica sulla cura pastorale delle persone omosessuali, in cui era indicato il comportamento da seguire di fronte a persona omosessuale che cercava di seguire il Signore: “La particolare inclinazione della persona omosessuale, benché non sia in sé peccato, costituisce tuttavia una tendenza, più o meno forte, verso un comportamento intrinsecamente cattivo dal punto di vista morale. Per questo motivo l’inclinazione stessa dev’essere considerata come oggettivamente disordinata”.

Il 24 luglio 1992, la Congregazione della Dottrina della Fede pubblicava un nuovo documento, dall’emblematico titolo Alcune considerazioni concernenti la risposta a proposte di legge sulla non-discriminazione delle persone omosessuali. Secondo la Chiesa l’orientamento sessuale non poteva essere ritenuto equivalente all’origine etnica o alla razza nel determinare una discriminazione, pertanto in determinati ambiti, come l’affido dei bambini, la scelta degli insegnanti e l’esercito, le discriminazioni nei confronti degli omosessuali erano da ritenersi giustificate. Alcuni diritti, come quello alla casa o al lavoro, potevano essere legittimamente negati a causa di un “comportamento esterno obiettivamente disordinato […] e non solo nel caso di comportamento colpevole ma anche nel caso di persone fisicamente o mentalmente malate”.

2 anni dopo, dal pulpito di San Pietro, durante l’Angelus del 20 febbraio 1994 Papa Giovanni Paolo II definì di nuovo l’omosessualità “un disordine morale” e, attaccando il Parlamento europeo che aveva chiesto di riconoscere pari diritti in materia familiare, spiegò che “il Parlamento facendo questo ha assecondato le debolezze dell'uomo. […] Non può costituire una vera famiglia il legame di due uomini o di due donne, e ancor meno si può a una tale unione attribuire il diritto all'adozione di figli privi di famiglia. […] Confidiamo che i Parlamenti dei Paesi d'Europa sapranno, su questo punto, prendere le distanze e, in occasione dell'Anno della Famiglia, vorranno proteggere le famiglie di antichissime società e nazioni da questo fondamentale pericolo. Non ci sono dubbi, però, che siamo in presenza di una terribile tentazione”.

In moltǝ hanno salutato le parole di Papa Francesco, come “Dio ama tutti i suoi figli”, come un nuovo corso, ma per la Chiesa l’omosessualità rimane un peccato e, se il peccatore deve essere accolto e amato, questo non ha cambiato le cose.

Lo dimostra la lettera inviata il 17 giugno 2021 dalla segreteria di Stato vaticana all’ambasciata d’Italia presso la Santa sede, in cui si leggeva che “La segreteria di Stato rileva che alcuni contenuti dell’iniziativa legislativa” del ddl Zan, “particolarmente nella parte in cui si stabilisce la criminalizzazione delle condotte discriminatorie per motivi ‘fondati sul sesso, sul genere, sull’orientamento sessuale, sull’identità di genere’ – avrebbero l’effetto di incidere negativamente sulle libertà assicurate alla Chiesa cattolica e ai suoi fedeli dal vigente regime concordatario” e si chiedeva di modificare il disegno di legge contro l’omobitransfobia.

L’aggettivo versatile indica qualcunǝ a cui potrebbe piacere un ruolo dominante, sottomesso o equilibrato in un incontro sessuale. Il termine viene utilizzato anche per indicare la posizione assunta nell’atto sessuale: chi preferisce effettuare la penetrazione (attivo/top), chi preferisce subirla (passivo/bottom), e chi preferisce entrambe (versatile). Se si vuole indicare il ruolo anziché la posizione, si parla di ruolo attivo, ruolo passivo e ruolo versatile.

Il primo omosessuale dichiarato a candidarsi alle elezioni politiche è stato Angelo Pezzana, che aveva corso nelle file del Partito Radicale nel 1976 ed era divenuto deputato (ma si era immediatamente dimesso) nel 1979 dopo le dimissioni di Mauro Mellini.

Il tema della rappresentanza Lgbtqai+ all’interno delle istituzioni divenne particolarmente rilevante a partire dagli anni ‘80, quando la via riformista si impose definitivamente a quella rivoluzionaria che non voleva entrare nelle strutture del Sistema capitalista bensì abbatterle.

Alle elezioni politiche della primavera del 1987, figuravano diversi candidati omosessuali, primi fra tutti Franco Grillini e Nichi Vendola, candidati con il Partito Comunista, la cui campagna elettorale si basò principalmente su due proposte di legge: antidiscriminazione e riconoscimento delle unioni civili. Le elezioni non portarono nessun omosessuale a Montecitorio, nonostante le quasi 20.000 preferenze accordate ai candidati gay.

Nel 1992 Nichi Vendola fu eletto con 5.448 preferenze alla Camera dei deputati: era stato il candidato di Rifondazione Comunista più votato a Bari e Foggia.

Sarebbe stata sempre Rifondazione Comunista a portare in Parlamento la prima persona transgender, non di Italia ma d’Europa: il 28 aprile 2006 Vladimir Luxuria divenne deputata della Repubblica.

Women-Loving-Women (e il suo acronimo WLW) è un termine ombrello per riferirsi alle donne che provano attrazione sessuale, romantica e/o emotiva per altre donne e può essere utilizzato per riferirsi a persone che si identificano come lesbiche, bisessuali, pansessuali o queer.

Viceversa, MLM (Man-Loving-Man) è un termine ombrello per riferirsi agli uomini che provano attrazione sessuale, romantica e/o emotiva per altri uomini a donne e può essere utilizzato per riferirsi a persone che si identificano come gay, bisessuali, pansessuali o queer.

Womyn è una delle diverse ortografie politiche alternative della parola inglese women. Ci sono altre ortografie, tra cui womban (che fa riferimento riferimento all'utero, womb) o womon (singolare) e wombyn o wimmin (plurale).

Alcune persone vedono in questi termini che evitano il suffisso "-man" o "-men" un'espressione dell'indipendenza femminile e un ripudio delle tradizioni che definiscono le donne facendo riferimento a una norma maschile.

Recentemente, il termine womxn è stato usato dalle femministe intersezionali per indicare le stesse idee mettendo in primo piano o includendo più esplicitamente le donne transgender e le donne di colore.

Sebbene tecnicamente abbiano lo stesso scopo di base, infatti, womyn e womxn hanno connotazioni diverse: womyn è associato maggiormente alla frangia cisgender spesso bianca del movimento femminista, mentre womxn è connotato da fluidità e inclusività di genere.

Oltre alle celebrazioni nazionali, ogni anno si tiene il World Pride, o pride mondiale.

Quest’anno, è stata Sydney a ospitarlo, durante il mese di febbraio/marzo tradizionalmente dedicato al Sydney Gay and Lesbian Mardi Gras, il più grande Pride in Oceania che include una varietà di eventi come la Sydney Mardi Gras Parade and Party, Bondi Beach Drag Races, Harbour Party, il panel di discussione accademica Queer Thinking, il Mardi Gras Film Festival e come il Fair Day, che attira 70.000 persone al Victoria Park, Sydney.

L’Italia ha ospitato il primo World Pride, l’8 luglio 2000 a Roma. La manifestazione, svoltasi in pieno Giubileo Cattolico in mezzo alle accuse della Curia e all’insofferenza del Primo Cittadino Rutelli (che ha ritirato il Patrocinio del Comune dopo le polemiche), accolse tra le 300.000 e le 500.000 persone da tutto il mondo.

Alcune persone utilizzano la lettera X per rendere più inclusivo il modo in cui parlano o scrivono, utilizzandola al posto delle desinenze di genere.

In Italia non ha un utilizzo molto diffuso (si preferiscono altre soluzioni, come la schwa (ǝ) o l’asterisco) ma nella lingua inglese, a esempio, la parola folx (neutro di folks), è stata usata dagli anni '90 come un modo neutrale rispetto al genere per riferirsi ai membri della comunità Lgbtqai+ e già negli anni ‘70 alcune femministe avevano coniato il termine Womxn per eliminare il suffisso -man.

Oggi, la lettera X viene utilizzata per modificare altre parole per creare un linguaggio neutro rispetto al genere, incluso il titolo Mx (neutro per Mrs, Ms e Mr) e il termine Latinx al posto di Latina o Latino.

X-gender (giapponese: X ジ ェ ン ダ ー, romanizzato: x-jendā) è il modo in cui in Giappone viene indicato il terzo genere, oltre M (maschio) e F (femmina).

Il termine – composta dalla X, che viene utilizzata nei documenti in molti Paesi per un genere indeterminato e “gender” secondo il significato in inglese – è entrato in uso alla fine degli anni '90, reso popolare dalle organizzazioni queer nel Kansai, specialmente a Osaka e Kyoto. In Giappone viene usato al posto di non-binary e genderqueer.

Nel 2019, il Japan LGBT Research Institute Inc. ha condotto un sondaggio online su 348.000 persone di età compresa tra 20 e 69 anni. Il 2,5% degli intervistati si definiva X-gender.

Xenogender è un termine coniato nel 2014 dall'utente Tumblr Baaphomett a partrire da xeno “alieno” + "gender" che indica un'identità di genere non binaria "che non può essere contenuta dalla comprensione umana del genere; più interessata alla creazione altri metodi di categorizzazione e gerarchia di genere come quelli relativi ad animali, piante o altre creature/cose."

Lo xenogender, quindi, non è definito in relazione a "femmina" o "maschio" (i generi binari), ma da altri tipi di idee che la maggior parte delle persone non pensa abbiano a che fare con il genere.

Quando le persone parlano di genere non binario, spesso scoprono che non ci sono parole per descrivere le loro esperienze: questo è chiamato gap lessicale. Per colmare questa lacuna lessicale, si utilizza "xenogender" come termine ombrello per un'intera categoria di generi non binari che sono definiti da caratteristiche senza alcuna relazione con "femmina" o "maschio" ma in modi creativi, soprattutto nel caso di persone molto giovani, spiega GenderSpectrum.org.

"Non tutti i bambini rientrano perfettamente in un'identità di genere maschile o femminile, trans o meno. Per alcuni bambini, il senso di essere 'entrambi' o 'nessuno dei due' descrive meglio la loro realtà. […] I bambini che si vedono come 'nessuno dei due' " parleranno spesso di come, indipendentemente dal fatto che siano con un gruppo di ragazzi o ragazze, si sentono come se non si adattassero. Questa non è necessariamente una sensazione triste. Vedono solo i bambini intorno a loro e sanno che non lo sono 'Quello.' I bambini in questa categoria spesso appaiono androgini e spesso rispondono alla domanda "sei un ragazzo o una ragazza" pronunciando il loro nome ("I'm Devon") o identificandosi come animali. si rappresenteranno come arcobaleni, o unicorni, o un altro simbolo di loro scelta".

Per indicare l’appartenente allo xenogender si utilizza xenine, la cui forma nominale è xenità.

Il cromosoma Y è quello che porta il gene "master switch", SRY, che determina se un embrione si svilupperà come maschio (XY) o femmina (XX). Al di là della divisione binaria del sesso associato alla nascita, le cose possono essere più complesse.

Un recettore ormonale mutato, a esempio, può portare individui XY (quindi potenzialmente maschi) a sviluppare un corpo femminile con genitali non definiti: è il caso di alcune persone intersessuali, che come abbiamo visto sono lo 0,5-2% della popolazione mondiale. Non solo: come ha spiegato il genetista Marco Pegnolato in un thread su Twitter, "alcuni studi recenti addirittura sostengono che quasi tutti noi abbiamo un certo numero di cellule il cui sesso "genetico" è diverso da quello delle altre cellule del corpo”.

Nonostante questo, il cromosoma Y è da sempre considerato il simbolo genetico della mascolinità (e, per estensione, della forza), ma in realtà è l'unico cromosoma non necessario per la vita (non a caso, le donne e gli uomini trans sopravvivono benissimo senza) e secondo alcuni studi sta progressivamente scomparendo. Se lo stesso tasso di degenerazione continua, il cromosoma Y ha solo 4,6 milioni di anni prima di scomparire completamente.

Yinyang ren (cinese tradizionale 陰陽人, cinese semplificato 阴阳人, Pinyin yīnyáng rén) è un insulto spesso usato contro le persone intersessuali, e talvolta usato contro le persone che non rientrano nelle norme di genere.

Nella cultura cinese moderna e contemporanea ha ancora una connotazione prevalentemente negativa, ma alcuni attivisti in Cina pensano che il termine debba essere recuperato attraverso la ricerca di culture e testi tradizionali. Un'organizzazione per i diritti intersessuali chiamata Organization Intersex International Chinese (OII-Chinese) ha rivendicato questo slur, usando yinyang ren come parola per indicare le persone intersessuali, nel tentativo di sradicare lo stigma.

YMCA è una canzone dei Village People, pubblicata il 13 novembre 1978. Il titolo fa riferimento alla Young Men's Christian Association (YMCA), una associazione giovanile cristiana e il testo allude all'abitudine degli omosessuali di frequentare le palestre degli ostelli della YMCA come luoghi di cruising.

Anche il nome del gruppo, letteralmente “gente del villaggio”, è un richiamo al Greenwich Village, luogo frequentato dalla comunità omosessuale newyorkese in cui si trova anche lo Stonewall Inn e dove sono iniziate le prime rivolte omossessuali.

La canzone è stato uno dei più grandi successi della disco music e uno dei classici più amati dalla comunità Lgbtqai+, anche se recentemente è stata utilizzata da forze conservatrici, come l’ex Presidente degli Stati Uniti Donald Trump che l’ha ripetutamente usata nella sua campagna elettorale.

Le canzoni hanno rappresentato una parte importante della storia e della cultura Lgbtqai+ e alcune sono diventate veri e propri inni dell’orgoglio. Una delle più celebri è sicuramente ‘I Will Survive’ di Gloria Gaynor, ma tra i pezzi più cantati ci sono ‘I’m Coming Out’ di Diana Ross, ‘Dancing Queen” degli ABBA, ‘I Want to Break Free’ dei Queen, ‘It’s raining man’ delle Wheater Sisters, ‘Vogue’ di Madonna (che la rivista The Advocate nel 2012 ha definito la più grande icona gay della musica) e, più recentemente, ‘Born This Way’ di Lady Gaga e ‘Grace Kelly’ di Mika.

Alessandro Zan (Padova, 4 ottobre 1973) è un politico e attivista italiano.

Esponente della comunità Lgbtq+, nel 2004 è stato tra i promotori dei PACS (una forma di unione civile mai entrata nell’ordinamento italiano), ma è noto soprattutto per aver promosso e ottenuto il primo registro anagrafico italiano delle coppie di fatto, aperto anche alle coppie omosessuali e, soprattutto, come relatore del disegno di legge (noto, appunto, come Ddl Zan) contro l'omofobia, la transfobia, la misoginia e l'abilismo.

Il titolo del Ddl, approvato in prima lettura dalla Camera dei deputati il 4 novembre 2020, era “Misure di prevenzione e contrasto della discriminazione e della violenza per motivi fondati sul sesso, sul genere, sull’orientamento sessuale, sull’identità di genere e sulla disabilità” e recuperava una lunga battaglia, iniziata negli anni ‘80, per introdurre nell’ordinamento italiano una norma a tutela delle vittime di odio basato su alcune caratteristiche che oggi non sono tutelate dalla legge Mancino (legge 25 giugno 1993, n. 205) che sanziona e condanna frasi, gesti, azioni e slogan aventi per scopo l'incitamento all'odio, l'incitamento alla violenza, la discriminazione e la violenza per motivi razziali, etnici, religiosi o nazionali.

Il Ddl Zan è stato bocciato al Senato il 27 ottobre 2021. Il 4 maggio 2022 il segretario del partito Enrico Letta, insieme allo stesso Zan e alle senatrici Malpezzi e Monica Cirinnà aveva ripresentato il Decreto, che non è però mai stato esaminato ed è decaduto.

Il termine zedsessuale o zedromantico indica una persona che prova attrazione sessuale o romantica per altre persone e si riferisce quindi a qualcuno che non nello spettro ace/aro.

Il termine è composto zed + -sexual come gioco di parole: come le lettere "A" e "Z" sono alle estremità opposte dell'alfabeto, siamo dall'altra parte dello spettro sessuale rispetto all'asessualità.

Il termine è sinonimo di allosessuale.

Zie/hir sono dei neopronomi, un insieme di pronomi neutri rispetto al genere che possono essere usati da chiunque indipendentemente dall'identità o dall'espressione di genere. Zie è soggettivo (sostituisce he/her/they) e Hir è possessivo e oggettivo (sostituisce him/her/them).

"Ze" è solitamente pronunciato con una "e" lunga, mentre "hir" come la parola inglese "here". Alcune persone usano pronomi "ze/zir" a causa della pronuncia e dell'ortografia più coerenti.

Anche se il pronome "ze" tende a essere considerato neutro rispetto al genere, una persona che usa "ze" potrebbe in realtà identificarsi come uomo, donna, entrambi, nessuno dei due, o qualcos'altro completamente. Alcune persone, inoltre, utilizzano più pronomi o determinati insiemi di pronomi solo in determinate situazioni.