Cop27, la partita del clima si gioca sul “Loss & Damage”

Cop27, la partita del clima si gioca sul “Loss & Damage”

 

Mancano pochi giorni alla fine della Cop27 in Egitto el’intesa appare lontana. È ormai chiaro che questa Conferenza – al netto di riuscire a mantenere gli impegni presi a Glasgow, dai finanziamenti sino alla riduzione del metano, dalla protezione delle foreste alle azioni per evitare di sforare i famosi +1,5 gradi – si gioca sulla questione dellafinanza climatica. Il punto è:con che strumento e in che tempisi potranno sostenere politiche di adattamento, ma anche per riparazioni, risarcimento e sviluppo, destinate ai paesi più colpiti dalla crisi climatica? La questione Pakistan ha aperto gli occhi a tutti: se un paese dopo alluvioni devastanti conta 33 milioni di sfollati e oltre 30 miliardi di danni,come può risollevarsisenza garanzie di aiuto? E come possono le nazioni che emettono poco ma che subiscono la crisi climatica rafforzata dalle emissioni dei più ricchi, affrontare contemporaneamente l’emergenza clima e dover saldare i debiti accumulati? Su questo si gioca larga parte del summit, ormaiiper divisivo: da una partei Paesi più poveri,guidati dalla coraggiosa premierMia Mottleydelle Barbados, ma anche da Pakistan e stati africani che sono stufi di aspettare risposte; dall’altra lesuper potenze economiche e i principali inquinatoriche prendono tempo, rimandando un ipotetico strumento finanziario per il”Loss & Damage”, le ormai note perdite e danni dei paesi più vulnerabili,al 2024. In mezzo, in un momento estremamente delicato di crisi climatica, energetica ed economica, ci sono le relazioni decisive: su tutte quella traUsa e Cina, che prima alla Cop27 e poi alG20 con la stretta di manofra il presidente UsaJoe Bidene quello cineseXi Jinpinghanno lasciato intravedere tiepide speranze di un dialogo costruttivo anche sulla questione surriscaldamento. E poi ci sono tante nazioni più “piccole” – dalla Nuova Zelanda al Belgio sino all’Austria o alla Danimarca – che si sonosbilanciate dedicando nuovi fondi a sostegno dei paesi più colpiti, ma che non sembrano trovare lo stesso sostegno (e le grandi cifre necessarie, dato che ci vorrebbero diversi trilioni) da Stati Uniti, Cina, Messico, Russia, Giappone o altri chiamati a impegnarsi sul “Loss & Damage”. I protagonisti del G7, come ha ribadito Joe Biden di recente, puntano a promuovere ilGlobal Shield, un accordo promosso dalla Germania che si basa di fatto su unsistema assicurativo per i danni.Si tratta di uno scudo globale contro i rischi climatici che promette un supporto finanziario per aiutare i paesi colpiti da disastri in modo più rapido, ma allo stesso temponon definisce esattamente quali(ad esempio l’innalzamento del livello del mare è contemplabile?) e secondo i paesi meno abbienti e più colpiti dalla crisi non può sostituire l’idea di uno strumento capace di erogare senza l’idea “assicurativa”, ma confondi per risarcire e ricostruire, per adattare e proteggersi. Il tutto, magari – chiedono oggi molti attivisti del clima -cancellando i debiti del passato, dato che buona parte dei popoli del sud e della fascia tropicale del mondo nel frattempopaga il conto di disastri climaticinon innescati dalle proprie emissioni. Il problema è che mentre è ormai chiaro come la questione “Loss & Damage” sia il perno relativo alla riuscita o meno di questa Conferenza delle parti, nel frattempo èdecisivo il mantenimento degli impegni presi lo scorso anno alla Cop di Glasgow: con le emissioni in crescita, la ripresa post Covid, l’invasione russa e la crisi energetica che hanno portato a un aumento dei combustibili fossili (petrolio e gas soprattutto), al vertice di Sharm aleggia però il sospetto che alcuni leaderpossano rivedere il tetto degli sforzi fissati per contenere le temperature al di sotto dei +1,5 gradie, visto che ormai è quasi inevitabile (fa nove anni potremmo superarlo secondo ilGlobal Carbon Budget), vorrebbe spostare l’asticella di qualche grado in più, oppure temporalmente più lontana. Sarebbe, nel caso,una ulteriore sconfitta, alla quale si aggiungono – oltre alle tante contraddizioni di una blindatissima Cop dovedissensoe diritti umani sono sotto accatto in Egitto – le incapacità di trattare con chiarezza gli sforzi necessari per decarbonizzare e dire addio ai combustibili fossili. Un banale segnale di quest’ultimo passaggio lo si annota sia nel fatto chein Egitto era presente un 25% in più di lobbisti delle fonti fossilirispetto al vertice scozzese, sia che di tassare gli extraprofitti (200 miliardi in soli tre mesi) delle compagnie dell’oil & gas ancora non se ne parla davvero. Per riuscire a ribaltare le sensazioni negative della Cop27 in corso, ci sono ancora pochi giorni: verso il fine settimana sono attese le bozze che daranno un’idea più concreta di quanto negoziato. Se non si arriverà a intese convincenti, le speranze passeranno direttamente per laCop28 di Dubai, negli Emirati dei grandi petrolieri. Oppure, come ha fatto intendere il governo di Lula con un accenno di candidatura,nel 2025 in Brasile, che fino a poche settimane fa era sotto la presidenza di Bolsonaro, non proprio un amico di foreste e lotta al surriscaldamento globale.