Il purè su Monet ci sdegna, la devastazione ambientale no

Due attiviste ambientali del movimentoJust Stop Oilhanno lanciato il 14 ottobre dei barattoli di zuppa di pomodoro Campbell sul capolavoro diVan Gogh,Girasoli, in mostra allaNational Gallerydi Londra. Richiesta: l’immediata cessazione di qualsiasi nuovoprogetto petroliferoo legato al gas. Domenica 23 ottobre due attiviste del gruppo ambientalista tedescoLetzte Generation(“Ultima generazione”) hanno imbrattato con del purè di patate un quadro diMonetnel Museo Barberini di Potsdam. Richiesta: agire sullacrisi climaticasubito. Il 22 luglio scorso in Italia un gruppo di attivisti si era incollato al vetro che proteggeLa PrimaveradiSandro Botticelli. In nessun caso si è registrato danno alcuno. «La gente è affamata, ha freddo, muore. E tutto ciò di cui siete preoccupati sono una salsa di pomodoro o un purè su un quadro. Sapete per cosa sono preoccupata io? Sono preoccupata perché la scienza ci dice che non potremo dare da mangiare alle nostre famiglie nel 2050», spiega una delle due attiviste di Postdam. “Cosa vale di più, la vita o l’arte?”, hanno reclamato gli attivisti londinesi. Da molte parti queste azioni sono state criticate, soprattutto dal mondo ambientalista. Come il bravoNicolas Lozitoche si è interrogato dalle pagine della sua newsletter sulla reale efficacia di azioni di questo tipo. “Ha senso? Io continuo a credere che siano inutili e dannosi alla causa, perché tra Van Gogh, Botticelli, Leonardo e, dall’altra parte, gli attivisti… chi vorrebbe mai schierarsi contro l’arte?”, ha scritto il giornalista, dando voce a una preoccupazione giusta. Meglio non radicalizzare e spaventare tanti che supportano la causa ma credono in una trasformazione graduale e progressiva. Molte e molti ambientalisti hanno ribadito che servirebbe una revisione della strategia (zuppa contro i petrolieri, oppure contro i grandi ricchi del pianeta, anche se personalmente userei direttamente del petrolio), azioni simboliche forti, anche di sabotaggio. E indubbiamente l’attivismoprenderà sempre più una dimensione diretta, fisica, di azione a supporto di un’idea molto forte, come la ribellione all’estinzione, la difesa del futuro. Analizziamo però sotto un’altra lente quanto accaduto nei templi dell’arte: se provassimo a leggere il gesto come una riflessione importante da cogliere sulla bellezza, al di là dell’efficacia dell’azione o meno. Non preoccupiamoci per un momento se il gesto può rischiare di alienare più persone invece che avvicinarle alla causa climatica. Interpretiamolo invece come una performance, di cui la stessa arte fino a ora è stata incapace (e che ha fatto poche riflessioni artistiche sul gesto), per discutere della crisi climatica e di come la interpretiamo sul serio. Se al posto delle due giovani attiviste ci fosse stato un’artista famosa come avremmo letto il gesto? La cruda violenza dell’assalto al bello artificiale di Monet da parte dei clima-attivisti è parallela alla brutalità del nostro assalto alla natura e alla sua bellezza. L’indignazione che genera il gesto dello sfregio calcolato sulle storiche opere d’arte non trova un corrispettivo quando costruiamo un nuovo impianto sciistico in mezzo alle alpi, una nuova pista d’aereo che devasta la brughiera, un nuovo capannone che devasta un bosco mediterraneo, un nuovo porto che elimina costa marina. Siamo assuefatti a colate di cemento, di asfalto, di fumi tossici, di centri commerciali e infrastrutture di ogni tipo. Non capiamo cheogni giorno versiamo ben di peggio di una zuppa Campbell scaduta sul nostro pianeta. Leggiamo dunque questo gesto simbolico su Monet nella sua parte più profonda, in unacritica dura alla nostra incapacità di indignarci di fronte al nostro scempio ambientaleoltre che alla nostra incapacità di dare priorità alle azioni politiche. Ladecarbonizzazioneo il nostro diritto a divertirci? Lo sviluppo economico delle classi più ricche o il benessere di tutt* domani? Questa è la riflessione che mi ha ispirato il gesto di queste giovani donne. E che forse avremmo dovuto leggere con un’ottica migliore invece di arrabbiarci subito come richiedono i giorni dell’ira dei social media. Capire che ruolo ha l’arte oggi nel denunciare la crisi climatica? Chiedersi quanto è urgente la rabbia delle nuove generazioni? Chiedersi perché reagiamo così solo davanti a un’opera d’arte e non allo sfacelo della natura? Non credo serviranno più azioni dirette contro l’arte, che hanno avuto il loro effetto, ovvero di scuotere un dibattito duplice, da un lato sull’azione diretta degli attivisti (che vede un costante crescendo in tutto il mondo), dall’altro sulle priorità della nostra etica (preoccuparci di cosa davvero?). Dobbiamo però aprire un dibattito più amplio sulla questione delle azioni dirette, non violente, di sabotaggio, quando si creano evidenti situazioni di stallo aiprogressi climatici e ambientali(come accaduto a esempio in Brasile). Andreas Malmnel suoHow to Blow Up a Pipelineha dimostrato come una delle vie delclimattivismo del futuropotrà passare non per l’azione nonviolenta ma per azioni di sabotaggio dirette. L’azione politica, civile ed economica globale dovrebbe continuare ad accelerare seriamente latransizione ecologicae la lotta contro laperdita di biodiversità– su questo per altro non si vedono molti attivisti. Se i paesi saranno in grado di fermare l’assalto alla bellezza del pianeta (e alla sicurezza e benessere delle generazioni future), azioni dirette e di sabotaggio non saranno necessarie. Altrimenti, quando le temperature medie globali avranno superato i 2,5°C a meta secolo le zuppe Campbell e il purè di patate nei musei saranno bazzecole di fronte alle vaste tensioni sociali e politiche che inevitabilmente la distruzione del sistema planetario porteranno.