L’Ue rimette in discussione il Patto di Stabilità

IlPatto di Stabilità e Crescitaè un accordo internazionale che venne sottoscritto dai Paesi membri dell’Ue nel 1997, con l’obiettivo di controllare le politiche di bilancio pubblico degli Stati membri e di rispettare i requisiti di adesione all’Unione. Questa misura, però, è stata sospesa dalla Commissione Europea fino al 2023 a causa della pandemia e della crisi che ne è conseguita. Decisione contrastante, quest’ultima, con quanto emerso al termine dell’Ecofin informale (Consiglio Economia e finanza) riunito nel Centro Congressi di uno dei più antichi quartieri di Praga, tra i Ministri delle Finanze Ue, nel quale il Vicepresidente esecutivo della Commissione Europea, Valdis Dombrovskis, ha sottolineato, invece, la necessità dirimettere in discussione il Patto di Stabilità. Infatti, in uno scenario piuttosto toccato dalla pandemia dovuta al Covid-19, si respira, a oggi, un clima di convergenza degli Stati membri sulla riforma del Patto stesso, orientata a reintrodurre la misura già dal 2024. In prospettiva, il 26 ottobre 2022 la Commissione Europea si impegna a presentare un programma dettagliato di quelli che saranno gli argomenti principali da revisionare su cui dovrà vertere il Patto e sulle modalità con cui questo verrà messo in atto. L’ipotesi di modalità di attuazione, simile a quella stabilita per ilPnrr,è che gli Stati membri stipulino con l’Ue un contratto nel quale sono previste una serie di riforme e investimenti che lo Stato si impegna a raggiungere. Punti salienti del processo di riforma Tra le priorità di cui la riforma deve tener conto c’è quella di assicurare la“sostenibilità” del debito pubblico, attraverso aggiustamenti di bilancio, riforme e investimenti. L’obiettivo è quello di raggiungere un calo che sia effettivo, graduale e sostenibile del debito, in rapporto al Pil. Questo perché, come confermato dalFondo Monetario Internazionale, si sta registrando un andamento negativo generale nell’Ue previsto per la crescita del Pil, dovuto agli effetti della guerra sull’inflazione e sui prezzi dell’energia, in particolare nel nostro Paese dove la Banca d’Italia ha revisionato i dati del Pil rispetto a luglio, prevedendo una crescita del 3,3% quest’anno, dello 0,3% nel 2023 e del’1,4% per l’anno successivo. In secondo luogo, la riforma dovrebbe intervenire in merito ai livelli di debito pubblico divergenti tra gli Stati Membri. Infatti, si discute sull’archiviazione della regola unica della riduzione annua del debito di 1/20 della quota eccedente il 60% del Pil; questo perché il rapporto di riduzione dovrebbe essere regolato in base al debito pubblico del singolo Paese, raggruppandoli in Stati con debito pubblico elevato, con debito pubblico intermedio e in linea con i vincoli di bilancio. Inoltre, il periodo di aggiustamento del debito dovrebbe essere di 4 massimo 7 anni, periodo nel quale il Paese in questione dovrebbe passare da un rischio alto a un rischio intermedio. Nel processo di riforma, da quanto dichiarato dal Vicepresidente della Commissione Europea, si dovrà tener conto anche della necessità diintrodurre un sistema di controllo più elaboratoe più robusto nel caso di mancato rispetto delle regole e di un sistema più semplificato delle stesse che prenda, invece, in considerazione indicatori più osservabili e concreti rispetto a quelli prestabiliti, come il parametro della spesa pubblica. Quadro complessivo Laprincipale complicazionedi questo processo è la frammentarietà del quadro generale rispetto all’anno di stipula del Patto. Infatti, ci si trova in un contesto in cui i Paesi nordici (anche detti Paesi frugali) non sono più compatti come in precedenza: la Germania è divisa tra due fuochi, rigoristi liberali da un lato e socialdemocratici dall’altro, l’Italiaè in attesa della formazione del nuovo Governo e alcuni degli Stati membri si trovano sotto la pressione del presidente russo Putin. L’unico dato importante che non può essere sottovalutato è che la media dei debiti pubblici europei, rispetto al Pil, continua ad aumentare, arrivando al 94,7%, con l’Italia che raggiunge addirittura il 147,9%.