God Save the Commonwealth

 

Più che una morte, quella diElisabetta IIè stata una sospensione d’immortalità. Ora che la regina d’Inghilterra è passata a un altro regno e la corona ha cambiato padrone, molti commentatori si sono affrettati a contarne le spine. La più urticante riguarda lanaturastessa dellamonarchia, che sublimata la fede dei sudditi nel carisma silenzioso e ironico di Elisabetta, in parte giàcompromessonel corso dell’ultimo decennio, rischierebbe di finire strozzata tra un borbottio e l’altro del neonato (73 anni)re Carlo III, fin da subito interprete di una certaletteraleresistenza a scrivere la propria pagina di storia. Ma prendiamola larga e veniamo alla prima domanda:che ne sarà delCommonwealth?Il Commonwealth delle nazioni, come vuole il suo nome per esteso, è un’organizzazione intergovernativa che oggi comprende 56 Stati indipendenti, in maggioranza ex colonie dell’impero britannico. Di questi 15 sono i cosiddetti “reami del Commonwealth”, monarchie che condividono Carlo III nel ruolo di capo di Stato. Questi comprendono, oltre al Regno Unito, ancheAustralia,Canada, Giamaica, Grenada,Nuova Zelanda, Papua Nuova Guinea, Isole Salomone, Tuvalu, Antigua e Barbuda, Isole Bahamas, Belize, Saint Kitts e Nevis, Santa Lucia, Saint Vincent e Grenadine. Per tutti gli altri Stati Carlo III è solo il capo formale del Commonwealth, comeaccettatonel 2018 dai leader degli Stati membri supropostadiElisabetta II. Ora alcuni di questi Stati manifestano l’intenzione di chiudere l’esperienza monarchica e lasciarsi definitivamente alle spalle i legami col loropassato coloniale. A fare da apripista è stata l’isola diBarbados, che il 31 novembre 2021, in occasione del 55º anniversario dall’indipendenza dal Regno Unito, harimossoElisabetta II come capo di Stato per diventare una repubblica, pur restando all’interno del Commonwealth. Tre giorni dopo la morte della regina, lo Stato insulareAntigua e Barbuda, nei Caraibi, ha annunciato che entro tre anni potrebbe indire unreferendumper decidere se abbandonare a sua volta la monarchia. Il primo ministro Gaston Browne ci ha tenuto a precisare che «non si tratta di un atto di ostilità», ma «il passo finale per completare il cerchio dell’indipendenza e diventare una nazione veramente sovrana». Sulla stessa linea ancheGiamaicaeBelize, dove lo scorso anno la corona era stata accolta duramente nel corso di un infaustotourdiWilliam e Katenei Paesi caraibici. In quell’occasione un comitato governativo delle Bahamas aveva esortato i reali a presentare «scuse complete e formali per i loro crimini contro l’umanità». A pesare, oltre il retaggio coloniale, anche la ferita più recente provocata dal cosiddetto “scandalo Windrush”, legato a una serie di discriminazioni perpetrate ai danni dei cittadini britannici di origine per lo più caraibica – chiamati “generazione Windrush” dal nome della nave che portò uno dei primi flussi di migranti nel Regno Unito – da parte del governo guidato da Theresa May. Il dibattito sulla monarchia si è riacceso anche inAustralia. «Abbiamo bisogno di un trattato con le popolazioni delle Prime Nazioni e dobbiamo diventare una Repubblica», hatwittatoall’indomani della morte di Elisabetta il leader dei Verdi australianiAdam Bandt. Ma il primo ministro Anthony Albanese ha ritenuto opportuno rimandare la discussione. «Condividiamo il dolore che tanti australiani stanno provando in questo momento, mostrando il nostro profondo rispetto e la nostra ammirazione per il contributo della Regina all’Australia», ha affermatoAlbanese. «In questo periodo le domande più grandi sulla nostra costituzione non sono queste», ha concluso. Ma a gettare ombra sulla casa dinastica del Regno Unito è anche la coinquilinaScozia, che già nel 2014 tentò senza successo la strada del referendum indipendentista (vinse il “No” col 55,3%). Dopo la Brexit, osteggiata dal 62% degli scozzesi, le cose potrebbero cambiare. A giugno la prima ministraNicola Sturgeonhapresentatoun disegno di legge col proposito di indire un nuovoreferendumil 19 ottobre 2023. «Non permetterò mai che la democrazia scozzese sia prigioniera diBoris Johnsono di qualsiasi altro primo ministro – aveva dichiarato in quell’occasione Sturgeon -La questione dell’indipendenza non può essere cancellata. Va risolta democraticamente». Il referendum deve però ottenere il permesso di Londra, che al momento ha negato l’autorizzazione. Il caso è stato quindirimessoallaCorte supremadel Regno Unito, dove sarà esaminato nel mese di ottobre.