GreenwaShein?

 

AlGlobal Fashion Summit, il vertice globale della moda, che si è tenuto il 7-8 giugno presso la Royal Opera House di Copenaghen, il gigante del fast fashionSheinhaannunciatoun accordo con l’organizzazione no-profit Or Foundation per il lancio di un fondo pluriennale allo scopo di «promuovere gli sforziverso la sostenibilità della moda». IlFondo per la responsabilità estesa del produttore(Epr), secondo quanto riferito dall’azienda, «contribuirà a far progredire la progettazione e l’attuazione distrategie di sostenibilitàecologica e sociale incentrate sull’abbigliamento», e prevede lo stanziamento di 50 milioni di dollari nei prossimi cinque anni per «affrontare la gestione globale deirifiuti tessilie promuovere lo sviluppo di un’economia circolare». La prima beneficiaria sarà la stessa Or Foundation, a cui Shein destinerà 15 milioni nell’arco di 3 anni e che la fondazione devolverà in primo luogo alKantamanto Marketdi Accra in Ghana (uno dei più grandi mercati di abbigliamento di seconda mano al mondo), affinché diventi «un luogo dilavoro sicuro e dignitoso». SecondoDead White Man’s Clothes, un progetto di ricerca multimediale coordinato dalla stessa Or Foundation, nel mercato di Kantamanto ogni settimana vengonoscaricati 15 milioni di articolia fronte di una popolazione nazionale che conta 30 milioni di abitanti. Il 40% di questi indumentifinisce in discarichetraboccanti, viene bruciato a cielo aperto o smaltito nel Golfo di Guinea. Un fenomeno che vittimizza l’Africa in quello che molti hanno definito“colonialismo dei rifiuti”. «Abbiamo chiesto ai marchi di pagare il conto dovuto alle comunità che hanno gestito i loro rifiuti, e questo è unpasso significativoverso la responsabilità», ha dichiarato Liz Ricketts,co-fondatrice e direttrice esecutiva di Or Foundation. «Ad apparirci davvero rivoluzionario è ilriconoscimento da parte di Sheinche i loro vestiti potrebbero finire qui a Kantamanto – ha aggiunto – un fatto semplice che nessun altro grande marchio di moda è stato ancora disposto ad affermare». «Affrontare irifiuti di seconda manoè una parte importante dell’ecosistema della moda che viene spesso trascurato», ha affermato Adam Whinston, capo della governance ambientale, sociale e aziendale (Esg) di Shein. «Abbiamo l’opportunità diapportare cambiamentiin questo spazio», sostiene illustrando quello che definisce un «programma dall’impatto socialeambizioso».Alcuni, però, temono che l’iniziativa dell’azienda di abbigliamento cinese rappresenti l’ennesimo esempio digreenwashing. «Apparentemente i soldi possono comprare qualsiasi cosa – hascrittodopo l’annuncio Livia Firth, fondatrice dell’agenziaEco-Age- La collaborazione con Shein è unapugnalata alla schienarispetto alla difesa dellamoda sostenibilee ci riporta indietro di anni». «Donare 50 milioni di dollari in 5 anni, frazione di un fatturato in crescita di 10 miliardi di dollari all’anno, per risanare un dannosenza cambiare il businessmodel estrattivo e oppressivo che ne è la causa non è una mossa strategicamente utile alla reale risoluzione del problema», hacommentatosu Instagram Matteo Ward, ceo e co-founder della start-upWråd, premiata a livello internazionale e attiva nel campo della moda etica. «Provare a riparare il danno è giusto manon basta -conclude – questi soldi cercheranno di chiudere, in parte, una grave ferita aperta ma non fanno nulla per curarne la causa: lasovrapproduzionee ilsovraconsumo».