Tu conosci il rainbow washing?

Tu conosci il rainbow washing?

 

Ma è vero impegno o solomarketing? Inutile negarlo: quando ci si trova di fronte acampagne, collezioni o altre iniziative dalrisvolto sociale, il dubbio che il brand promotore sia spintosolo da scopi commercialie nulla più si insinua nella mente. Il motivo primario di tale diffidenza è la concentrazione di queste azioni nello stesso periodo. Succede a esempio con laparità di genere, in concomitanza dell’8 marzo o del 25 novembre (festa della donnae dell’eliminazione della violenza su queste ultime), con la salvaguardia del mare in occasione della giornata mondiale degli Oceani l’8 giugno e, sempre in questo periodo, per quanto riguarda le tematiche Lgbtqia+. Già, perché in ricordo dei duri scontri che avvennero aStonewalltra omosessuali e polizia il 27 giugno 1969,giugno è il mese del Pridee sui social ma non solo è tutto un fiorire dibandiere arcobalenoe campagne di sensibilizzazione, portate avanti da questo e da quel marchio. Intendiamoci, non c’è nulla di male nel cogliere il momento per veicolare messaggi positivi,a patto però che alle parole seguano i fatti. In caso contrario si parla dirainbow washing, un termine che, evolutosi dai più notigreenepink washing, identifica l’operato di alcune aziende chedichiarano supporto alla comunità lgbtqai+senza però tradurre l’impegno in azioni concrete. L’ultima in ordine di tempo a essere accusata di questo fenomeno èBurger King, che in Austria ha lanciato una nuova versione del celebre paninoWhopperformato per l’occasione da due parti uguali, entrambe alte o basi, disponibile fino al 20 giugno. Nonostante, come dichiarato tramite social, l’intento fosse di promuovere “uguale amore e uguali diritti” in rete le polemiche non si sono fatte attendere e in assenza di prove di azioni tangibili i dubbi che si tratti dirainbow washingsono più che fondati. Prima di loro sono stati accusati di ciò ancheBarilla, il cui presidente Guido nel 2013 aveva dichiarato «Non faremo pubblicità con omosessuali perchéa noi piace la famiglia tradizionale», salvo poi creare nel 2018 packaging di pasta in limited edition conillustrazioni saffichea opera della designerOlimpia Zagnoli, e molto più recentementeDisney. Il colosso amato dai bambini di tutto il mondo, a marzo di quest’anno è finito nella bufera perché, se pubblicamente si dichiarava a favore della comunità Queer e Lgbtqia+, includendo questo tema nelle trame di molti nuovi cartoni animati, nell’ombra avrebbe finanziato politici a favore dellalegge della Florida ribattezzataDon’t Say Gay, che impedisce che in tutte le scuole pubbliche fino alla terza elementare si possafare riferimento all’orientamento sessuale e all’identità di genere. Sotto il fuoco di fila dei diffidenti è finita ancheChiara Ferragni, che a San Valentino 2022 ha lanciato insieme aArcigay Milanola campagna#LoveFiercely, in favore dell’amore senza barriere né distinzioni, mossa che molti hanno visto come l’ennesimo modo per l’imprenditrice digitale per far parlare di sé. Ma tornando al presente e alle tantissime aziende che hanno deciso di farsi arcobaleno in occasione delPride Month 2022,una cosa è certa: capire chi sia animato da buone intenzioni e chi solo dalla voglia di posizionarsi meglio non è semplice, anche se su alcuni nomi ci si potrebbe quasi sbilanciare, come quello diDonatella Versace. Da sempre, anche insieme al fratello Gianni, concretamente attenta alla causa Lgbtqai+, la stilista ha lanciato proprio in questi giorni una capsule collection in collaborazione con Cher dal nomeCHERSACE, cui parte del ricavato sarà devoluto aGender Spectrum, un’associazione che supporta in maniera diretta i membri della comunità Lgbtqia+, in particolare bambini e giovani. «Ho sempre sognato di collaborare con Cher e finalmente il sogno è diventato realtà! Sono felice di poter supportare questa associazione che è in grado di esercitare un così forte impatto positivo, soprattutto sulle giovani generazioni», ha dichiarato Donatella. La limited edition, disponibile sul sito Versace.com, comprende t-shirt e accessori decorati con il logo CHERSACE e un messaggio di amore e unità dedicato al mese del Pride. A rendere l’impegno della stilista ancora più credibile è anche la notizia diffusa poco meno di una settimana fa, il primo giugno 2022, della nascita della The Versace Foundation da parte della Capri Holdings Limited, a cui fanno capo i marchi Versace, Michael Kors e Jimmy Choo. La fondazione s’impegnerà conorganizzazioni filantropichee gruppi comunitari a sostenere la conservazione della storia e della cultura Lgbtqia+ e a promuovere il progresso dell’uguaglianza, delbenesseree della sicurezza di tutta la comunità. Anche Puma ha deciso di puntare sui testimonial a effetto, presentando la capsule d’abbigliamentoTogether Forever, insieme alla global ambassador dichiaratamente lesbica, Cara Delevingne. La collezione incoraggia ad alzare la voce e a celebrare la propria forza ed è stata disegnata all’artista queer Carra Sykes. Non manca nemmeno qui la formula collaudata composta da messaggio ispirazionale più donazione economica, visto che il 20% del ricavato, con un minimo di 250.000 dollari, sarà devoluto a favore di Glaad, un’organizzazione che si impegna a garantirerappresentazioni eque, accurate e inclusive della comunità Lgbtqia+. Ma la lista dei marchi che sposano la causa non finisce qui, anzi potrebbe dirsi quasi infinita. C’è Zadig & Voltaire che dona il 10% di una capsule rainbow creata per l’occasione all’associazione artistica Queer|Art; Fossil che devolve il 100% dei proventi delle vendite di una linea di orologi a tema Pride all’associazione The Trevor Project; Borsalino che con cappelli dai dettagli arcobaleno aiuta l’associazione di Alessandria Tessere le Identità, a promuovere azioni di solidarietà sociale. E ancora, Diesel che collabora con la Tom of Finland Foundation a unprogetto di sensibilizzazionead ampio raggio che comprende mostre, capsule e non solo; e Mulac cheveste di arcobaleno il suo celebre olioper capelli trasformandolo in prideberry e devolvendone il 10% del ricavato alla cooperativa socialeCasa Arcobaleno di Spazio Aperto Servizi,per l’apertura di nuove case per chi viene discriminato dalla propria famiglia. Queste sono solo alcune delle iniziative al momento note ma, considerando che il mese del Pride è appena iniziato, è molto probabile che la lista si allunghi, così come la scia dellepolemiche e accuselegate a eventuali rainbow washing. Come detto, che siano fondate o meno è quasi sempre difficile da capire, ma il dubbio che, quando il foglio del calendario di giugno verrà strappato, i riflettori sulla causa si spegneranno resta, almeno stando ai dati poco edificanti diffusi dall’Istat in merito a lavoro in Italia e persone Lgbtqia+. Sebbene la stragrande maggioranza degli intervistati dichiara che il proprio orientamento sessualesia sempre stato noto almenoa parte dei colleghi, il 40,3% riferisce, in relazione all’attuale o ultimo lavoro svolto, di aver evitato di parlare della vita privata pertenere nascosto il proprio orientamento sessuale, e una persona su cinque di aver evitato di frequentare persone dell’ambiente lavorativo nel tempo libero per non rischiare di rivelare il proprio orientamento. Come se non bastasse, circa sei persone su dieci hanno sperimentato almeno unamicro aggressionenell’attuale o ultimo lavoro svolto. Insomma, se è corretto dire che non tutte le aziende faccianorainbow washing, lo è altrettanto sostenere checolorarsi di arcobaleno 30 giorni l’annonon sia più sufficiente.