Non è un buon tempo per essere madri

 

“Libere di essere madri”: così suRepubblicaCristina Comencini ha rilanciato il tema dellamaternità, affiancando alla perdita di centralità della maternità nel dibattito pubblico anche quella del privato. In sostanza, sembra dire Comencini, se è fondamentale che le donne venganosupportateal massimo quandodecidono di fare unfiglio, dovrebbero anch’esserivendicare il loro desiderio di farlo. Proprio come un tempo si scendeva in piazza per ildiritto di abortire. D’altronde, il rapportodesiderio-concepimentodovrebbe essere qualcosa di profondamento legato e il fatto che si sia inceppato esprime un problema che, appunto, non è solo pubblico. Il ragionamento ha degli aspetti giusti. Nulla, infatti, cala dall’alto e se le donne stesse non chiedono a gran voce che il loro desiderio siatutelato da welfare e sostegni,lo Stato e le amministrazionisaranno meno disposti ad attivarsi perché qualcosa cambi. Il rischio che sta sullo sfondo è lo stesso che ha animato i dibattiti e i convegni sull’inverno demografico delle ultime settimane, profezia di Elon Musk sullospopolamento dell’Italiainclusa. Una su due è senza lavoro Mi sembra tuttavia che in questidibattitici siano numerosi assenti. Il primo assente, sono legiovani donnestesse, a cui non viene chiestoperché non facciano figli. Sappiamo dalle rilevazioni che le donne italianevorrebbero più figli di quanti (non) ne abbiano, ma ascoltando proprio quelle donne che hanno l’età anagrafica per fare un figlio e non lo fanno scopriremmo che il problemanon è la paura di non far carriera o del dolore del parto. Le si dipinge in questo modo come donne che non fanno figli per questioni tutto sommato frivole. La questione è ben altra: sono donne chehanno impieghi sottopagati, spesso part time, oppureautonomi a partita Iva, o intermittenti. Arrivano a fatica a racimolare qualche centinaio di euro a fine mese,pochissime sono assunte a tempo indeterminato. E già questo basterebbe a spiegare perché un figlio non lo fanno. Possono essere legate sentimentalmente a qualcuno, ma non solo oggi esiste anche unaprecarietà sentimentaleche tutto aggrava, mapotrebbero anche temere di finire dipendenti dal compagnodopo una nascita, se è vero che già una donna su due in Italia non lavora e il 30% delle madri abbandona dopo un primo figlio. Se invece un figlio lo fanno, buttando il cuore oltre l’ostacolo,rischiano di diventare indigenti nel caso si separino: lo è infatti il60%delle separate. Niente figlio senza benessere Il quadro è spaventoso e purtroppo non può certo cambiare se lo Stato ci dàqualche bonus una tantum, oppure anche assegni familiari di cento o poco più euro. Anche perchéoggi i figli non si fanno a tutti costied è giusto che sia così. Si dice che si vuole troppo per loro ma una donna (e un uomo) si chiedono:perché fare un figliose non posso garantirgli un presente fatto di buon cibo, buone scuole, vacanze, sport, etc. Insomma, garantirgli benessere, che non è qualcosa di spaventosamente borghese: significaben-essere, stare bene. Ed è giusto che sia così, anche perché tutti quelli che scrivono sul tema – Comencini compresa – dovrebbero riflettere su tutto ciò che hanno potuto dare ai propri figli. Li avrebbero fatti se non avessero potuto pagargli sport e vacanze, facendoli restare in case brutte e in città torride? Non credo proprio. E allorala paura dei figli è anche questa: quella dinon potergli garantire un certo standard di vita. Può capitare che si esageri, soprattutto con l’acquisto di oggetti inutili. Ma nella sostanza igenitori di oggi non sbagliano. E sport, vacanze e altre cose essenziali costano tantissimo. Il dibattito demografico Ma poi c’è un ultimo fatto, sul quale anche scendendo in piazza le cose non cambieranno. In alternativa a un certo standard di vita,i figli si fanno in un clima culturale e sociale favorevole. Che non c’è. E non si tratta solo di welfare. Proviamo ad alzare gli occhi dall’Italia, guardiamo la situazione in cui siamo. Reduci da unapandemiache potrebbe ripresentarsi anche più feroce, in mezzo a unaguerratanto inutile quando devastante, ma soprattutto in mezzo a unacrisi climatica irreversibileche sta minando per sempre il nostro presente e anche il futuro. Onestamente, fare figli in questo momento è davvero un azzardo da folli. Basta leggersi unrapporto Ipccper chiedere l’immediata chiusura delle tube. Questa minaccia incombente forse i politici non la vivono ma le donne (e gli uomini) sì e non è un caso chele nascite siano crollate in pandemia, a differenza di chi, dimostrando davvero scarsa intelligenza, credeva che stando a casa le persone copulassero di più. Come se i figli si facessero senza ragionare. Senza pensare. Invece toh,le persone hanno molta più sensibilità e lungimiranza di chi ci governa. Non si può allora svincolare ildibattito demografico italiano, salvo farlo diventare grottesco, da questi altri, enormi temi. Anche per una seconda ragione: ci stracciamo le vesti perchéi banchi saranno sempre più vuoti. Ma se alziamo lo sguardo vediamo unmondo sovrappopolato in maniera insostenibile, con centinaia di milioni di profughi e sempre più climatici. Quasi ogni giorno decine di persone muoiono al largo delle nostre coste nel tentativo di arrivare. Ovvio che non basterebbe sostituire automaticamente stranieri a italiani, maallarmarsi per la perdita di bambini italianicomincia ad avere un che di surreale alla luce di ciò che accade nel mondo. I figli sono roba da vip La verità è che noigli stranieri non li integriamo, non li sappiamo integrare perché se lo facessimo avremmo appunto cittadini italiani che pagano tasse e contributi, che poi è quello che interessa chi organizza idibattiti contro la denatalità, preoccupato della propria pensione. In ogni caso no, non credo che la tendenza alla denatalità possa essere invertita. Nel Paese dove anche i sindacati sonocontrari al salario minimopotrebbero volerci decine e decine di anni per avere un welfare decente e un lavoro capace di garantire reddito. Nel frattempo, però, il costo delle continue crisiavrà comunque eroso i redditie il mondo sarà diventato forse unluogo inabitabile. Insomma,non è un buon tempo per essere madri, al di là del desiderio. Le variabili critichesono davvero tante ed enormi. E infatti oggi avere un figlio è qualcosada vip, e i tripudi di pance si vedono solo sui loro profili Instagram di quelli che solcano il mondo con i jet privati. Le donne “normali” spesso e volentieri si astengono. Per non diventare ancora più povere, per non restare magari sole e indigenti dopo una separazione in un mondo sempre più caldo. Vai a dar loro torto. E no, non scendono in piazza a chiedere di poter essere madri. Perchéa differenza delle boomer, fanno molta più fatica a sopravvivere, né hanno una prospettiva di crescita e sviluppo di fronte a loro. Non colpevolizzare le giovani donne Sarebbe dunque il caso di riconoscerlo, specie da parte di chi – per contingenze biografiche e sociali e storiche -ha potuto invece avere tutto. Perché il rischio, neanche troppo sottile, è che se diciamo alle donne di farvalere il loro desideriole stiamo in fondo un po’colpevolizzando. L’invito a non reprimere i propri desideri suona come un ulteriore fardello su chi quei desideri li ha dovuti reprimere, e con enorme fatica, proprio perchémancano le condizioni perché quel desiderio, che esiste, trovi spazio. D’altronde, ci sono epoche storiche in cui fare figli non è stato possibile. Nel bellissimo film su Hannah Arendt di Barbara Sukowa, l’attrice che incarna la filosofa a un certo punto dice, parlando con il marito, quando è già emigrata in America, una frase che mi è rimasta dentro. “Non abbiamo avuto figli: quando eravamo giovani,eravamo troppo poveri. Ora che possiamo,siamo troppo vecchi”. E, allora, sì è una provocazione ma con del vero, io forse più che spingere le donne a fare figli io le aiuterai a fare il contrario. Elaborare il lutto dei figli mancati. Mi sembra molto più realistico. Mi sembra, anche, molto più onesto.