Grazie ma non ci servi più

 

Due anni faMichela Zeppetella, organizzatrice di eventi e fotografa per passione, haperso il suo lavoroa causa dello scoppio dellapandemia. Dopo 15 anni nel mondo del turismo di lusso, nel marzo 2020 ha cambiato azienda, con lapromessa di un contrattoal termine di tre mesi di “prestazioni occasionali” pagate con ritenute d’acconto (la cui scadenza cadeva per l’appunto a marzo). Ma con l’arrivo del Covid in Italia, si è ritrovata senza contratto,disoccupatae senza sussidi. È stata costretta aaccettare diversi lavoriper riuscire a pagare le bollette ma, soprattutto, per rimanere attiva mentalmente. Dopo aver scoperto che molte altre donne si sono trovate nella sua stessa situazione, ha organizzato unoshooting fotograficoper denunciare laprecarietà lavorativapost Covid. L’invito era rivolto a entrambi i sessi ma, alla fine,hanno risposto solo donne. Secondo i dati Istat, neldicembre del 2020(quindi dopo la fine del primo lockdown ma in un periodo in cui erano state imposte nuove chiusure) il numero dipersone “inattive”era cresciutotra le donnein fasce d’età tra i 15-24 e 35-49 anni, mentre eradiminuito tra gli uominie le restanti classi di età (nonostante il livello di occupazione del trimestre ottobre-dicembre 2020 fosse superiore dello 0,2% a quello del trimestre precedente). «Oltre all’aumento del rischio di violenza domestica, [nel 2020]le donne hanno sofferto più degli uominidellaperdita diposti di lavoro, oltre che di un peggioramento delle proprie condizioni lavorative dovute, tra l’altro, allemaggiori responsabilità di curanel contesto familiare», si legge nelBilancio di genere 2020. «Essendo stata anche io una vittima e volendodar vocea tutte queste donne che come me hanno perso il lavoro, ho organizzato un servizio fotografico dove le protagoniste sono proprio loro», ha spiegato Zeppetella. È nato così“Grazie ma non ci servi più”, una raccolta difoto di donne mascherate«che hanno creduto nella “loro” azienda, la stessa che oggi ha deciso chenon vale più la pena investiresulla loro esperienza»; di donne che oggi si ritrovano «senza un volto, una meta, senza domande né risposte». Tra queste, c’èC., 55 anni, dipendente di un’azienda per 22, dove è riuscita a ottenere molte soddisfazioni e a raggiungere importanti posizioni lavorative. Ora, però, è disoccupata perché il suo impiego avrebbe rappresentato uncosto eccessivoper l’azienda. Ma non è stata la sola: la stessa società ha infatti licenziato altre donne, tutte madri, mentre sonorimasti a lavorare per la maggior parte uomini. C’è poi D. (45), che dopo anni di lavoro in uno studio diavvocati, è stata licenziata in seguito alla pandemia. Ma non tutte le donne che hanno partecipato al servizio hanno perso il loro impiego per il Covid. Nel 2018, l’azienda diR.(50) ha registrato un calo nel fatturato e così lei è stata licenziata all’improvviso. «Il suo posto – ci racconta Zeppetella – è statopreso da unə parentedei proprietari dell’azienda». Un’altra donna le ha spiegato per messaggio che, a breve, lei e altre163 dipendenti avrebbero perso il posto di lavoro. In vista del1° maggio, una giornata che ricorda e celebra le lotte per i diritti dei lavoratori, il progetto “Grazie ma non ci servi più” è riuscito arappresentare laprecarietà lavorativanella quale oggisempre più donne sono costrette a vivere.