Hong Kong vieta una canzone di protesta, inno non ufficiale del movimento pro-democrazia

“Perché le lacrime scorrono di nuovo in questa terra? Perché c’è qualcosa che fa arrabbiare tutti? […] Rivoluzione dei nostri tempi. Possano le persone regnare, orgogliose e libere, ora e sempre. Gloria a te Hong Kong”. Questi versi fanno parte diGlory to Hong Kong, una canzone in dialetto cantonese pubblicata all’inizio di settembre 2019 e diventatal’inno non ufficiale del movimento pro-democraziadurante le manifestazioni anti-governative contro una controversa legge sull’estradizione nella regione amministrativa speciale che sorge in Cina. Mercoledì 8 maggio la Corte D’Appello l’ha definita “un’arma” che ha incitato le protestedi quasi 5 anni fa, annullando una sentenza dell’Alta Corte che aveva respinto la richiesta del Governo di vietarla. Ora Hong Kong potrà renderla illegale ai sensi della legge sulla sicurezza nazionale in vigore. Il brano parla della soppressione e dellaprivazione dei diritti umani fondamentali, della perseveranza di cittadine e cittadini di Hong Kong contro la repressione, della speranza di riacquistare la propria libertà e riprendere in mano il futuro della città, che dal 1997 gode di una certa autonomia. Da allora, secondo gli attivisti e i gruppi in difesa dei diritti umani, le libertà democratiche sono state gradualmente danneggiate. A giugno 2019 sono scoppiatele più grandi proteste nella storia di Hong Kong, nate per contrastare una legge che avrebbe consentito l’estradizione dall’isola alla Cina continentale. In quei mesi la canzone è stata condivisa online da moltissime persone, anche sul forumLIHKG, una piattaforma digitale che viene utilizzata dai manifestanti antigovernativi principalmente per discutere di tattiche. Alcuni hongkonghesi la considerano l’inno nazionale della città. Dopo che la Cina aveva imposto una controversa legge sulla sicurezza nazionale nel 2020,il brano era stato vietato nelle scuole di Hong Kong. A marzo, le autorità hanno emanato un’altra serie di leggi sulla sicurezzache, secondo alcuni Governi stranieri, minano ulteriormente i diritti e la libertà di parola.L‘Articolo 23prevede che il governo emani norme per vietare 7 reati, tra cui il tradimento e la sovversione contro il Governo centrale del popolo e il divieto per le organizzazioni.SecondoAmnesty Internationalsi tratta di “un altro segnale del desiderio delle autorità di Hong Kong di obbedire alla volontà di Pechino e dirinunciare a ogni precedente impegno in favore dei diritti umani”. La sentenza della Corte d’Appello di mercoledì si inserisce in un contesto quello che i critici hanno definitoerosione dello stato di diritto e dei diritti individuali di Hong Kong,che dallo scoppio delle proteste ha registrato l’incarcerazione di decine di oppositori democratici e la chiusura di media liberali. La canzone non potrà più essere trasmessa o eseguita “con intento criminale”, o diffusa o riprodotta su piattaforme basate su Internet, hanno deciso i giudici. «Il Governo… comunicherà con i fornitori di servizi Internet interessati, chiedendo o pretendendo che rimuovano i contenuti rilevanti in conformità con l’ordine di ingiunzione», ha dichiarato Paul Lam, segretario alla giustizia di Hong Kong. Pechino ha definito la misura “necessaria”. Il portavoce del ministero degli Esteri Lin Jian in un briefingha dichiaratoche «impedire a chiunque di utilizzare o diffondere la canzone in questione è una misura legittima e necessaria da parte di Hong Kong per adempiere alla propria responsabilità di salvaguardare la sicurezza nazionale». L’anno scorso il Governo aveva provato a ottenere un’ingiunzione ufficiale per l’inno, mala Corte Suprema aveva bloccato questo tentativo affermando, in una sentenza, che un divieto avrebbe potuto avere un “effetto raggelante” sulla libertà di espressione. Ma le autorità hanno contestato la decisione e presentato ricorso.