Le persone che credono in una religionehanno unapproccio più positivo alla vitarispetto agli atei e godono di maggior benessere: è la conclusione a cui è giunto, dopo 10 anni di studi condotti in 152 Paesi, ilrapportoGallup World Poll. Da ormai diverso tempoil numero globale dei fedeli, di ogni religione,è in flessionee sempre meno persone si affidano alla spiritualità per trovare conforto in momenti negativi o attingere energia nell’affrontare la vita quotidiana. Una parabola discendente che sembra destinata a non invertire la propria rotta ma che, invece, stando ai risultati di questo studio, forse dovrebbe. L’analisi si è svolta tra il 2012 e il 2022, anni durante i quali i ricercatori hanno analizzato 9 aspetti della vita dicirca 1,5 milioni di persone,facendo loro domande specifiche su questioni individuali ma anche su interazioni sociali, impegno civico, salute, situazione economica e molti altri aspetti. Ciascuno dei 9 indici prevedeva un punteggio da 0 a 100, basato sulle risposte a una serie di domande tra le quali“Hai sorriso o riso oggi?”; “Sei stato trattato con rispetto?”; “Hai fatto beneficenza o aiutato uno sconosciuto”? Ciò che è emerso da questa lunga ricerca è chele persone religiose, in tutto il mondo, sembrano vivere in una condizione dimaggiorbenesseregenerale, essere più positive, avere più sostegno dalla propria rete sociale, essere più coinvolte nelle dinamiche delle loro comunità rispetto a coloro che non sono religiose. In particolare, i credenti hanno ottenutopunteggi più altiin 5 indici:vita sociale(77,6 rispetto a 73,7 delle persone non religiose),esperienze positive(da 69 a 65),sostegno della comunità(da 59,7 a 55,6),ottimismo(da 49,4 a 48,4) eimpegno civico(da 35,8 a 48,4). Non tutti i parametri, tuttavia, hanno evidenziato differenze tra i due gruppi.Non esiste, a esempio,alcuna relazione tra religiosità e benessere economico,mentre si registra, ma in negativo,tra religione e salute.Sembra infatti che le persone credenti, a volte, attribuiscano la responsabilità di eventi critici come una malattia a un potere superiore che le ha abbandonate, provando quindipiù emozioni negative rispetto a una persona non religiosa. Pur essendo uno studio a carattere globale, ledifferenzetra i due gruppi non sono risultate omogenee mapiù evidenti nei Paesi a forte vocazione spirituale, dove oltre il 66% della popolazione ritiene che la religione sia importante. Se si considera cheogni differenza di un punto si traduce in circa 40 milioni di cittadiniin tutto il mondo, è evidente come secondo lo studio la religione impatti non solo sul singolo ma sull’intera collettività. Senza contare che spesso i Paesi più religiosi sono anche i meno ricchi, nei quali il livello di benessere generale è inferiore rispetto a quelli nei quali la popolazione è più abbiente. Oltre a riportare i dati, il rapporto, al quale ha lavorato anche laRadiant Foundation, che promuove una visione positiva della religione e della spiritualità ed è associata alla Chiesa di Gesù Cristo dei Santi degli Ultimi Giorni, azzarda alcune conclusioni. La principale è chereligione e spiritualità potrebbero essere possibili risorse per affrontare alcuni problemi legati allasalute mentale. Per stessa ammissione dei ricercatori, tuttavia, non si tratta diuna strada praticabile. Non solo per il mancato riconoscimento scientifico dei benefici della religione sulla psiche, ma anche perché il popolo dei credenti è composto da sempre meno soggetti e chi non ne fa parte guarda spesso con scetticismo tutto ciò che i credo religiosi comportano. Compresi gli indicatori di benessere. Se trasformare un non credente in credente è impossibile o, almeno, poco realistico, nulla vieta tuttavia, ognuno con il proprio metodo, diapprocciarsi alla vita in modo più spirituale e meno materiale. Non fosse altro per provare ad attirare verso di sé una dose extra di positività.
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