Beverage, emissioni zero? Un miraggio

 

Il traguardo delleemissioni zeroper il settore dellebevandesembra ancora molto lontano, soprattutto se si guarda alla gestione dellematerie primee degliimballaggi. Un’analisi della multinazionale americana di consulenza strategicaKearneymette nero su bianco la distanza esistente rispetto agli obiettivi indicati dall’Unione europea. Le strategie delle aziende in tema dieco-sostenibilitàsono ancora carenti, ma tutto sommato inItalianon va così male. Le mete da segnare sul calendario sono due: il 40% ditecnologie a zero emissionientro i prossimi sette anni e poi, più in generale,le zero emissioni nettedigas serraentro la metà del secolo. Intanto, i ricercatori hanno stimato che in tutto il mondo, nel corso del 2021, gli attori delbeveragehanno prodotto circa 1,5 miliardi di tonnellate di CO2. L’indagine dettagliata cheKearneyha dedicato all’argomento svela quindi chel’industria delle bevandesta riducendo le sue emissioni di un misero 0,7% all’anno. Procedendo di questo passo, diventa una vera e propria chimera rispettare gli obiettivi dell’Ue, che sta mettendo l’ormai famosoGreen Dealal centro delle sue politiche per il futuro. Gli analisti hanno calcolato che, per avvicinarsi ai target previsti, il ritmo della riduzione delleemissioni inquinantidovrebbe accelerare addirittura di undici volte. La colpa ancora una volta è della gestione dellematerie primee delleconfezioni: sono responsabili al 58% dellaCO2generata. Eppure, per quanto concernegli imballaggi, ci sarebbero tante soluzioni disponibili, daimateriali innovativiche favorisconoil ricicloainuovi contenitoririspettosi dell’ambiente. Ma i miglioramenti possibili riguardano anche le altre fasi della produzione e potrebbero essere portati a compimento in tempi brevi. Ad esempio rendere il lavoro difornitori e produttorisempre più integrato porterebbe a perfezionare l’utilizzo degliingredientie deimateriali, abbattendo glisprechi. Un altro passaggio dovrebbe essere l’ampliamento dell’accesso alleenergie rinnovabili. In tutto questo discorso a tinte scure c’è però un punto di svolta positivo.L’Italianon è così indietro. Il motivo è fare di necessità virtù: le aziende del nostro Paese infatti sono generalmente meno grandi rispetto alle concorrenti europee e quindi sono costrette a portarsi avanti il più possibilesul piano dell’efficienza, per poter resistere sulmercato. Così le realtà produttive dello Stivale hanno investito nellatecnologia, nell’eco-designe nelriciclo. Lo confermano i dati diAssobibe, l’associazione di categoria che rappresenta e assiste le imprese che producono e vendono bevande analcoliche in Italia. Si tratta di un segmento che vale 5 miliardi di euro e che conta su 80.000 lavoratori e 100 stabilimenti. D’altra parte nel Belpaese siamo molto affezionati a questi prodotti. Comeha svelato il report diDoveConviene, selaCoca-Coladomina quasi incontrastata tra le bibite analcoliche, perle birreè duello all’ultimo sorso.

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