Legambiente: i fitofarmaci calano di quasi il 5% negli alimenti, ma preoccupa il “multiresiduo”

Legambiente: i fitofarmaci calano di quasi il 5% negli alimenti, ma preoccupa il “multiresiduo”

 

Cosa sono i fitofarmaci? Ifitofarmaci, noti anche comepesticidi,agrofarmacioprodotti fitosanitari, sonosostanze chimiche appartenenti a una categoria di composti inorganici,organici naturalie di sintesiutilizzati comunemente in agricoltura percurare o prevenire infezioni sui vegetalicausate da organismi nocivi. Esistono diversi tipi di fitofarmaci. Normalmente vengono categorizzati in base all’organismo bersaglio(target,direbbero gli addetti ai lavori) e al loromodo di azione. Tra i principali troviamoinsetticidi,erbicidi,fungicidieregolatori di crescita delle piante. Alcuni di loro aiutano adifendere le colture da parassiti(insetti e acari), altri acontrastare agenti patogeni(batteri, virus e funghi); altri ancora sono impiegati percontrollare la crescita di piante indesiderate. Ci sono poi degliagrofarmaci, che contribuiscono almiglioramento degli standard qualitatividei prodotti agricoli. In altre parole, il compito dei fitofarmaci è quello diproteggere le coltivazionida insetti, malattie, e piante infestanti. Un compito nobile e necessario, e a ben vedere cruciale nell’assicurare la resa delle colture e garantire la sicurezza alimentare. Detto ciò, non sono poche lepreoccupazioniche riguardano la loro efficacia, nonché il loroimpatto sull’ambiente e sulle specie viventi. Come si legge dalsito del Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica, “benché l’uso dei prodotti fitosanitari risulti in molti casi indispensabile per proteggere i prodotti vegetali destinati all’alimentazione dell’uomo (e degli animali), le sostanze in essi contenutepossono presentare effetti dannosi per l’ambiente e la salute umana”. Le sostanze attive presenti nei prodotti fitosanitari possono infattiarrecaredanni anche ad altri organismi presenti nell’ecosistema di applicazione, noti come “organismi non bersaglio”. Basti pensare che la quantità di principio attivo che colpisce il bersaglio è normalmente inferiore al 5%, mentre il resto si disperde nell’ambiente,contaminando acqua, aria e suolo, portando per esempio all’inquinamento delle falde acquifere, alivelli ridotti di fertilità del suolo, nonché alladiminuzione degli insetti impollinatori. Neanche gli esseri umani sono esenti da rischi. Secondo alcuni studi scientifici, oggetto di un dibattito tuttora molto acceso all’interno della comunità scientifica, l’esposizione (diretta o indiretta) ad alcuni di questi agrofarmaci può aumentare la probabilità di formazione dicarcinomi,leucemiee altritumori del sangue,cancro alla prostata,tumori dell’infanzia, nonché l’insorgere di una serie dipatologie non tumoralicome problemi neurologici e cognitivi, danni al sistema immunitario e sviluppo di allergie, problemi alla tiroide, infertilità. Il dossier di Legambiente,Stop Pesticidi nel Piatto A partire da queste premesse, il dossier intitolatoStop pesticidi nel piatto,frutto della collaborazione traLegambienteeAlce Nero, si propone di fornire unquadro esaustivo sulla diffusione dei fitofarmaci nell’ambito agricolo, di indagare il loroimpatto sulla catena alimentaree più precisamente la loropresenza residua negli alimentiche finiscono quotidianamente sulle nostre tavole. Nella piena consapevolezza della trasformazione profonda che ha interessato il sistema agroalimentare negli ultimi 50 anni (un sistema cioè sempre più orientato allamassimizzazione della produzionee all’adozione di pratichedi tipo intensivoche contraddicono gliobiettivi di sostenibilità ambientale e sociale, sfruttando risorse naturali e manodopera al solo fine diincrementare i profitti)le prime pagine di questo dossier non possono che ricordare la presenza di un ulteriore fattore di stress da aggiungere a questo quadro già non roseo: ilcambiamento climatico. L’intensificazione degli eventi climatici estremi dovuti al riscaldamento globale e dunque, per gran parte, dalle attività antropiche, sta mettendo a dura prova la sopravvivenza delsettoreagricoloin alcune regioni del mondo. Eppure, è proprio questo settore a essere tra iprincipali responsabili dell’aumento delle temperature, rappresentando circa il20% delle emissioni globali totali. Vittima e carnefice al contempo, il mondo agroalimentare non può che essere un osservato speciale nel percorso che l’Italia e l’Europa stanno compiendo verso latransizione ecologica. A questo proposito, come ricordato giustamente dal dossier, le strategie europeeFrom farm to forkeBiodiversity 2030hanno messo nero su bianco quale sia la strada da intraprendere e quali gli obiettivi da raggiungere per avvicinarsi a unmodello più sostenibile di agrobusiness. Su tutti, lariduzione del 50% dei pesticidi,del 20% dei fertilizzantiedel 50% degli antibiotici negli allevamenti.A questi si aggiunge l’obiettivo delraggiungimento del25% della produzione biologica a livello europeo entro il 2030. Ma torniamo ai fitofarmaci. Per quel che riguarda ilmercato dei prodotti fitosanitari, l’ultimo rapporto dellaEuropean Environment Agencyha rivelato che sebbene le vendite di agrofarmaci in Europa nel periodo 2011-2020 non abbiano registrato particolari fluttuazioni, le cose vanno (leggermente) meglio in Italia. Come evidenziato daIspra,nello stesso periodo di rilevazione, in Italia abbiamo assistito infatti a unadiminuzione del 6,5%, e di un ulteriore calo del 4,22% rispetto al 2020. Questi dati non bastano per rassicurare.I principi attivi utilizzati sono ancora molti. In Europa, parliamo di450 sostanze autorizzate: un numero che nell’ultimo decennio è rimasto pressoché stabile. Al 2021, i pesticidi più distribuiti sono statifungicidi(47,06%), seguiti poi dainsetticidi(21,15%) eerbicidi(17,73%). I risultati dell’indagine Come anticipato, l’obiettivo dell’indagine effettuata daLegambienteeAlce Neroèfar luce sulla presenza di residui di prodotti fitosanitari negli alimenti. Al centro dello studio c’è proprio la presentazione dei risultati di un’analisi condotta nel 2022 su 6.085 campioni di alimenti di origine vegetale e animale, provenienti sia da agricoltura convenzionale che biologica, e provenienti da15 Regioni italiane. Di seguito, i dati più interessanti e rilevanti che sono emersi dalla lettura del dossier. 1.Il gap tra agricoltura convenzionale e biologica La prima notizia, che non sorprende, è unadifferenza sostanziale tra i campioni di generi alimentari biologici e non biologici. Se nei prodotti biologici sono stati rintracciatiresidui soltanto nell’1,38% dei campioni, una contaminazione avvenuta probabilmente a causa del cosiddetto “effetto deriva”, cioè dalla presenza limitrofa di aree coltivate con pratiche proprie dell’agricoltura convenzionale, i campioni provenienti da quest’ultimo metodo di coltivazione che hanno registrato tracce diuno o più residui sono il 39,21%. Tra questi, la percentuale di monoresiduo è pari al 15,67%, contro il 23,54% di multiresiduo. Credit: report “Stop pesticidi nel piatto”, Legambiente 2.La frutta è la categoria di alimenti più colpita Ma quali sono gli alimenti con la più alta percentuale di residui? Medaglia d’oro alla categoria dellafrutta, dove la presenza di residui è stata particolarmente significativa, interessando il67,96% dei campioni analizzati, sebbene si sia registrato un leggero calo rispetto all’anno precedente. Tra le varie tipologie di frutta, leperehanno mostrato lapiù alta incidenza di fitofarmaci, con l’84,97% dei campioni interessati, seguite dapesche(83%) emele(80,67%). Lafrutta esotica, tra cui banane, kiwi e mango, ha evidenziato unapercentuale di irregolarità del 7,41%, nettamente superiore alle altre tipologie di alimenti. Va decisamente meglio per quanto riguarda laverdura:il 68,55% dei campioni analizzati non contiene residui, e il tasso di irregolarità alimentare è molto basso, pari al 1,47%. Tra i vegetali,peperoni(53,85%),insalateepomodori(entrambi al 53,14%) sono statii più colpiti dalla presenza di residui, seguiti dagliortaggi a foglia(38,12%). Abbastanza preoccupante la situazione deglialimenti trasformati. Sebbene sia stata osservata unabassa percentuale di irregolarità(inferiore all’1%), la presenza di residui si è attestata al36,22%, con la più alta incidenza riscontrata neicereali integrali trasformati, comefarineepasta integrale(71,21%), seguiti dalvino(50,85%). A chiudere il quadro, glialimenti di origine animale, categoria dovela quasi totalità dei 921 campioni analizzati (88,17%) è risultata priva di residui. Doverosoreminderai consumatori di carne, uova, latte e derivati: bisogna ricordare che qui si parla di pesticidi.I numeri sarebbero molto diversi se riferiti agli antibiotici. ProprioLegambientein questo dossier ci ricorda che in Italia l’antibiotico-resistenza è responsabile di circa 11.000 morti all’anno e che il nostro Paese è tuttora uno deimaggiori utilizzatori di antibiotici per uso veterinario. Nonostante la percentuale dei campioni provenienti da agricoltura convenzionale in cui sono state rintracciate tracce di pesticidi nei limiti di legge sia in leggera diminuzione (39,21% rispetto al 44,1% del 2021) e sebbene anche quella dei campioni irregolari sia in calo (1,62%), desta molta preoccupazione il numero di campioni in cui è stata registrata la presenza didiversi residui(23,54%). Ma come mai l’alta incidenza delmultiresiduonegli alimenti costituisce un campanello d’allarme? Semplice,maggiore è la concentrazione di residui provenienti da diversi agrofarmaci(gli addetti ai lavori hanno adottato la formula “cocktail di fitofarmaci”)maggiori sono i rischi per lasalute, dovuti al verificarsi di possibili effetti additivi e sinergici sull’organismo umano. Alcuni dati molto esemplificativi provenienti dai campioni analizzati vedono ancora una volta lafruttacome protagonista. In 3 campioni di uva passa sono stati rintracciati 17 residui, in un campione di pesca 14 residui, in un campione di fragola 12 residui. La situazione è addirittura peggiore se si osservano i dati che l’Efsaha elaborato suiprodotti importati, da cui è emerso che in un peperone proveniente dalla Cambogia sono state individuate tracce di ben 28 residui. Le proposte diLegambiente Per prima cosa, Legambiente ribadisce lanecessità di ridurre le emissioniper affrontare l’impatto ambientale spropositato che il modello di produzione alimentare sta avendo sugli ecosistemi. Come testimoniano i datiIspra,le pratiche agricole in Italia hanno contribuito alle emissioni di gas serra per l’8,6% dal 1990 al 2020. Per fare ciò, occorre scoraggiare la produzione intensiva,valorizzando e promuovendo le piccole aziendeche già adottano comportamenti più virtuosi. Dal punto di vista normativo, è forte lapreoccupazione per la mancata approvazione delSur(Sustainable use of plant protection products), il dispositivo proposto dalla Commissione europea al fine di limitare l’utilizzo di prodotti fitosanitari. Secondo ilSur, in Italia gli obiettivi di riduzione dei pesticidi entro il 2030 dovrebbero essere del62%. Se approvato, questo regolamento porterebbe anche aldivieto di impiego di agrofarmaci nelle aree naturali protette, neisiti riconosciuti da Natura 2000e nellearee abitate da impollinatori a rischio estinzione. A livello nazionale, secondoLegambienteè di assoluta urgenza l’adozione delPan(Piano d’azione nazionale per l’uso sostenibile dei prodotti fitosanitari), la cui realizzazione è disciplinata dallo stessoSur,e chenon è più stato aggiornato dal 2014. Per contrastare il problema del multiresiduo, uno strumento legislativo nazionale di regolamentazione appare come l’unica soluzione per l’implementazione di misure efficaci. Necessario anche fare passi avanti in merito all’approvazione dei decreti attuativi relativi allalegge sull’agricoltura biologica. L’Italia è pioniera in Europa in questo campo, e alla luce dei dati emersi dai campioni analizzati, è chiaro come investire sul biologico sia fondamentale per ottenere riduzioni drastiche nell’utilizzo di pesticidi. A questo proposito, secondo il rapportoStudy on the environmental impacts of achieving 25% organic land by 2030citato nel dossier,la conversione al biologico determinerebbe la riduzione del 90-95% dell’uso dei pesticidi. Agroecologia: la strada maestra per la transizione ecologica Qual è quindi, la soluzione più efficace per abbattere la dipendenza dai pesticidi nel settore agroalimentare senza compromettere i bisogni nutrizionali di una popolazione in continua crescita, in un mondo sempre più vulnerabile ai cambiamenti climatici? Se è vero che la ricetta perfetta non esiste, la risposta diLegambienteè l’agroecologia: un approccio integrato all’agricoltura che combini pratiche più sostenibili vicine all’agricoltura biologica ad altre più tradizionali puntando su ricerca, sperimentazione e innovazione. Da un lato, per migliorare la resilienza delle colture senza compromettere la produzione è possibile attingere dall’agricoltura biologicaquanto allarotazione delle colturee all’uso di concimi organici. Dall’altro, l’impiego di tecnologie moderne, come l’agricoltura di precisione e l’uso di sensori, possono aiutare gli agricoltori aottimizzare l’impiego di acqua, fertilizzanti e molecole chimiche di sintesi, migliorando così l’efficienza dei raccolti riducendo al contempo gli input negativi e l’impronta ecologica. Essendo capace di mitigare gli impatti dei cambiamenti climatici, di migliorare la fertilità del suolo e di rendere le produzioni più resilienti agli stress climatici e alle infezioni, l’agroecologia rappresenta l’unica soluzione in grado di tenere assieme i tre pilastri della sostenibilità:ambientale, sociale ed economica. È questa la strada maestra per liberare il settore agroalimentare dalla dipendenza chimica e per riconciliare l’attività agricola con i processi naturali, assicurando la produzione di alimenti di qualità che siano salubri ed equi.