Mariaè una donna di 29 anni chevive a New York, odia il suo lavoro e ha un rapporto in crisi. Una vita come tante? Sì, ma anche no. PerchéMaria è una ragazza trans. E se il mondo sembra non volerglielo ricordare costantemente, è Maria stessa che non riesce a non pensarci. “Cristo, pensa, posso avere venti minuti in cui non penso al fatto che sono trans, per favore?”. A dieci anni dalla sua pubblicazione, è arrivato anche in ItaliaNevada(Feltrinelli, 256 p., 18€) il romanzo della scrittrice transgender americanaImogen Binnie, che è da poco stato ripubblicato in una nuova edizione anche negli Usa. Un libro che catturanon solo l’essenza di Maria e della sua vita a quattro anni dall’inizio della transizione, ma ancheun periodo preciso, quello dei primi anni 2000in cui il web ha consentito un’espansione dell’accesso e un’accelerazione dello sviluppo di una cultura trans autonoma. Dove era possibileincontrarsi, aprirsi, confrontarsi, vedere, essere vistǝ. Quel momento in cui “internet era questo luogo grande ed esaltante dove potevi vuotare il sacco in forma anonima su genere, disagio ed eteronormatività, sulla stranezza del privilegio maschile e un sacco di altre cose, salvo che allora Maria non possedeva ancora un linguaggio per tutto questo e così diceva solo, tipo: fa schifo tutto e mi sento di merda”. Ed è proprio online,sul blog in cui parla al pubblico della sua vitae di argomenti legati all’esperienza di esseretrans, che sembra essere in grado di “doing trans” nel modo giusto, mentrelontano dal pc pare tutto più complicatoe molto meno roseo. Ed èquella vita offline che Maria prova a lasciarsi indietro, partendo per il Nevada. Nevadaè un libro on the road in cui la strada non la vediamo (quasi) mai. Vediamo prima le vie dellaGrande Melain cui Maria sfreccia in sella alla sua bici alla ricerca di quella libertà che sembra mancarle. Vediamo, dopo, le strade polverose che portano dall’immaginaria Star City verso Rino in compagnia diJames, un ragazzo che lei ha percepito essere trans ma che ancora non ne è consapevole. Quello che non vediamo sono i4.000 km che separano queste due fasi, queste due vite. In una postfazione per la nuova edizione americana,Binnie ha spiegato di essere stanca del modo in cui la transizione, quella “misteriosa fase intermedia”,è stata presentata, come «la cosa più salacemente interessante per le persone che non devono attraversarla». Quindi, invece di raccontare la solita narrativa trans di scoperta, cambiamento e arrivo, ha deciso di narrare quello di cui non si parla mai, e che invece molte persone vorrebbero leggere. L’unica storia che ci viene raccontata sulle persone trans – se escludiamo le narrazioni apocalittiche ditransfobici, Terf e similia – è quella fissata sul cambiamento. Sul passaggio da un punto all’altro.Nevadarifiuta questa narrazione e forse proprio per questo il suo libro è unroad tripche, però,non vuole portarci da nessuna parte. Non è nemmeno, quello di Binnie, un edificante memoire eroico, in cui – come accade in moltissime opere trans – la protagonista “ha sempre saputo di essere una donna intrappolata nel corpo di un uomo, ma dopo una serie di prove e grazie a un medico amichevole, ora è una donna! Fine della storia”. Soprattutto, però,Nevadanon è un libro che vuole piacere (né compiacere) ai lettori e alle lettrici cisgender. Non cerca il loro favore, non è apologetico né consolatorio. È un libro scritto da un’autrice trans direttamente ad altre donne trans, sia a quelle che hanno fatto coming out sia a chi ancora non lo ha fatto. Ed è questa la sua forza.
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