Il pesticida che non va bene per noi si compra per l’Africa

Il pesticida che non va bene per noi si compra per l’Africa

 

Nel lodevole intento disostenere la crescita delle economie in via di sviluppo, sono molte le iniziative assunte dalle agenzie di cooperazione europee a favore di vari Paesi, fra i quali quelli africani. Si tratta spesso di progetti riguardanti l’agricolturaa supporto delle comunità locali. Non tutte però fruttuose e alcune anche nefaste. Il vizio all’origine spesso, come per laGreen Revolution, voluta da due delle più potenti fondazioni americane e ben lungi dal raggiungere i risultati promessi, è divoler applicare l’approccio occidentale a realtà molto diverse. In altri casi, come quello di cui voglio parlare, è l’applicazione del doppio standard: ovvero dell’uso di soluzioni diverse a situazioni identiche o molto simili, dove sembra sotteso un differente rispetto degli esseri umani e dell’ambiente, a seconda di dove essi si trovino. È ciò che avviene per alcunipesticidi vietati in Europama il cuiacquistopare essere statofinanziato da agenzie di sviluppo francesi e tedesche per l’utilizzo inAfricae altri Paesi che non li vietano. Indagini svolte da gruppi di giornalisti indipendenti diiWatch AfricaeLighthoue Reportsriportano l’uso delpesticida Paraquat, bandito dall’Unione europea dal 2007,per le coltivazioni in Ghana dell’albero della gommae denunciano casi simili anche inUzbekistaneParaguay, sempre finanziati da parte delle agenzie di sviluppo di stati europei. A prescindere dalla particolare pericolosità di un singolo pesticida che ne conduce al bando, è importante ricordare chei pesticidi dovrebbero essere sempre usati con cura e solo dopo corsi d’istruzione. LaPesticide Action Network Internationalstima infatti cheogni anno ben 11.000 agricoltori nel mondo muoiano a causa loroed è per questo che dovrebbero essere sempre maneggiati da persone che abbiano ricevuto una specifica preparazione e siano dotate di strumenti di protezione. Senza considerare poi che i prodotti della terra dovrebbero essere accuratamente trattati per rimuovere la presenza dei pesticidi prima della loro ingestione (triste fenomeno questo che riguarda ormai le tavole di tutti coloro che non possono permettersi il cibo biologico). Ebbenedalle testimonianze raccolte non appare che questo tipo di formazione sia stata resaagli agricoltori che “beneficiano” di questi programmi d’intervento. E proprio il caso di ricordare il vecchio adagio, adattandolo alla situazione di cui ti parlo, “quel che (non) ammazza, ingrassa”, dove esiste unascissione tra chi subisce gli effetti nocivi e chi lucra su di essi. Un’altra di quelle circostanze in cui i buoni propositi, almeno quelli dichiarati, appaiono frustrati nei fatti: sebbene il doppio standard sia la negazione della filosofia morale e della giustizia terrena, al mondo c’è sempre qualcuno più uguale degli altri.