Se ti chiedessimo di pensare a unǝ scienziatǝ che lavora inAntartide, molto probabilmente nella tua testa si formerebbe l’immagine di unuomo occhialutocon la barba congelata infagottato in un giubbotto pesante col cappuccio di pelliccia. E fino a pochissimo tempo fa avresti avuto ragione. Oggi, però, racconta John Bartlett sulGuardian“le immagini di uomini barbuti che si dirigono audacemente nelle tempeste di neve potrebbero lentamente sbiadire nel candore”. Ledonne, infatti, sonosempre più presentinel continente di ghiaccio: non solo guidano spedizioni e stazioni di ricerca, ma costituisconogran parte delle squadre di supportoe partecipano aldibattito politico. A introdurre un graduale ma inesorabile cambiamento sono state, spiega Bartlett, lerivelazioni di molestie e aggressioni sessualiin un ambiente che è stato per quasi 2 secoli undominio completamente maschile,oltre la spinta a riconoscere i contributi delle donne e gli sforzi per abbattere le barriere di genere. «La storia umana dell’Antartide è davvero piuttosto recente, mala storia delle donne che sono state in grado di viaggiare lìè ancora più recente di quella, ma ciò non significa che le donne non volessero viaggiare nell’estremo sud del globo» ha spiegato alGuardianla dottoressa Hanne Nielsen, docente di diritto e governance dell’Antartide presso laUniversity of Tasmania. Se lascoperta dell’Antartide risale al 1820,infatti, le prime donne a vedere il sesto continente sono state lemogli dei balenieri alle metà del secolo successivo.E l’ingresso nelle donne non è avvenuto senza incontrare resistenze. “Ci sono alcune cose che le donne non fanno…Non diventano papa o presidente,oscendono in Antartide”: questo si sono sentite rispondere le americaneEdith RonneeJennie Darlingtondal marito di quest’ultima quandoproposero di restare nel continentedurante l’inverno del 1948. Come poi fecero. Nel 1957, la geologa sovieticaMaria Klenova fu la prima a condurre ricerche scientifiche inAntartide,ma il suo lavoro non si tradusse in un numero maggiore di scienziate. Anzi. 12 anni dopo, un team scientifico di sole donne spinse un giornalista delNew York Timesa definire il loro lavoro“un’incursione” nel “più grande santuario maschile rimasto su questo Pianeta”. E gli stereotipi di genere non sembrano voler abbandonare la regione nemmeno oggi, come spiega la biologa cilena Leyla Cárdenas, 47 anni: “Chi cucinerà? Le donne, ovviamente. Chi porterà il kit pesante? Gli uomini. È sempre stato così, definito dai ruoli di genere”. In Antartide, però,le donne non devono combattere solo contro stereotipi e pregiudizi,ma anche per la propriasicurezza. Lo scorso ottobre, laUS National Science Foundation (Nsf)si è detta “sconvolta dalledenunce di molestie sessuali, aggressioni e stalking”. Ma anche ilrapportorelativo a diversità, uguaglianza e inclusione all’interno dell’Australian Antarctic Programha descritto una “cultura di molestie sessuali diffuse e di basso livello che permea le stazioni”. Prima di soggiornare nelle basi cilene, ogni membro deve seguire un training obbligatorio su protocolli e molestie. Eppure, solo quest’anno 2 membri sono stati rimandati a casa e lacultura maschilistaè stata rappresentata in maniera visivamente plastica dalle decine e decine di immagini pornografiche con cui era stato tappezzato il soffitto della stazione australiana di Mawson. I dati sono ancora più inquietanti: secondo ilrapportodellaNsf,il 95% delle donne intervistate conosceva qualcuno che aveva subito aggressioni o molestie all’interno del programma Antartico. Secondo una persona intervistata, “qui [l’aggressione sessuale e le molestie sessuali] sono solo fatti della vita, proprio come il fatto che l’Antartide è fredda e il vento soffia”. Per questo, in aprile laNsfha lanciato laNsf Antarctic Helpline,unalinea di assistenzain caso di crisi 24 ore su 24, 7 giorni su 7, esclusivamenteper i membri della comunità del Programma Antartico degli Stati Unitiche hanno subito violenze sessuali e/omolestie sessuali. La sfida, però, non è solo quella di permettere al maggior numero di scienziate possibili di andare in Antartide e, soprattutto, garantire le condizioni perché possano restarci. «È importante non solo aumentare il numero di donne che lavorano in Antartide, ma anche ilnumero di diverse provenienze geografiche,linguistiche o disciplinari – ha spiegato Nielsen – Più prospettive hai, più ricca può essere la conversazione e più è probabile che saremo in grado dirispondere alle enormi sfide che devono affrontare le regioni polari».
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