Per essere sani dobbiamo lavorare più a lungo?

Tra le tantissime questioni legate al mondo dellavoro, quella dellepensioniè un nodo cruciale, come mostranole proteste che stanno infiammandoda mesi la Francia che vorrebbe innalzare l’età dellaretraiteda 62 a 64 anni. Se per molti quello dell’addio al lavoro è il momento giusto per godersi il meritato riposo (magari dove la vita costa meno), alcuni articoli e studi sembrerebbero suggerire che ilsegreto per mantenersi in buona salutesarebbe…lavorare di più. Secondo laricercadel 2015 delCdc Preventing Chronic Diseasestatunitense, a esempio, gliover 65 che lavoranoavrebbero3 volte più probabilità di stare meglio fisicamenterispetto a chi è inattivo e il50% di probabilità in meno di contrarre cancro o malattie cardiache. Ma è davvero così? Secondo la ricercaLavorare in età avanzata fa bene alla salute?Una revisione sistematica degli esiti di salute derivanti da una vita lavorativa prolungata, pubblicata suBmc Public Healtnel 2021, che ha analizzato 17 studi, “l’estensione della vita lavorativa(in particolare a tempo parziale) può avere benefici o un effetto neutro per alcuni, maeffetti negativi per altri in lavori ad alta domanda o a bassa remunerazione. Esiste il potenziale per aumentare le disuguaglianze sanitarie tra coloro che possono scegliere di ridurre il proprio orario di lavoro e coloro che hanno bisogno di continuare a lavorare a tempo pieno per motivi finanziari. Mancano prove degli effetti sulla qualità della vita e scarsità di interventi che consentano ai lavoratori anziani di prolungare la loro sana vita lavorativa”. Nel 2022,il 32% delle persone nel mondo tra i 65 e 69 anni aveva un lavoro, rispetto a meno di un quarto nel 2000. 2 decenni fa, quasi il 10% dei 55enni era in pensione; oggi, la cifra comparabile è di circa il 5%.La tendenza verso una vita lavorativa più lunga è diffusa.InItaliasono quasi 450.000 ipensionatichecontinuano a lavorare,di cui383.600 over 65,ma anche all’estero i lavoratori “anziani” sono moltissimi: in Giappone e Corea del Sud lavora il 25,1% e il 34,9% degli over 65, negli Stati Uniti il 18,9% e in Svezia il 19,2%. Non è un caso: tutti questi Paesi prevedono politiche attive per incentivare il pensionamento posticipato. Ma anche lamedia Ue dei lavoratori che hanno tra 65 e 69 anni è del 13,2%. La durata della vita media si sta allungando parallelamente (nel nostro Paese è di 84,2 anni), segno di una correlazione tra le 2? Non esattamente. Se è vero che secondo gli studi analizzati, infatti,lavorarepiù a lungo avrebbe effetti benefici o neutrisulla salute fisica dei dipendenti ed effetti misti sulla salute mentale, tuttavia “è piùprobabile che i benefici riportati riguardino i maschi,coloro che lavoranopart-timeo si riducono a part-time e i dipendenti con lavori chenon sono di bassa qualità o bassa remunerazione”. Eppure, chi continua a lavorare spesso lo fa proprio perchénon può permettersi economicamente di lasciare:circa un terzo di coloro che lavorano oltre l’età pensionabile, infatti, dichiara di essere rimasto a causa di necessità finanziarie. Per questo, spiega la review, è possibile che “le politiche che prolungano la vita lavorativa, hanno un impatto negativo sulle disuguaglianze sanitarie in età avanzata e agiscono in modo differenziato nei sottogruppi della popolazione”. Non solo: secondo lo studio delCdcanchesesso, istruzione, razza/etnia, età, stato di obesità, storia di alcol e fumo e stato civile erano associati a diversi esitisulla salute: “risultati più scarsi in tutte le misure sono stati associati con un’istruzione inferiore a quella delle scuole superiori (rispetto a un’istruzione superiore o superiore), con l’essere sottopeso o obesi (rispetto al peso normale), con l’essere neri non ispanici (rispetto ai non ispanici bianco), ed essere divorziati o separati (rispetto all’essere sposati)”. Sebbene diversi studi confermino che c’è un’effettiva correlazione tra lavoro prolungato e salute fisica, quindi, questa correlazione non è universale: ilpensionamento potrebbe avere un impatto diverso sulla salute, a seconda di diversi fattorisociodemografici, socioeconomici e psicologici, hanno spiegato anche gli autori diL’impatto della transizione al pensionamento sulla salute e sulle abitudini di vita: analisi da una coorte nazionale italiana. Dopo ilpensionamento, infatti, lasalute e lo stile di vita possono cambiare a causa della perdita della routine quotidiana,dell’attività fisica e mentale, delleinterazioni socialie dellariduzione del reddito.Sono stati infatti indagati in diverse occasioni i modi in cui il passaggio dalla vita lavorativa alla pensionemodifichi determinate abitudini di vita, tra cui l’utilizzo dei social network, il fumo, il consumo di alcol, l’alimentazione e l’attività fisica. Allo stesso tempo, però, continua lo studio, “uscire da lavori impegnativi o stressanti eavere più tempo libero può essere benefico per il benesserepsicologico”. Insomma: lavorare più a lungo per vivere meglio? Non è detto. Levariabili che entrano in gioco sono moltissime,una correlazione non indica necessariamente un rapporto di causa-effetto e non solo perché salute e pensionamento sono collegati in modo bidirezionale: la pensione o il lavoro influenzano lo stato di salute ma “il pensionamento (cioè l’età pensionabile e il tipo di pensionamento) è influenzato dalla salute”. Del resto, è lo stessoCdca dirlo: “questo studio ha utilizzato dati trasversali aggregati e pertanto non è possibile effettuare inferenze causali. Le informazioni sulla storia lavorativa passata non erano disponibili e, sebbene questo studio mirasse a esaminare gli effetti dell’occupazione in età avanzata, tali effetti possono variare a seconda che la persona sia rientrata nel mondo del lavoro dopo il pensionamento e se la persona abbia cambiato lavoro o sia rimasta occupata incarriera”.