È possibile migliorare l’assistenza alla maternità?

Nella maggior parte dei casi, l’approccio clinico adottato neireparti dimaternitàdegli ospedali lascia poco spazio all’ascolto delle emozioni, esigenze e preferenze soggettive di ogni donna:le madri non sono incoraggiate a condividere pubblicamente le loro opinioniriguardo ciò che vivono durante e dopo il parto. Anche nella sfera privata, sono poche le donne che si confrontano con altri e altre al di fuori della cerchia più stretta, perchéil racconto del parto è ancora percepito come personale e intimo. Tutto ciò ha contribuito a tenere sommerso per anni il fenomeno diffuso dellaviolenza ostetrica, ovvero tutti i trattamenti irrispettosi o addirittura abusanti che tolgono dignità alla partoriente durante il travaglio, il parto e il post partum, privandola di un’esperienza serena e personale. Mancanza di supporto fisico ed emotivo, umiliazioni verbali, procedure compiute senza consenso e pressioni riguardo all’allattamento: il numero dei casi è alto in tutto il mondo. La ricercaEvery Mother Counts,pubblicata dalla rivistaAmerican Journal of Obstetrics and Gynecology,non solo ha analizzato i problemi relativi all’assistenza alla maternità, ma ha anche propostosoluzioni inedite,partendo dall’idea (semplice ma non banale) che per trasformare il sistema bisognapartire proprio dall’ascolto di ogni madre.L’assunto è questo:ascoltiamo ciò che hanno da direle persone più coinvolte dall’esperienza del parto per rimettere al centro il rispetto e la dignità delle donne e consentire una condivisione consapevole delle scelte con ginecologi, ostetrici e altro personale sanitario. La pubblicazione prende in prestito il nome dall’organizzazione non profitEvery Mother Counts(Emc), di cui ripercorre la storia e i risultati. Con l’obiettivo direndere sicura e rispettosa la gravidanza e il partodi ogni madre e in ogni luogo,Emcsi è battuta per riportare il discorso proprio dalla loro parte. Il suo lavoro diraccolta di storie personaliha reso evidente come l’ascolto delle donne appartenenti a settori diversi (media, ricerca, attivismo, istruzione e sanità) può diventare un potente strumento per avere consapevolezza delle carenze e problematiche nell’ambito dell’assistenza materna e per elaborare soluzioni adeguate a fornire il supporto di cui ogni madre ha bisogno. Tutto è partito dalla storia raccontata nel documentario del 2010No Woman, No Cry, diretto da Christy Turlington: la supermodella si interessò al problema dell’alto tasso di mortalità materna negli Stati Uniti e nel mondo, dopo aver subito lei stessa gravi complicazioni post partum con un’emorragia fortunatamente risolta grazie all’esperienza del team dell’ospedale di New York in cui era stata ricoverata. All’epoca del film, chedà voce al vissuto di Turlington e di altre madri,quasi mezzo milione di donne moriva di parto ogni anno. Oggi, il numero di morti materne è ancora troppo alto, nonostante gli sforzi fatti per ridurlo: secondol’Organizzazione mondiale della sanità(Oms)sonomorte circa 295.000 donne nel 2020 per motivi legati alla gravidanza o al parto. Tornando al lavoro svolto daEmc, l’organizzazione si è mobilitata per farcomprendere a livello internazionaleche ildiritto alla salute maternainclude necessariamente anche ildiritto a un’assistenzadi qualità, rispettosa, senza discriminazioni né abusi, come aveva riconosciutol’Omsnel 2014, con l’appoggio di più di 90 enti nel mondo. Il rispetto nel momento del parto è un aspetto irrinunciabile. Nella campagnaWhat Women Wantpromossa dallaWhite Ribbon Alliance, che invitò 1,2 milioni di donne e ragazze in 114 Paesi a rispondere alla domanda“Qual è la prima cosa che vuoi per la tua assistenza materna e riproduttiva?”,la risposta più diffusa fu:“Essere trattata con rispetto e dignità”. Il tema dell’ascolto delle madrinegli Stati Uniti ha già cominciato a essere affrontato nel contesto della cura ostetrica, con il motto “Ascolto. Ogni madre. Ogni volta”dell’American College of Obstetricians and Gynecologists,e con la campagna per la salute materna intitolataHear her, “Ascoltala”, promossa nel 2022 daiCenters for Disease Control and Prevention,organismo di controllo della sanità pubblica americana. Anche l’amministrazione Biden nello stesso anno ha elaborato un piano (Blueprint) per migliorare la salute materna, includendo come priorità l’ascolto e il potere decisionale delle donne che devono partorire. Dall’enorme coro di voci femminili che hanno contribuito alla ricercaEmcè emerso cheogni persona che lavora nel settore dell’assistenza alla maternità può fare passi concretiper rendere tutte le fasi della gravidanza più eque e rispettose. Ma cosa è possibile fare esattamente pertrasformare il sistema? Lesoluzioniindividuate dalla ricerca sono: 1. implementare nell’ambito della pratica clinica standard unmodello basato sulla persona e sulle esperienzeriportate dalla paziente, che abbia al centro il diritto di auto-determinazione della donna; 2.elaborare piani di nascita personalizzatie utilizzare strumenti di condivisione delle scelte; 3. sviluppare una procedura interna per ireclamiche consenta diindividuare e gestire i casi di abuso,discriminazione o trattamento irrispettoso e di adattare le policy e le prassi mediche per migliorare la qualità del servizio. Riguardo al primo punto, secondoEvery Mother Countsun modello esistente da valorizzare è quello delservizio gestito daostetriche(midwifery care)che enfatizza l’importanza della relazione con la donna, alla quale vengono assicurati autonomia, rispetto e la possibilità di assumere decisioni informate. Tra le persone che hanno avuto la possibilità di approcciarsi a questo modello, sono stati riportatimeno interventi di medicalizzazione(come episiotomia e ricorso all’epidurale), un minor numero di lacerazioni gravi e una maggiore probabilità di successo nell’allattamento. Nonostante questi benefici,oggi solo il 12% delle nascite negli Stati Uniti è gestito da ostetriche. In Italia, ci sono 3 unità intra-ospedaliere in cui le gravidanze a basso rischio sono gestite in autonomia da ostetriche: a Firenze, Genova e Torino. Anche qui, i numeri delle nascite sono piuttostobassi. Applicare queste soluzioni dovrebbe essere l’obiettivo di ogni struttura sanitaria. Perché nessuna donna debba più dire «Una volta che ho messo piede in ospedale, mi sono sentita come se non avessi più alcun diritto. Sono successe troppe cose che andavano oltre il mio controllo. Mi sono sentita impotente e come se le mie opinioni non contassero nulla».