Razzismo: ecco il primo chatbot che supporta le donne aborigene

“Siete state vittime di razzismo? Il sostegno è qui”, dice la Big SisMaya, la “sorella maggiore digitale” ideata daPriyanka Ashraf,direttrice e fondatrice diThe Creative Co-Operative,la prima impresa sociale australiana al 100% di proprietà, direzione e gestione di donne migranti Bipoc e con sede a Naarm (il nome indigeno dell’area conosciuta come Melbourne).Maya Caresè una piattaforma che punta a dare un supporto emotivo e non solo alle donne aborigene e delle isole dello Stretto di Torres, nere e appartenenti ad altre minoranze etniche,perrispondere al razzismo. Chi si rivolge a quello che èil primochatbotcon lo scopo di gestire e combattere episodi di discriminazione razzialedi cui sono vittime le donne “of colour”,può farlo “in qualsiasi momento, ovunque e in qualsiasi modo tu voglia”. Alla progettazione e allo sviluppo diMayahanno contribuito più di 250 donne esposte a questo genere di intolleranze: il software che simula ed elabora conversazioni con un essere umano pone alle utenti che interagiscono alcune domande relative all’episodio vissuto, offrendo opzioni su come segnalarlo e denunciarlo, richiedere una consulenza riguardo l’accaduto agli esperti e cercare risorse per saperne di più.Maya“vi ascolterà e vi darà spazio per individuare i passi successivi adatti al vostro percorso di guarigione”, spiega il teamsulla pagina Instagramdedicata. Accedendo alla piattaforma,Mayasi presenta e spiega chela chiacchierata“si concentrerà sul razzismo”. Chiede di continuare “con calma” o di tornare “quando sei pronta”. E noi procediamo: “Cosa descrive meglio la tua situazione?”. Qui ci sono una serie di possibilità tra cui “Non sono sicura di aver subito o assistito a un episodio di razzismo”, oppure “Voglio segnalare un episodio”, o ancora “Chi è Maya?”. Scegliamo la prima eil chatbotrisponde che “l’incertezza è comune.Circa l’80% delle persone del nostro sondaggio(che ha coinvolto 150 donne Bipoc,ndr) nonera sicuro che un episodio corrispondesse a una forma di razzismo”. Poi compaiono i consigli della dottoressa Kathomi Gatwiri diHealing Together, servizio che offre supporto personale o professionale: spiegano che spesso capita diconfondere le discriminazioni con episodi scherzosi,o viene detto di essere troppo sensibili. “Vedere storiedi esperienze di altre persone può aiutarti a sentirti più convalidato.Imparare a conoscere diversi tipi di razzismopuò anche aiutarti a darti le parole per parlare della tua esperienza”. Ce ne sono 3: quello“diretto/esplicito”, che si traduce in insulti, aggressioni fisiche, minacce o trattamenti ingiusti;“indiretto/sottile/microaggressivo”che comprende commenti e azioni che derivano da stereotipi e a volte possono risultare innocui (“Da dove vieni veramente?” è l’esempio calzante che offreMaya);e infine il razzismo“strutturale/sistemico”, che include azioni discriminatorie da parte delle istituzioni, che vanno a bloccare l’accesso di determinate persone a beni, servizi, alloggi, lavoro in base alla loro etnia.Maya Carespropone alcuni esempi fornendo gli strumenti per acquisire consapevolezza riguardo quanto accade attorno a noi. «Se non dai un nome a ciò che è, come puoi fare qualcosa?»,si è chiestal’avvocataPriyanka Ashrafin un’intervista all’emittente australianaAbc News.L’ispirazione per creareMaya Caresle è venuta dopouna discriminazione provata sulla propria pelle in piena pandemia: si trovava in un supermercato quando qualcuno le ha detto di «riportare il suo virus del Covid da dove era venuto». Nonostante la sua preparazione in ambito legale, si è resa conto di non sapere quali fossero le sue opzioni se avesse voluto agire in qualche modo: «Se non sapevo come denunciarlo, evidentemente le persone che hanno meno accesso a queste informazioni [incontrano] ancora più ostacoli». Comespiegala piattaformaWomen’s Agenda, secondoil rapportodelVictorian Department of Health and Human Servicesgli adulti dello stato dellaVictoriache sperimentano frequentemente il razzismo hanno quasi5 volte più probabilità di avere una cattiva salute mentalerispetto a quelli che non lo sperimentano, oltre a una probabilità 2,5 volte maggiore di avere una cattiva salute fisica. La pandemia non ha fatto altro che esacerbare questo fenomeno, spostando l’attenzione sulle donne che, secondo ilreport preliminareriguardo il razzismo contro gli asiatici in Australia (analisi realizzata daAsian Australian Alliancee Osmond Chiu, Research Fellow alPer Capita Thinktank),sono coloro che sopportano “la maggior parte del peso dell’aumento degli abusi razziali durante la pandemia di Covid-19”. ConMaya,le utenti hanno la possibilità di raccontare anonimamente un episodio equanto condiviso“si aggiungerà ai dati e alle prove degli episodi di razzismo cheuseremo (anonimamente) per sostenere l’antirazzismo con i responsabili politici”, spiega la piattaforma. Le sue domande dettagliate puntano a capire i dettagli rilevanti dell’episodio, a partire dal luogo in cui è accaduto (“sul posto di lavoro, per strada, in un negozio, a scuola, sui social media”), fino a chi l’ha compiuto (“una persona che conosci o uno sconosciuto?”). Mayaè disponibile 24 ore su 24, 7 giorni su 7,efornisce uno spazio “riservato e non giudicante”. Le donne che appartengono alle minoranze etniche “subiscono il razzismo a livelli sproporzionati e l’accesso ai servizi di salute mentale culturalmente appropriati è spesso bloccato da barriere sistemiche”, spiegaThe Creative Cooperative.Questa piattaforma, scrivono le creatrici, “è il nostro umile primo tentativo di creare qualcosa da noi, per noi, perrendere più accessibile la risposta e la guarigione dal razzismo”.