Tasso occupazione femminile: Italia ultima nell’Unione europea

Tasso occupazione femminile: Italia ultima nell’Unione europea

 

UndossierdelServizio Studi della Camera, pubblicato nelle scorse settimane, ha evidenziato leforti disuguaglianze di genere in Italia. Il nostro Paese è infatti il fanalino di coda in Europa per iltasso di occupazione femminile, con unforte divario nella partecipazione maschile e femminile al mercato del lavoro, cui si aggiunge ungap retributivoe deltipo di lavoro svolto. In Italia il tasso di occupazione femminile “risulta essere – secondo dati relativi al quarto trimestre del 2022 – quellopiù basso tra gli Stati dell’Unione europea, essendo di circa14 punti percentuali al di sotto della media Ue: il tasso di occupazione delle donne di età compresa tra i 20 e i 64 anni è stato, infatti, pari al 55%, mentre il tasso di occupazione medio Ue è stato pari al 69,3%”, evidenzia lo studio. Sopra la media Ue del 30% è invece iltasso di inattività femminile, che si attesta in Italia al43,6%. La scarsa partecipazione femminile al mondo del lavoro viene confermata anche nellematerieStem(Science, Technology, Engineering and Mathematics): secondo ilrapporto Istat sui livelli di istruzione e i ritorni occupazionali riferito al 2022(pubblicato a ottobre 2023), è la metà di quella che si riscontra tra gli uomini laureati. Inoltre, i giovani adulti (25-34 anni) aventi un titolo terziario e laureati in discipline Stem sono il 23,8%, dato che sale al 34,5% per gli uomini, ma che crolla al16,6% per le donne: meno di una laureata su cinque. “L’occupazione femminile è caratterizzata anche da un accentuato divario retributivo di genere, nonché dal tipo di lavoro svolto dalle donne”, si legge nel documento. Per quanto concerne ladifferenza di retribuzione, secondo gli ultimidatiEurostat, ilgap retributivo medio(ossia la differenza nella retribuzione oraria lorda tra uomini e donne) è pari al5%(al di sotto della media europea che in Italia è del 13%), mentre quello complessivo (ossia la differenza tra il salario annuale medio percepito da donne e uomini) è pari al 43% (al di sopra della media europea, che è invece pari al 36,2%). Per quanto riguarda lecaratteristiche dell’impiego, la bassa partecipazione delle donne al lavoro è determinata da vari fattori, quali l’occupazione ridottae in larga parteprecaria, insettori a bassa remuneratività o poco strategici. C’è poi una grande prevalenza neilavoripart time, che interessa poco meno del 49% delle donne occupate contro il 26,2% degli uomini. Nel 2022 la retribuzione media annua è risultata“costantemente più alta” per gli uomini, evidenzia lo studio, citando idati Inps: 26.227 euro per gli uomini contro i 18.305 euro per le donne, con unadifferenza di 7.922 euro. Difficoltà che si rispecchiano anche neiservizi per l’infanzia. Questi, infatti, registrano criticità serie, che impattano sulla capacità delle madri di conciliare la vita familiare con quella professionale. Sebbene l’offerta dei nidi risulti in ripresa dopo la pandemia (+1.780 posti), “le richieste di iscrizione sono in gran parte insoddisfatte, soprattutto nel Mezzogiorno”. Con una penalizzazione maggiore per le “famiglie più povere, sia per i costi delle rette, sia per la carenza di nidi in diverse aree del Paese”. L’assenza di servizie leforti pressioni sulle neo-mammehanno come conseguenza l’aumento della disoccupazione. Una donna su cinque esce dal mercato del lavoro proprioa seguito della gravidanza. La decisione di lasciare il lavoro è determinata per oltre la metà delle donne (52%) daesigenze di conciliazionee per il 19% daconsiderazioni economiche. L’istruzioneinvece “si conferma fattore protettivo per l’occupazione delle donne con figli piccoli”: con un livello di istruzione più elevato, infatti, la differenza occupazionale tra donne che hanno figli e donne che invece non li hanno è molto bassa. Raggiungere l’uguaglianza di genereaumenterebbe la forza lavoro italiana. Se l’occupazione femminile raggiungesse infatti la media Ue (69,3%) si avrebbero circa2,3 milioni di lavoratrici in più, come dimostra un’analisidell’Ufficio Studi di Confcommerciosulle dinamiche dell’occupazione femminile, dipendente e indipendente. Secondo lo studio, il settore che trascina l’occupazione femminile in Italia è quelloterziario. Il lavoro delle donne, dipendenti o indipendenti che siano, nel quadriennio 2019-2023 ha segnato unacrescita del 13,3%– di cui la crescita più accentuata ha riguardato proprio il terzo settore (+15,8%) – contro il 10,2% del totale composto da uomini e donne. Scendendo nel dettaglio, nella fascia tra i 15 e i 64 anni, l’occupazione delle donne in Italia secondo i dati Eurostat riferiti al 2022 è al 51,1% a fronte del 64,9% in Ue. Nonostante ciò,il gap con gli altri Paesi dell’Unione europea è ancora evidente. «Considerando l’attuale dislivello nel nostro Paese fra occupazione femminile (dipendente e autonoma) e quella maschile -ha commentatoAnna Lapini, Presidente diTerziario Donna Confcommercio- è chiaro che bisogna mettere in campo azioni mirate per promuovere l’imprenditoria femminile, che rappresenta ancora solo il 22% del totale delle imprese, e sostenere le attività economiche del terziario, perché è nei nostri settori dove l’occupazione femminile cresce maggiormente». L’aumento del tasso di occupazione femminile avrebbericadute positive anche sul Pil, con benefici per tutti e tutte. A livello globale, un’analisidelFondo Monetario Internazionalestima che l’incremento della partecipazione femminile alla forza lavoro contribuirebbe a una crescita annuale nei Paesi emergenti e in via di sviluppo dell’8% circa, contro un 5,9% del 2022. Per le economie avanzate, invece, la crescita sarebbe del5% annuo circa, contro unattuale 1,2% medio. Un dato che gioverebbe particolarmente all’economia italiana il cui Pil, stima l’Istat, ha untasso di crescitaper il 2023 e per il 2024 dello0,7%. Questo dato viene confermato anche da un’analisidell’Ocse, che stima che l’uguaglianza di genere nel mercato del lavoro genererebbe un Pil annuo di28 trilioni di dollari nel 2025(+26% rispetto a uno scenario immutato). Inoltre, va osservato che ciò incrementa ladiversificazione economica e lavorativa, che sostiene a sua volta laresilienza del sistema economico rispetto a scenari di crisi. Dunque,più donne lavorano,più aumenta la ricchezzae questo trasforma la parità di genere in unapriorità anche politica. Secondo il Fmi, tra i modi con cui i governi possono stimolare la crescita non dovrebbero mancare, insieme alle riforme finanziarie e della governance, lemisure volte a contrastare ilgender gap. Il Fondo suggerisce, a tal proposito, l’abbattimento delle barriere alla partecipazione al mercato del lavoro e all’istruzione, piùdiritti legali e servizi di assistenza.