Non tutte le parole sono uguali. E non tutte arrivano a noi con facilità. Ci sono parole che per arrivare sul palco di Sanremo devono abbattere muri, pareti, grate e cancelli chiusi a tripla mandata. Parole come queste.Raccolte dentro al carcere minorile di Nisida, parole scritte insieme ai ragazzi che stanno scontando la loro pena lì e altrove. Ma senza cercare la nostra pena perchédella nostra pena non se ne fanno niente. Cosa vorreste dire? Cosa vi piacerebbe chiedere davanti a una platea così importante? «Dottoré, allora scrivi intanto 2 3 biliardini da Sanremo e poi devi dire ad Amadeus che si facesse meno lampade». «Ma no, quello è Carlo Cont»i. E poi? «E digli cherubare non è il mestiere mioo l’ho fatto una volta e guarda dove sono finito». «E a cosa ti servivano quei soldi?» «Per fare il brillante dottore». «E tu invece, quando scendevi per una rissa con il coltello in tasca che cercavi?» «Era come a direguardatemi, voglio esistere anche io». «Non avevi paura mentre facevi una rapina?» «Sono cresciuto, nervoso, arrabbiato, chi fa le cose per rabbia non ha paura». «Non avevi paura di morire?» «E tanto prima o poi». «Vogliamo che la gente sappia chenon siamo animali, non siamo bestie. Non siamo killer per sempre, vogliamo che ci conoscano». «Quand’è l’ultima volta che hai pianto?» «Mai, nemmeno alle elementari, piangevo io». «E da quanto non vedi tuo padre che è in carcere come te?» «L’ho rivisto adesso dopo tre anni» «E che effetto ti ha fatto?» «Eh, mi sono messo a piangere» «E allora lo vedi che piangi?» Hanno picchiato, hanno rapinato, hanno ucciso. Alla domanda “perché lo hai fatto?”, però, non trovano la risposta. Risposta che vorrebbero avere, che cercano, che abbozzano, ma la risposta non esce. Perché è inutile cercarla così lo sanno, bisogna andare al giorno prima, alla settimana prima, al mese prima, alla vita prima. Hanno 15 anni e gli occhi pieni di rabbia, occhi pieni di vuoto. Hanno 18 anni e lo sguardo è perso pure sfidante. Hannoocchi che chiedono aiuto senza sapere quale aiuto, senza sapere a chi chiedere aiuto. La scuola l’hanno abbandonata, manessuno li ha mai cercati, non la preside, ma neppure gli assistenti sociali che o non ci sono o sono troppo pochi per certe periferie. E le madri, padri, quelli che c’erano non c’è l’hanno fatta. Quando ho intervistato adulti finiti in carcere per reati gravissimi, ho chiesto loro,cosa cambieresti della tua vita? Quasi tutti mi hanno dato la stessa risposta:sarei andato a scuola. Perché se nasce in quel quartiere, in quel palazzo o da quella famigliaè solo tra i banchi di scuola che può intravedere la possibilità di una vita alternativaa quella già scritta per te da altri. Lo Stato non può esistere nelle aree più fragili del Paese solo attraverso la fondamentale attività di repressione delle forze di Polizia.Lo Stato dovrebbe combattere la dispersione scolastica e la povertà educativa.Dovrebbe garantire pari opportunità almeno ai più giovani. È una questione di democrazia, di uguaglianza su cui si fonda la nostra Repubblica. Lo Stato dovrebbe essere più attraente, più sexy dell’illegalità. «Avete dei sogni?» «Mi piacerebbe andare a Uomini e Donne perché?» «Altri sogni?» «Io mi pensavo che la felicità si comprava». Ora che sei qui nel carcere minorile è tardi,hai fallito tu e abbiamo fallito tutti. Ma il tuo destino non è irreversibile, se quando esci da qui trovi un lavoro, rispetti la legge e superi pregiudizi. Ma se invece non c’è la fai e torni in carcere con quello vero in quello degli adulti, e allora sì, lì è davvero finita. Perché in Italia, salvo qualche bella eccezione,la prigione serve solo a punire il colpevole, non serve a rieducarené tantomeno a reinserire nella società chi entra. Il giorno passa su un materasso sporco senza far nulla in una cella dove dovreste essere in tre e invece siete in 5 dove si cucina nello stesso lavandino dove poi ci si lava i denti proprio sopra il water. Lo dico perché l’ho visto. Un’autorevole magistrato al quale dobbiamo essere grati per le inchieste importantissime che coordina quest’estate in un’occasione pubblica ha detto “Sono contrario a uno schiaffo in carcere, a uno schiaffo in caserma. Il detenuto non deve essere toccato nemmeno con un dito, sapete perché? Per tanti motivi, ma soprattutto perchénon deve passare per vittima”. Un detenuto non va picchiato per la ragione che dice lei, cioè per non consentirgli di fare la vittima,non va picchiato perché lo Stato non può applicare le leggi della sopraffazione e della violenzache appartengono alle persone che lei giustamente arresta. Se non faremo in modo che chi esce dal carcere sia meglio di come è entrato,sarà un fallimento per tutti.E se non ci arriviamo per civiltà, per umanità, per rispetto dell’articolo 27 della Costituzione,arriviamoci per egoismo. Conviene a tutti che quel rapinatore, che quello spacciatore, una volta fuori cambi mestiere?
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