Gaza: la catastrofe è anche climatica

Il conflitto armato aGazainiziato il 7 ottobre 2023 ha finora causato lamorte di oltre 20.000 palestinesie di circa1.200 israeliani, condannando milioni di abitanti della Striscia allo sfollamento e a livelli di insicurezza alimentare estremi. Non solo: leemissionigenerate durante i primi 2 mesi della guerra sono statesuperiori all’impronta di carbonio annuale di oltre 20 delle Nazioni più inquinanti al mondo. Secondo lo studiocondotto dal professor Benjamin Neimark della Queen Mary Universitydi Londra, e pubblicato nell’archivio onlineSocial Science Research Network, ilcosto climatico dei primi 60 giornidi conflitto equivale allacombustione di almeno 150.000 tonnellate di carbone, pari a281.000 tonnellate di CO2. La ricerca, non ancora sottoposta a revisione paritaria (ovvero, non valutata da esperti accademici), ha analizzato solo alcuni scontri dove la quantità di carbonio implicata è stata alta. Per questo i risultati raccolti rappresentano probabilmente unastima al ribassodell’effettivo inquinamento prodotto dal conflitto finora. La maggior parte delle emissioni sono state provocate daivoli degli aerei israeliani e americani,in secondo luogo dalle bombe e dall’artiglieria israeliane e in parte minore dai razzi lanciati su Gaza da Hamas. Se nel conteggio si includono poi le infrastrutture militari con scopi protettivi costruite sia da Israele che da Hamas, le emissioni totali aumentano, superando quelle generate da 33 Paesi nel mondo in un anno. La ricerca rivela anche ilcosto ambientale a lungo termine della guerra,con una stima del carbonio che verrà emesso durante la futura ricostruzione di Gaza.Le immagini satellitari commissionate dallaBbchanno contato quasi 100.000 edifici della Striscia distrutti o danneggiati dai bombardamenti. Per la lororiparazionedovrebbero essere utilizzati almeno30 milioni di CO2.Si tratta di una quantità pari a tutta l’anidride carbonica emessa dalla Nuova Zelanda in un anno e superiore a quella prodotta annualmente da altri 135 Paesi, tra cui Sri Lanka, Libano e Uruguay. Tra alluvioni e mancanza di acqua potabile, gli effetti del cambiamento climatico stanno già aggravando le condizioni delle persone che vivono sotto le bombe. LaFaoha rilevato cheIsraelee i territoripalestinesioccupati fanno parte di una regione del Medio Oriente da tempo sottoposta astress idrico.La Banca Mondiale ha riferito che le falde acquifere, che rappresentano la principale fonte d’acqua della Striscia, stanno risentendo negativamente dell’innalzamento del livello del mare:meno del 4% dell’acqua del territorio è potabile. In base a questi dati, la regione rischia di dover affrontare il più imponente incremento a livello globale di inondazioni fluviali, perdita dei raccolti e siccità, oltre che un aumento delle temperature superiore al grado e mezzo prefissato dalla Cop21 con gli accordi di Parigi del 2015.