Come un nido di aquile sul tetto del mondo, questo Stato,Bhutan, arroccato sulla catena dell’Himalaya, si trova al confine con due grandi potenze: laCinae l’India. Con una popolazione di circa 800.000 persone, poco più di quella di Palermo, è spesso conosciuto ai più per la bandiera, che porta undragoal centro in campo arancione e giallo. In realtà, oltre alla particolarità della bandiera, ci sono varie ragioni per cui dovresti conoscere questo Paese. Il Bhutan anche, o forse soprattutto, per ragioni di carattere religioso (la religione prevalente è quellabuddista), ha sempre avuto una particolare attenzione per lapreservazione della naturae, dai tempi della monarchia assoluta, anche per il concetto difelicitàquale misura dellaprosperità di uno Stato,in luogo del più cinico prodotto interno lordo che, lo ricordava Bob Kennedy, include anche la monetizzazione delle armi e della pulitura delle strade dal sangue sparso a causa degli incidenti del sabato sera. Fu un suo monarca,Jigme Singye Wangchuck, che nel 1972 teorizzò che laprosperità delle Nazionisi dovesse misurare sul“Gross National Happiness”,indice diverso dalGdp(Gross Domestic Product) ma anche dalloHuman Development Indexche si basa, tra l’altro, sull’aspettativa di vita alla nascita e sui livelli di istruzione. Diritto alla felicitànon riconosciuto a tutti, considerato il trattamento che negli anni ‘90 ebbe la popolazione deiLotshampadi origini nepalesi, giunti nel 19° secolo per coltivare terreni incolti, dapprima benvenuti e poicacciati quando il loro numero superò quello dei nativi. Una triste pagina della storia deidiritti umaniche ci insegna ancora una volta che, sebbene questi siano diritti di natura (sono cioè riconosciuti dal diritto positivo, come ci ha insegnato il presidente Mattarella nel discorso di fine anno, ma a esso preesistenti), gli esseri umani spesso li riconoscono solo a quelli chepiù gli somiglianoe basta undifferente credo o il colore della pelle a rendere irrilevante un principio universale quale quello dell’uguaglianza. A prescindere da questa brutta pagina e tornando alle virtù, il Bhutan è stato inoltre il primo Stato araggiungere la neutralità nelle emissioni di anidride carbonica(ha addirittura un indice con segno negativo), grazie allaprotezione delle foreste e alla produzione di energie rinnovabiliche sono esportate anche in India. Le recenti elezioni, terminate qualche giorno fa con la conferma del partito democratico (al potere anche nella precedente legislatura), sono state l’occasione per comprendere come le cose stanno andando anche in questo Paese, che sembrerebbe essere una sorta di paradiso terreste: dal dibattito è emerso che lo Stato soffre di unaforte crisi economica(così ricordandoci che, purtroppo, la prosperità è parte necessaria per la felicità) e cerca soluzioni per risolverla. Uno dei tentativi è lacreazione di una città a impatto ambientale zerosotto il profilo delle emissioni, attraverso il recupero di un sito ricco di edifici abbandonati. La creazione della città dovrebbe essere accompagnata anche dalla creazione di una zona economica speciale. Il progetto sembrerebbe ideato da una società internazionale di consulting e da un fondo sovrano di Singapore (elementi sulla cui positività o no, mi rimetto alla tua valutazione, del lettore, perché se è vero che l’internazionalità dei progetti può assicurare più efficacemente i risultati, l’esperienza insegna che chi pensa in grande spesso trascura quei particolari considerati insignificanti per tutti tranne per coloro che ne subiscono le conseguenze, ovvero i locali). Sebbene sulle zone economiche speciali io nutra da sempre vari dubbi per i risultati a cui possono condurre in un arco di tempo lungo, visto che normalmente i benefici iniziali sono assorbiti dai costi che essi comportano (minori chance per le zone confinanti, imposte non versate, contribuzioni agevolate che non sono alla lunga sostenibili),non sembra che il Paese abbia molte alternative. Essere sul tetto del mondo, schiacciati da due superpotenze non proprio democratiche, non è una posizione invidiabile e le risorse naturali di cui ilBhutangode non vanno oltre lebellezze naturalistiche, le energie rinnovabili,l’agricolturae un turismo che per molti aspetti non può che essere un turismo di èlite per assenza delle necessarie infrastrutture. C’è solo da sperare, allora, che l’idea dellacreazione o rigenerazione di una città a impatto ambientale zeropossa avviare un nuovo settore di prosperità, per unacrescita che sia davvero sostenibile per il Bhutane un esempio per altri Stati, e non si trasformi in colate di cemento come noi italiani siamo, purtroppo abituati a vedere, spesso spacciate come sostenibili, ora che l’emergenza abitativa non può essere più invocata stante la decrescita demografica.
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