Bambini

Il dramma dei bambini palestinesi nelle carceri israeliane

Come denunciato da Save the Children, Israele è l’unico Paese al mondo che detiene e persegue i minori nei tribunali militari
Credit: Via cvg.org
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21 ottobre 2023 Aggiornato alle 15:00

La vita dei bambini palestinesi è un inferno, e non solo dopo l’escalation bellica delle ultime settimane. A denunciarlo è Save the Children, tramite il report Injustice, dal quale emerge che ogni anno tra i 500 e i 1.000 minori della Cisgiordania sono trattenuti all’interno del sistema di detenzione militare israeliano. L’accusa principale a loro carico è il lancio di pietre, che può comportare una condanna a 20 anni di carcere.

Come si legge nella ricerca, i palestinesi “sono gli unici bambini al mondo a essere sistematicamente processati da tribunali militari, con processi iniqui, arresti violenti, spesso notturni e interrogatori coercitivi. In prigione sono sottoposti ad abusi emotivi e fisici, l’assistenza sanitaria e il sostegno psicosociale sono per loro molto limitati e con l’emergenza del Coronavirus la loro situazione si è ulteriormente aggravata”.

Insieme a un’organizzazione partner, Save the Children ha consultato 228 ex minori detenuti da uno a 18 mesi in tutta la Cisgiordania, scoprendo che la maggior parte di loro è stata picchiata (quattro su cinque pari all’86%), ammanettata e bendata durante l’arresto, e che gli interrogatori che hanno subito sono avvenuti “in luoghi sconosciuti senza la presenza di qualcuno che se ne prendesse cura e spesso privati di cibo, acqua e sonno, o dell’accesso all’assistenza legale”.

Il 69% è stato sottoposto a perquisizione e quasi la metà (42%) ferita al momento dell’arresto. Sono state rilevate ferite da arma da fuoco e fratture ossee e alcuni hanno denunciato violenze di natura sessuale. I bambini arrestati vengono trasferiti in tribunale o in centri di detenzione in piccole gabbie.

Israele ha ratificato la Convenzione dei Diritti del Bambino nel 1991, impegnandosi ad attuare tutti i diritti e le protezioni inclusi nel trattato, compreso il fatto che l’interesse superiore del minore deve essere una considerazione primaria in tutte le decisioni che lo riguardano, e la detenzione deve essere usata solo come una misura di ultima istanza per il periodo più breve possibile (articolo 37). Nonostante ciò il Paese rimane l’unico al mondo a detenere e perseguire i bambini nei tribunali militari, privandoli dei diritti e delle protezioni fondamentali del giusto processo e violando sistematicamente la Convenzione dei Diritti del Bambino, la Convenzione contro la tortura delle Nazioni Unite e la Quarta Convenzione di Ginevra sulla tutela della popolazione civile in tempo di guerra.

Già prima dell’inasprimento del conflitto tra Israele e Palestina, il 2023 era stato un anno atroce per la sorte di bambine e bambini palestinesi, con almeno 38 di loro uccisi dalle forze israeliane nella Cisgiordania occupata.

Ma in Palestina non sono solo i più piccoli a vivere situazioni disperate. Amnesty International nel rapporto Israel’s Apartheid against Palestinians descrive il sistema di oppressione e dominazione di Israele nei confronti della popolazione palestinese e afferma che le autorità israeliane devono essere chiamate a rendere conto del crimine di apartheid contro i palestinesi.

Le massicce requisizioni di terre e proprietà, le uccisioni illegali, i trasferimenti forzati, le drastiche limitazioni al movimento e il diniego di nazionalità e cittadinanza ai danni dei palestinesi fanno parte di un sistema che, secondo il diritto internazionale e costituisce apartheid. Questo sistema si basa su violazioni dei diritti umani che, secondo Amnesty International, qualificano l’apartheid come crimine contro l’umanità così come definito dallo Statuto di Roma del Tribunale penale internazionale e dalla Convenzione sull’apartheid.

Agnès Callamard, segretaria generale di Amnesty International, ha dichiarato che «non è possibile giustificare in alcun modo un sistema edificato sull’oppressione razzista, istituzionalizzata e prolungata, di milioni di persone. L’apartheid non ha posto nel nostro mondo e gli stati che scelgono di essere indulgenti verso Israele si troveranno a loro volta dal lato sbagliato della storia. I governi che continuano a fornire armi a Israele e lo proteggono dai meccanismi di accertamento delle responsabilità delle Nazioni Unite stanno sostenendo un sistema di apartheid, compromettendo l’ordine giuridico internazionale ed esacerbando la sofferenza della popolazione palestinese. La comunità internazionale deve affrontare la realtà dell’apartheid israeliano e dare seguito alle molte opportunità di cercare giustizia che rimangono vergognosamente inesplorate».

La relatrice speciale al Consiglio dell’Onu per i Diritti Umani Francesca Albanese in un rapporto sulla situazione dei diritti umani nei territori palestinesi occupati dal 1967, ha esaminato il sistema di apartheid, denunciando il vasto quadro di illegalità in cui si attua la progressiva espansione territoriale israeliana, con la confisca di terre ai palestinesi e l’istituzione di proprie colonie in Cisgiordania in un contesto di dominio militare, che annulla il diritto del popolo palestinese alla propria autodeterminazione.

In un secondo rapporto ha invece analizzato tra le altre cose, gli ordini militari in base ai quali vengono arrestati i palestinesi. «Tutto il sistema che controlla i palestinesi è di matrice militare: gli ordini vengono scritti da militari, eseguiti dai militari, i tribunali sono amministrati da militari, i giudici sono militari. Cinque milioni di Palestinesi sono sotto giurisdizione militare da 56 anni: l’esistenza delle autorità palestinesi in Cisgiordania e Gaza non altera questa realtà di fatto né gli obblighi internazionali che con essa Israele viola. Inoltre il rapporto analizza le ragioni per cui i palestinesi vengono continuamente arrestati, detenuti, interrogati, spesso torturati, con una particolare attenzione ai minorenni e agli oltre mille prigionieri in detenzione amministrativa – che nel caso di Israele corrisponde a una vera e propria politica di incarcerazione senza accusa né processo, utilizzata come strumento di repressione e controllo».

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