Culture

L’arte può combattere lo spopolamento rurale?

Far nascere nuovi progetti creativi fuori città, per ripopolare le campagne europee: è l’obiettivo della piattaforma Rural Radicals, presente già in Slovenia, Spagna, Portogallo, Grecia, Italia e Svezia
Credit: Andrew Burns

Il report dell’Osservatorio europeo sullo sviluppo e la coesione territoriale (Epson) stima che entro il 2050 la popolazione rurale diminuirà di quasi 8 milioni, mentre il 70% degli europei vivrà nelle città. Le aree rurali sono abitate soprattutto da over 50 anni, mentre la popolazione più giovane (tra i 18 e i 30 anni) vive in città.

L’invecchiamento della popolazione, specialmente nelle regioni rurali, è una delle sfide principali dell’Unione Europea per i prossimi decenni. Eppure, contrariamente a quanto i dati evidenziano, sempre più persone desiderano trasferirsi lontano dal caos cittadino: una tendenza cresciuta con la pandemia, che ha spinto numerose persone a ricercare il contatto con la natura e, dove possibile, a lasciare la città. Ma prima ci sono state le iniziative di recupero dei piccoli centri (come “Case a 1 euro”, sostenuta da diversi comuni in Italia e Spagna).

Le città oggi sono sempre più difficili da vivere: l’inquinamento, l’aumento dei prezzi degli affitti e il sovrappopolamento rendono più attrattive le zone limitrofe e di campagna. La volontà di staccare dai ritmi frenetici associati alla vita urbana e di dedicarsi a progetti propri con maggiore libertà e serenità, spinge a considerare il potenziale queste aree.

Nonostante ciò, mancano politiche effettive per trasformare questa tendenza in un fenomeno e permettere alle persone giovani di trasferirsi (e portare con sé tutta la propria vita) in campagna.

Da questi presupposti nasce il progetto Rural Radicals, una piattaforma che vuole diffondere lo “sviluppo rurale basato sulla cultura”. Il progetto ha già diverse adesioni: Slovenia, Portogallo, Spagna, Olanda e anche Italia. In una combinazione di natura e coworking, sono nati progetti creativi e artistici a partire da edifici o territori abbandonati.

Rural Radicals e la rigenerazione extraurbana

Secondo la fondatrice di Rural Radicals Ella Overkleeft, un’altra ragione per cui spesso molte persone giovani sono attratte da un ritorno alla vita “rurale” è la mancanza di connessione umana e di senso di appartenenza che si sperimenta in città.

I centri urbani sono considerati troppo spesso come soli “hub tecnologici” dominati e soggetti a sorveglianza di massa, mentre il valore va ricercato negli spazi più lontani e naturali, dove però è ancora difficile dare vita a progetti creativi per mancanza di reti e di politiche pubbliche a supporto.

L’idea alla base del suo progetto parte dalla consapevolezza che le campagne europee siano piene di beni materiali vuoti, a cui si può dare un nuovo scopo che non sia solo speculativo. Insomma, secondo Overkleeft e tutto il team di Rural Radicals, per rigenerare le aree sottopopolate, isolate o abbandonate all’invecchiamento si deve fornire a questi luoghi un valore aggiunto che solo la cultura e la creatività possono dare. Il motto è infatti “Usare le proprietà per il bene”.

La si può chiamare rigenerazione extraurbana, a patto che sia basata sul riuso e sulla riconnessione piuttosto che sulla speculazione. Overkleeft precisa: «La rigenerazione che intendiamo massimizza l’impatto ecologico, sociale e anche economico, invece di minimizzare gli effetti negativi. Questo serve per facilitare il potenziale massimo di un ecosistema. Un processo continuo». Per la fondatrice e per chi aderisce al progetto, la rigenerazione comporta risolvere i problemi di un luogo alla radice (da qui anche il Radicals del nome).

Con una solida esperienza nella gestione di progetti creativi ma anche nella pianificazione urbana, Rural Radicals vuole “connettere tutte le persone che stanno sognando di avviare un progetto creativo fuori dalla città”. La missione è fornire a innovatori sociali e attori locali gli strumenti per sviluppare, in modo sostenibile, gli spazi vuoti.

Replicare in campagna la “riqualificazione urbana” per come è intesa oggi, non è sufficiente: «Non stiamo cercando di trasformare gli edifici in attrazioni turistiche. Certo, servono investimenti, ma in un senso di rigenerazione, cioè con un ritmo lento, integrando il patrimonio locale in questo processo a lungo termine», spiega Overkleeft a La Svolta.

La cultura contro lo spopolamento delle aree rurali

In questo senso, le persone creative svolgono un ruolo pioneristico. Sempre Overkleeft spiega: «Intendiamo la creatività in senso ampio e i nostri spazi sono multidisciplinari perché includono anche attività di benessere e di ricerca o istruzione. Inoltre, cultura significa anche piccole imprese locali». Per esempio, riportare in vita antichi mestieri significa rivitalizzare la produzione culturale locale, oltre che creare nuove professioni.

Per fare questo servono forti legami con il territorio e con chi li abita, perché serve conoscenza delle situazioni locali e della legislazione, ma anche degli spazi effettivamente utilizzabili. In questo senso è importante ricercare il contatto con chi si occupa di immobili e con le istituzioni locali, a patto che si comprendano e condividano gli scopi finali. E poi serve tessere legami tra professionisti, per creare progetti che si sostengano in modo sostenibile. La rete si sta allargando e i progetti avviati sono numerosi.

Rural Radicals in giro per l’Europa

Il primo progetto d’ispirazione per Rural Radicals si trova Slovenia ed è il “laboratorio sperimentale per l’arte e la scienza ELIAS”, a 30 chilometri dalla capitale Ljubljana: con 2 appartamenti, 2 studi d’arte e 1 falegnameria.

Invece, in Spagna nei Paesi Baschi, è stato utilizzato uno spazio che si trovava in un Paese di soli 400 abitanti (contro i 2.000 un secolo fa). L’edificio è stato aperto nel 2021, dopo alcuni anni di lavori, come “laboratorio di innovazione”. Oltre a spazi per riunioni e coworking, contiene 8 zone da utilizzare come laboratori o studi e contiene anche un teatro.

Un altro progetto spagnolo, Espacio Comün, si trova nell’area di Nalda, nella regione di La Rioja e nasce da un’alleanza di 11 artisti locali e una cooperativa agricola. L’ambizione è diventare un punto di riferimento culturale e alimentare le alleanze città-campagna.

In Portogallo invece, i Rural Radicals sono 2 fratelli che nel villaggio di Caramulo hanno mantenuto l’eredità del padre, il medico Jerónimo de Lacerda e fondatore del villaggio. Inizialmente un sanatorio, i ragazzi hanno deciso di sviluppare le potenzialità del luogo ampliando lo scopo originario e creando 2 spazi espositivi (un museo dedicato a svariate opere d’arte e uno dedicato alle automobili). Il villaggio può ancora svilupparsi in futuro, per i prossimi 100 anni, grazie a edifici e terreni disponibili.

In Grecia, un gruppo di persone ha ripopolato l’isola di Evia, che vive solo di turismo estivo, per renderla uno spazio dove abitare tutto l’anno per chi vuole fuggire dalla vicina Atene.

Anche l’Italia ha il suo progetto: l’ex base militare di Silandro, in Alto Adige, abbandonata alla fine degli anni ’90, è stata trasformata in un centro di attivazione sociale. I 2.300 metri quadri dell’edificio oggi servono a sviluppare progetti sociali e a riunire attori locali. Le parole chiave sono comunità, conoscenza, opportunità educative.

In Svezia, nell’area rurale di Värmland è stata creata nel 2020 una residenza di arte contemporanea in un vecchio spazio comunitario su iniziativa dell’organizzazione nazionale per le arti performative e il museo locale di arte. “L’obiettivo di Rural Movements – questo il nome del progetto – è creare tempo e spazio per il processo artistico”. Il progetto è inserito nella rete di Rural Radicals per ispirarne altri

Sfide, prospettive future e impatti sull’ambiente

Le potenzialità del progetto, a livello culturale e urbanistico, sono moltissime. Così come le sfide che ognuna delle iniziative si trova a fronteggiare. A volte è difficile bilanciare la presenza permanente con quella “temporanea” di artisti che frequentano le residenze per periodi limitati. Anche la convivenza all’interno di queste piccole comunità può presentare aspetti critici, così come l’isolamento e la questione dell’accessibilità: trattandosi di luoghi remoti, c’è un alto rischio di essere dipendenti dalle automobili se la rete di trasporto pubblico non è adeguata.

Sul lato più pratico, ci sono regolamentazioni edili molto restrittive in alcuni Paesi, che limitano l’uso di certi materiali, magari sostenibili, oppure rendono complicata l’aggiunta di alloggi a un edificio. Un auspicio è ottenere legislazioni e procedure più aggiornate, che invogli le persone a investire tempo ed energia nella rigenerazione di villaggi e paesini.

Il rischio maggiore, tuttavia, e anche oggetto frequente di riflessione da parte del team, è “l’effetto gentrificazione”. Secondo Overkleeft, evitare questo rischio è in parte compito delle istituzioni locali, che possono intervenire in tempo con le giuste legislazioni e politiche, per evitare quella che nelle città è ormai una crisi abitativa. Ma è anche compito delle singole persone coinvolte: il primo passo è ricordarsi che le persone del posto hanno sempre diritto a vivere in un luogo pagando il prezzo giusto. Oppure, mostrare consapevolezza verso un ecosistema nuovo, e adattarsi alle abitudini locali.

Assumere un approccio lento, imparare a conoscere e a convivere con la flora e la fauna. Secondo Overkleeft, «Spingere l’agenda tecnologica in queste aree forse non è la soluzione, quello che ci serve è maggiore connessione umana con la natura».

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