Economia

Se non si fanno più figli, la colpa non è dei giovani

Pannolini, passeggini, asilo, centro estivo: avere un bambino costa. Non stupisce, quindi, che le nuove generazioni siano titubanti. Il Governo vorrebbe intervenire con assegni e fringe benefit
Credit: Juliane Liebermann
Azzurra Rinaldi
Azzurra Rinaldi economista
Tempo di lettura 5 min lettura
12 settembre 2023 Aggiornato alle 06:30

Si sente spesso dire che i giovani d’oggi non vogliono fare figli. Sarebbero svogliati ed egoisti, poco inclini al sacrificio, eternamente infantili. Sarà, ma i dati sembrano delineare un quadro ben diverso. Cerchiamo di mettere insieme un ragionamento complesso.

In Italia non si fanno più figli. Ma perché?

Partiamo dalla situazione di inverno demografico nella quale (ormai è incontrovertibile) il nostro Paese si trova. Nel 2022, secondo Istat, il numero dei nati è arrivato a 393.000, scendendo sotto la soglia non solo psicologica delle 400.000 unità.

Non è un dato episodico. Se volessimo risalire all’ultima volta in cui abbiamo registrato un segno positivo nell’andamento delle nascite, dovremmo tornare al 2008. Da allora, sono mancate all’appello oltre 184.000 nascite, di cui 27.000 solo nel periodo compreso tra il 2019 e il 2022.

Quindi, che non si facciano più figli è vero. Ma la motivazione è realmente da rinvenirsi nella pigrizia delle persone più giovani? Non secondo i dati raccolti da Community Research & Analysis per Plasmon e pubblicati nella ricerca Figli: una ricchezza onerosa. Insomma, basandosi su un campione di 1.026 soggetti, la ricerca dimostra che il principale ostacolo alla decisione di riprodursi, per i giovani italiani, siano le preoccupazioni economiche legate al sostentamento dei bambini, molto più che la pigrizia o l’egoismo.

Quanto costa crescere un figlio in Italia?

E allora, vediamoli questi costi. A venirci in soccorso è Banca D’Italia. In media, il costo mensile per mantenere un bambino si aggirerebbe intorno ai 645 euro, un quarto della spesa media di ogni nucleo famigliare (8.000 euro all’anno). Potrebbero essere stime al ribasso, perché secondo l’Osservatorio Nazionale Federconsumatori il costo medio annuo ammonterebbe a 9.750 euro.

Anzi, l’Osservatorio entra nel dettaglio, specificando anche che fino ai 3 anni, ne servirebbero tra i 10.000 e i 25.000. Ma anche che questa voce di spesa crescerebbe all’aumentare dell’età. Tra i 4 e i 5 anni arriverebbe a un range compreso tra i 10.000 e i 27.000 euro, dai 6 agli 11 anni la spesa sarebbe compresa tra i 28.000 e i 48.000 euro e dai 12 ai 18 anni tra i 45.000 e i 74.000. Insomma, tirando le fila, già solo per arrivare ai 18 anni, ci vorrebbero quasi 176.000 euro. Senza considerare che a 18 anni le spese non sono finite…

Chiunque abbia figli lo sa: si spende per tutto. Per i pannolini, per i vestiti, per le attività sportive. E, drammaticamente, per gli asili nido e per i campi estivi.

Certo che le condizioni non aiutano…

La congiuntura non è facile, l’inflazione non aiuta. Secondo una rilevazione effettuata dal sito DoveConviene, nel 2022 i prezzi dei prodotti alimentari per i neonati sono cresciuti dell’11,3%, quelli dei pannolini del 13,6% e quelli dei passeggini del 30,4%. Ma nei primissimi anni di vita, si spende molto anche per gli asili nido e le scuole dell’infanzia.

Eh, sì, perché continuiamo a discuterne, ma per i bambini sotto i 3 anni, in Italia la disponibilità di posti in asilo è di poco superiore al 27%. Siamo lontanissimi dall’obiettivo del 33% che era stato stabilito dal Consiglio Europeo di Barcellona nel 2002. Obiettivo, ricordiamolo ancora una volta, che sarebbe stato da raggiungere entro il 2010.

In un panorama così sconfortante, c’è da aggiungere la disparità territoriale, perché mentre nel Centro e nel Nord-Est del Paese la quota di posti disponibili supera l’obiettivo di Barcellona (rispettivamente, siamo al 35,3 e al 34,5%) e il Nord-Ovest lo sfiora (31,4%), il Sud e le Isole sono aree in cui le percentuali si fermano rispettivamente al 14,5% e al 15,7%. E non possiamo ignorare che questo rischi di inasprire ulteriormente le disuguaglianze nelle possibilità di scelta concrete che le persone hanno di fare figli.

Disparità territoriali, di reddito e di genere. Secondo Istat, “il reddito netto annuo delle famiglie con bambini che usufruiscono del nido è mediamente più alto (37.699 euro) di quello delle famiglie che non ne usufruiscono (31.563 euro)”. E quando si hanno figli e non ci sono i nidi, chi si prende cura di loro? Le mamme, che quindi non lavorano (o lavorano in part-time).

Dinamica ben rappresentata dalla Relazione Annuale di Banca d’Italia: a parità di età, competenze e reddito da lavoro iniziale, la retribuzione media annua delle madri a 15 anni dalla nascita del primo figlio è circa la metà di quella delle donne senza figli.

Almeno una gioia?

Speriamo: il Governo ha dichiarato di voler intervenire massicciamente sul tema della natalità nel 2024. Si parla di assegni di importo maggiorato per il secondo figlio, che sarebbe coperto da un contributo aggiuntivo al budget dell’Assegno unico universale dell’ammontare di 2,8 miliardi. Circa 1,8 miliardi erano stati già recuperati nei capitoli di bilancio perché, cambiando le regole in corsa, nel 2022 circa il 20% delle famiglie non ha presentato domanda (ricordiamo che, mentre prima l’assegno si rinnovava automaticamente, nel 2022 è stato introdotto un meccanismo che ha bloccato la sua erogazione e per riceverlo era necessario effettuare domanda telematica).

Ma si ventila anche un’operazione sui Fringe benefit, cioè gli elementi remunerativi che sono complementari rispetto alla retribuzione principale percepita dai lavoratori: a entrare in gioco saranno quindi le aziende. L’idea è quella di sostenere i consumi nazionali, prevedendo Fringe benefit fino a 3.000 euro per ogni lavoratore, quindi 6.000 euro a coppia.

Va da sé che le imprese non possono essere in alcun modo obbligate a concedere i Fringe benefit ai propri lavoratori, ma dal Governo promettono che quelle che lo faranno potranno ottenere un occhio di riguardo (i termini non sono al momento chiarissimi). Certo, a parte il settore privato, anche la pubblica amministrazione potrebbe fare la propria parte, nei confronti dei suoi 3 milioni di dipendenti.

Insomma, ognuno dovrebbe fare il suo. Del resto, per crescere un bambino ci vuole un villaggio.

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