Ambiente

Conosciamo più da vicino il calcestruzzo anti-CO2

La necessità di creare un’industria del conglomerato in grado di raggiungere il Net Zero ha spinto numerose startup e centri di ricerca a ricercare nuovi materiali. Con risultati interessanti
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7 agosto 2023 Aggiornato alle 20:00

Nel mondo prosegue la ricerca per trasformare il calcestruzzo in un materiale diverso ed eco-sostenibile, con proprietà auto-riparanti, anti-inquinamento, anti-emissioni di gas alteranti e in grado di resistere a fronte di eventi estremi o la corrosione del tempo.

L’accelerazione degli investimenti scientifici in questo preciso settore è dettata dalla necessità di ridurre l’impatto inquinante di quello che è uno dei materiali più usati nel Pianeta e uno dei pilastri dell’industrializzazione in corso.

Si stima che fin dalla sua scoperta siano state create 549 giga-tonnellate, con un uso stimato intorno alle 30 miliardi di tonnellate annue.

Questa immensa produzione ha consentito di creare le infrastrutture attuali, ma allo stesso tempo ha comportato un enorme consumo del suolo ed è responsabile dell’8% delle emissioni di CO2 a livello globale.

La necessità di creare un’industria del calcestruzzo in grado di raggiungere il Net Zero ha spinto numerose startup e centri di ricerca a ricercare dei nuovi materiali, anche nettamente diversi rispetto al cemento Portland, che è uno degli elementi più utilizzati per la formazione del calcestruzzo. In questo modo si dovrebbe ottenere una riduzione fra il 50% e l’80% di questo particolare tipo di emissioni entro il 2050.

Una delle svolte più significative è arrivata dallo studio del Pantheon di Roma, eretto quasi 2000 anni fa, che presenta una delle strutture più resilienti alle intemperie e all’incuria. Un team di ricerca americano con capo il chimico Admir Masic, professore del Massachusetts Institute of Technology, ha condotto dal 2017 un’estesa ricerca per capire le qualità della struttura in modo da poter sviluppare una serie di tecniche ingegneristiche all’avanguardia.

Da questa ricerca, pubblicata sulla rivista Science Advances all’inizio del 2023, sono emerse una serie di conoscenze che hanno permesso alla startup italiana Dmat di sviluppare dei nuovi e innovativi calcestruzzi auto-riparanti e prodotti con il 20% in meno di emissioni di CO2 intitolati D-lime. Inoltre la produzione di questo nuovo materiale non comporta modifiche agli impianti produttivi e permette di risparmiare fino al 50% dei costi, cosa molto importante per un mercato che vale circa 650 miliardi di euro a livello globale.

Un altro progetto importante è quello coordinato dal Politecnico di Milano, con altri 13 partner, dal nome Horizon2020 ReSHEALienc, che ha sempre l’obiettivo di creare un calcestruzzo auto-riparante e più durevole rispetto ai classici prodotti tradizionali. Grazie a esso è stato raggiunto l’obiettivo di ottenere l’Ultra High Durability Concrete (Uhdc). Sia in Italia che all’estero sono in corso anche delle ricerche per ottenere il calcestruzzo fotoluminescente, quello predisposto per degradare l’inquinamento atmosferico (fotocatalitico), e in futuro uno nuovo materiale in grado di catturare il calore e generare energia.

Una transizione che rimane complessa e difficile, ma allo stesso tempo assolutamente necessaria secondo l’ingegnere e Direttore responsabile di Ingenio Andrea Dari: «Siamo in una fase di tale transizione che è difficile dire quale cemento, quale additivo, quale calcestruzzo sarà previsto e utilizzato nel 2033, ovvero fra soli 10 anni. Allora torniamo alla domanda di partenza: ce la faremo? Sì, è una questione di soldi, perché oggi il settore si è impegnato in questa attività di ricerca con investimenti importanti. Perché è un settore importante nell’economia mondiale. Senza cemento l’economia si ferma».

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