Ambiente

Il polmone verde della Val Susa torna a respirare

Adagiato ai piedi del monte Rocciamelone, il bosco di Mompantero inizia a rialzarsi, dopo il devastante incendio del 2017. Siamo andati a visitarlo per raccontartelo
Credit: Pefc
Riccardo Liguori
Riccardo Liguori giornalista
Tempo di lettura 7 min lettura
28 giugno 2023 Aggiornato alle 14:00

Troppo spesso siccità significa fiamme e distruzione per i nostri boschi.

Secondo i dati diffusi dal Copernicus Atmosphere Monitoring Service le ondate di calore e la scarsità di precipitazioni del 2022 hanno causato in Europa occidentale un aumento dell’attività, intensità e persistenza degli incendi boschivi, responsabili dell’emissione di 6,4 megatonnellate di carbonio. Il livello più alto mai raggiunto dall’estate del 2007.

Guardando in particolare alla nostra Penisola, i 451 incendi divampati nel 2022 hanno arso 58.751 ettari di bosco.

Per l’estate appena iniziata, il Commissario europeo per la Gestione delle crisi, Janez Lenarcic, ha annunciato che l’Ue raddoppierà la capacità della sua flotta antincendio rescEU. Che da 13 salirà a 28 aeromobili.

C’è un ma, ed è racchiuso in altri due dati.

Primo: spegnere un incendio costa 8 volte più che prevenirlo. Secondo: la gestione attiva e consapevole dei boschi permette loro di essere coinvolti dalle fiamme in una misura fino a 9 volte inferiore rispetto alle aree non certificate. E da qui la domanda: perché allora non gestire il problema scongiurandone l’origine?

Il caso della Valle di Susa fornisce un esempio concreto di come sia possibile agire in questo senso.

Siamo nel 2017 – terzo anno più caldo degli ultimi 60 anni – e in Piemonte divampano 8 grossi incendi. La Regione si ritrova a dover gestire contemporaneamente un muro di fiamme che stringe in una morsa incandescente 9.700 ettari di bosco.

Alcune di queste aree vengono colpite da una severità incendiaria alta che, dunque, uccide tutte le piante coinvolte.

È il caso del bosco di Mompantero, comune adagiato sulle pendici del monte Rocciamelone, dove per diverso tempo non sono rimasti che tronchi spettrali.

L’emergenza rientra e gli esperti iniziano a confrontarsi sul futuro di quei boschi. Sulla loro sopravvivenza. Così, il tema della selvicoltura preventiva diventa protagonista.

Le parole a La Svolta del segretario generale Pefc Italia, Antonio Brunori, potrebbero sorprendere, ma solo in un primo momento. «Quando normalmente noi parliamo di catastrofi, un ecologo forestale parla di disturbo perché in ecologia le dinamiche temporali riguardano archi temporali ampi di 10, 20 e 100 anni. La catastrofe che ha interessato Mompantero ha riguardato quel momento specifico. In una dinamica di lungo termine, com’è la vita di una foresta, un incendio può essere un disturbo, che non è necessariamente una catastrofe, fungendo da stimolo per il bosco a diventare diverso». Più forte e resiliente.

Un grosso incendio può far cambiare la funzione prevalente di un polmone verde, che, come quello di Mompantero, da bosco di produzione di legna è diventato bosco di protezione diretta (da valanghe, a esempio, oppure da cadute di massi e scivolamenti superficiali).

«Boschi uniformi sono più vulnerabili perché al loro interno il fuoco si comporta in modo uniforme», spiega a La Svolta Roberta Berretti, tecnico della Ricerca presso l’Università di Torino. «Il bosco a Mompantero non sarà più un bosco puro di pino silvestre ma, grazie alle latifoglie, misto. E questo è un bene dal punto di vista ecologico, perché si assume una struttura più resistente».

Ripensare e pianificare i nostri boschi, anche a causa della crisi climatica, diventa sempre più cruciale. Oggi, in Italia le aree pianificate sono solo il 18% - circa 1.900.000 ettari – di cui la metà certificata per la gestione forestale sostenibile, e valorizzano tutti gli aspetti legati a turismo, produzione e biodiversità.

Per questo, vale la pena ripeterlo, diversificare il bosco significa salvarlo e predisporlo ad affrontare con maggiore forza un incendio. E il caso di Mompantero – dove la dinamica naturale di insediamento delle piante dopo l’incendio consentirà la ricostituzione di un bosco -, lo dimostra.

Lo sviluppo delle piante che si insediano nelle aree percorse da incendio deve essere protetto per evitare che il fuoco ripercorra il giovane bosco in crescita. Diventa fondamentale allora creare condizioni sfavorevoli all’avanzamento delle fiamme, come a esempio la rimozione parziale del legno morto a terra e in piedi (necromassa) derivanti dal precedente incendio nelle aree strategiche dove si vogliono pianificare infrastrutture difensive come i viali tagliafuoco, barriere che rallentano l’incendio e rendono lo spegnimento più facile e sicuro.

Per le superfici forestali a elevato rischio incendi, la gestione forestale deve operare pianificando tagli capaci di creare strutture forestali più articolate e complesse, sviluppare un sistema di viabilità forestale adeguato e creare opere di supporto alla lotta attiva (come punti acqua e, appunto, viali tagliafuoco).

Fondamentale è poi il coinvolgimento di cittadini e turisti in campagne di sensibilizzazione, che ribadiscono le norme basilari di sicurezza per evitare incendi dolosi.

Programmare in modo attento ed efficace questi interventi, racconta a La Svolta Antonio Brunori, consente ai boschi di garantire la produzione di importanti servizi ecosistemici. Le distese verdi non solo tutelano l’equilibrio idrogeologico e producono ossigeno, ma immagazzinano grandi quantità di CO2 che, nel momento in cui ardono viene però rilasciata, insieme a grandi quantità di polveri sottili.

Cambiamento climatico, incuria, mala o mancata gestione e aumento dell’afflusso turistico e della presenza antropica sono alleati degli incendi. Ma la prevenzione può scongiurarne lo sviluppo.

Il problema è che troppo spesso viene finanziata, e messa in pratica, in modo insufficiente: «Ciò fa sì che si lavori soltanto in emergenza, con uno spreco enorme di risorse che potrebbero essere destinate alla corretta gestione delle foreste», ricorda Francesco Dellagiacoma, presidente Pefc Italia.

«La crisi climatica in corso sta già favorendo anche sul nostro territorio l’aumento delle temperature e incrementando la possibilità e l’intensità degli eventi climatici anomali, come la prolungata siccità tra 2022 e 2023, l’inverno eccezionalmente mite, la grande alluvione in Emilia-Romagna, la recrudescenza degli attacchi del bostrico nelle foreste alpine di abete rosso colpite da Vaia nel 2018», spiega Dellagiacoma.

Come anticipato, il Piemonte ha però scelto di investire in selvicoltura di prevenzione. Lo testimonia il progetto PRe-FEu – Prevenzione degli incendi per le filiere del lEgno (“feu” in piemontese significa “fuoco”, dunque pre-feu “prima del fuoco”) che, avviato in Val di Susa nel 2020, e finanziato dal Programma di Sviluppo Rurale della Regione Piemonte, vuole proteggerci dagli incendi, valorizzando i servizi ecosistemici forestali e rilanciando le filiere locali del legno.

Oggi, il Piano Integrato di Prevenzione Incendi riguarda l’intera copertura forestale dell’Alta Val Susa (26.300 ettari) e un’area pilota nella Bassa Val Susa (1.000 ettari) e punta a localizzare le aree strategiche dove applicare interventi di selvicoltura preventiva per una superficie complessiva di 890 ettari.

Il Piano individua interventi di prevenzione attuabili grazie ai diradamenti selettivi, tagli a scelta colturali, fuoco prescritto e pascolo turnato. Il legno ricavato grazie a questi interventi diventa protagonista di una filiera corta, capace di offrire assortimenti di pregio e destinando al settore energetico lo scarto di produzione. Coinvolgendo le segherie della Valle di Susa e favorendo la rinascita, consapevole e sostenibile, dei suoi boschi.

PS: Non dimentichiamo la domanda delle domande. Cosa fare in caso di incendio? Buona norma, quando lo avvisti o procuri involontariamente, è allontanarti e chiamare i Vigili del Fuoco (115). Se non puoi farlo, posizionati con le spalle al vento oppure cerca di raggiungere la zona già bruciata. Lì il rischio di essere raggiunti dal fuoco è più basso.

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