Culture

(Non) si fa presto a dire donna

Nel suo libro, Un’altra donna, Jennifer Guerra racconta i mille significati del termine donna, dalle origini a oggi, con l’obiettivo di ampliare il dibattito e stimolare la riflessione su una rivoluzione culturale in atto
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2 luglio 2023 Aggiornato alle 13:00

Il termine donna ha diverse sfaccettature e Jennifer Guerra nel libro Un’altra donna, edito da Utet - DeAgostini, prova ad analizzarle tutte, raccontandone il significato linguistico, politico e culturale, a partire dai primi femminismi fino all’attuale dibattito intorno al concetto di femminilità, stereotipo e gender.

Le domande a cui si propone di trovare una risposta sono complesse e non trovano una soluzione univoca, ma hanno l’obiettivo di stimolare una riflessione su una rivoluzione culturale destinata a diventare sempre più pregnante nella società.

Per prima cosa si sofferma sulla ricostruzione del dibattito intorno termine donna e sugli scontri odierni su che cosa significhi esserlo, che mostrano quanto sia radicata la volontà di “cambiare qualcosa nel modo in cui la donna è definita, concettualizzata e raccontata. Ciò che abbiamo sempre dato per scontato così scontato non lo è più”.

Già dai primi capitoli che riassumono la storia della parola e dei suoi molteplici significati, l’autrice ricorda alcuni assunti di base, primo fra tutti che le differenze tra uomo e donna, causa di discriminazioni sistemiche ancora oggi, sono prodotti culturali e non naturali. La categoria ideologica delle “sfere separate”, cioè il riconoscimento di una differenza fra i generi è sempre esistita, “ma un conto è osservarla, un altro assumerla come principio”.

È proprio in risposta a questa teoria che nasce il femminismo, come rivendicazione positiva di questa differenza, che dev’essere il punto di partenza per la lotta all’eguaglianza dei diritti.

Un altro aspetto, che diventa chiave di lettura del libro, è quello della decodificazione del punto di vista finora dominante: quello maschile, che è stato per secoli il “parametro”, il prototipo, mentre l’essere donna - quasi sempre accostato al concetto di femminilità - è stato la sua contrapposizione negativa. Riassume efficacemente Guerra che “l’alterità della donna non si esprime semplicemente con un segno meno”.

Nel testo si susseguono numerosissimi esempi delle conseguenze che il sistema maschile ha imposto alle donne nella società, in tutti gli ambiti della conoscenza, dalla medicina, alla scienza e alla filosofia, che hanno perpetrato la centralità del maschile, presupponendo che il femminile fosse un’eccezione alla regola, una stortura, di cui non occuparsi in ugual misura.

Questo approccio è quello che permane ancora oggi anche nel dibattito politico e nel racconto della realtà, basti pensare agli scontri politici e mediatici su tutto ciò che ha a che fare con il corpo femminile, dalla gestazione per altri al diritto di aborto.

La consapevolezza della differenza tra donna e uomo come prodotto culturale dovrebbe essere il punto in comune per una discussione costruttiva sui temi della realtà e il presupposto da cui iniziare a difendere la libertà delle donne.

Guerra cita moltissime studiose e filosofe femministe, soffermandosi sul contributo di Judith Butler e sulla sua dimostrazione del fatto che il genere non è soltanto un “artificio fluttuante”, che cambia nello spazio e nel tempo, ma è anche ciò che fissa in un determinato spazio e tempo quello che viene considerato sesso naturale.

In altre parole, “il genere è un discorso che naturalizza l’idea che le donne debbano indossare la gonna, debbano apparire o comportarsi in un certo modo, o che siano gerarchicamente inferiori nell’ordine sociale”. Il passo successivo per molte correnti femministe, a eccezione di quelle transescludenti, è stato di smettere di considerare maschio e femmina come categorie fisse.

Le teorie e le critiche a Judith Butler sono importanti per comprendere anche come il femminismo si sia evoluto oggi, e come spesso le sue idee siano state travisate per scopi differenti e contrari ai movimenti di liberazione femminile. Per le donne il problema dell’identità si fa ancora più complesso, dal momento che questa categoria è anche prodotta dal dominio maschile. Il paradosso, quindi, è che la categoria delle donne si trova a chiedere la propria emancipazione davanti al potere che non solo la controlla, ma che l’ha plasmata.

Un’altra donna è un testo pieno di strumenti per leggere la realtà in una prospettiva di genere. E non solo. L’autrice, infatti, conclude con una riflessione sull’intersezionalità e la necessità di comprenderne le cause. Ironicamente si chiede se sia nato prima il patriarcato o il capitalismo, intendendo chiaramente lo strettissimo legame tra i due.

Una discriminazione intersezionale o multifattoriale, in estrema sintesi, è una condizione di vulnerabilità e disuguaglianza che si moltiplica a causa di fattori come la razza, l’appartenenza a una minoranza religiosa e la povertà educativa ed economica. Anche in questo caso, Guerra fornisce una moltitudine di studi scientifici che provano e documentano le discriminazioni multifattoriali, molto spesso ai danni delle donne.

Questo libro non è un’opera di convincimento, ma la prova - molto riuscita - dell’importanza dei gender studies. I temi raccontati abbracciano la dimensione filosofica, storica e culturale, e sono in grado di restituire un’idea nuova, aperta a diverse interpretazioni di cosa significhi essere una donna, a patto che si comprendano quali sono le premesse.

L’autrice, tra le ultime pagine del libro, cita una frase che lesse in un vecchio manifesto femminista e la colpì molto per la sua potenza. “Consapevoli del fatto che le gerarchie fondate sulla forza e la prevaricazione hanno stabilito un mondo ingiusto per molti, quello che ci aspettiamo di vivere, anche se può sembrare un’utopia, è l’invenzione di un mondo senza potere”.

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