Ambiente

Piombino, la città fabbrica che aspetta un nuovo futuro

Sono 9 i chilometri di costa occupati dalle ex acciaierie toscane, quasi 600 ettari: un sito siderurgico secondo in Italia solo a quello di Taranto. Ci sono 500 lavoratori attivi, 1.500 in cassa integrazione e una bonifica che non decolla. Viaggio nel polo industriale che sembra dimenticato da tutti
di Silvia Giagnoni
Tempo di lettura 7 min lettura
14 febbraio 2022 Aggiornato alle 09:00

Per meglio osservare la città e la sua fabbrica, Ugo Preziosi, fondatore del Comitato Salute Pubblica e attivista dell’Associazione Coordinamento Art.1 Camping Cig, mi porta a Tolla Alta. Da questo punto panoramico, si vede tutto il Golfo di Follonica e il SIN (Sito di interesse nazionale) di Piombino - i binari della ferrovia interna, l’altoforno abbandonato dove di recente sono stati avvistati addirittura dei lupi, il gazometro rosso ruggine, la centrale Enel dismessa, le sei enormi pale eoliche, e sulla destra in fondo s’intravede l’impianto chimico della Tioxide di Scarlino. “Per non farsi mancare niente, c’è la montagna deturpata delle Cave di Campiglia Marittima,” dice Preziosi indicandomela. “Da lì veniva ricavata la calce che serviva per lo stabilimento”.

Sono ben 9 i chilometri di costa occupati dalle ex acciaierie, quasi 600 ettari, un sito siderurgico secondo in Italia solo a quello di Taranto. Oggi ci lavorano al massimo 500 operai nell’arco della giornata, più qualche impiegato e le guardie. Sono circa 1.500 i lavoratori in cigs, prorogata nuovamente a dicembre, atto unico e insufficiente del Governo Draghi a fronte della mancanza di una politica industriale e di una soluzione per il sito complessivo di Piombino.

Ci sono gli operai a zero ore, come Paolo Francini, altro attivista di Camping Cig, promotore nel corso degli anni anche di scioperi della fame per protesta, o Alessandro Babboni, un tempo addetto di laboratorio di analisi metallurgiche, dal febbraio 2014 a casa per la rottura di un dito e dallo spegnimento dell’altoforno, il 24 aprile successivo, in cassa integrazione appunto.

Sono passati quasi 8 anni da quando il Governo Renzi firmò la riqualificazione del polo siderurgico con l’azienda (già commissariata) e la Regione Toscana. Una riqualificazione che non è ancora partita, mentre la crisi della fabbrica ha subito un’accelerazione con la fine del ciclo integrale—occorreva acquistare il semilavorato per l’area a freddo—e la progressiva perdita di competitività di alcuni prodotti. “Ai pochi che ancora ci lavorano è stato decurtato il 30% dello stipendio con la promessa che tutti saremmo tornati al lavoro” denuncia Francini, stanco e disilluso come tanti. “In città la Fabbrica è vista come “un cancro che impedisce al territorio di diversificare l’economia.”

Piombino insomma vorrebbe voltare pagina e parlare d’altro, dimenticarsi dei problemi legati alle acciaierie; anche per questo nel 2019 ha eletto un sindaco di centro destra, l’avvocato di Fratelli d’Italia, Francesco Ferrari. “È necessario risolvere il problema di Piombino in senso ampio” dice Ferrari. “Per questo abbiamo chiesto che ai Tavoli del Mise ci fossero anche i Ministeri della Transizione Ecologica e delle Infrastrutture.”

Il sindaco vuole promuovere la piccola e media impresa, settori come la nautica e il trattamento del pescato; soprattutto, un’idea di Piombino come città turistica e non sembra preoccupato da chi ritiene che il turismo sostenibile sia una contraddizione in termini. “Abbiamo piani attuativi che prevedono piste ciclabili, parcheggi scambiatori e villaggi eco-compatibili per le aree di valore naturalistico e storico-archeologico di Baratti e Populonia” ribatte.

Preziosi non è del tutto convinto. Esistono città limitrofe già più attrezzate come Follonica, San Vincenzo, Donoratico, Bolgheri. “Turismo come componente di un’economia diversificata può andare, ma non come unico investimento. Altrimenti torniamo alla monocultura!”. Oggi pensionato, Preziosi è stato delegato della Fiom e poi fondatore dei Cobas locali. “Ho cominciato a lavorare alle acciaierie il 22 gennaio del 1981” continua. “L’11 aprile mi sono sposato.”

Allora lo stabilimento dell’Italsider di Piombino dava lavoro a 7.800 persone e ad altre 3.000 dell’indotto. I dipendenti erano trattati bene: c’era l’asilo gratuito, i campi estivi a Baratti e le villette a Borca di Cadore, persino il vino dei poderi delle acciaierie. Dagli anni Cinquanta ai primi anni Ottanta, i Piombinesi erano visti come quelli “coi quattrini,” ma del benessere portato dalle acciaierie ne hanno beneficiato tutta la Val di Cornia, le Colline Metallifere e oltre, includendo l’indotto di secondo livello.

L’errore, secondo Babboni, fu fatto nel 1993 quando l’acciaieria di Stato fu “regalata” a Lucchini per “150 milioni di lire”. L’errore, già allora, fu quello di non diversificare. La ristrutturazione era cominciata da tempo (dal 1982) con l’ampio uso degli ammortizzatori sociali per evitare grosse tensioni nella cittadina Medaglia d’Oro alla Resistenza, capitale del movimento operaio e della sinistra. I primi licenziamenti veri e propri, infatti, non arrivarono fino a maggio 1992.

Dal dicembre 2012, la Lucchini SPA è stata commissariata (con a capo Piero Nardi) e da allora si sono succedute tre multinazionali con relativi accordi di programma—dai russi Sevenstal’, agli algerini della Cevital di Issad Rebrab fino alla Jindal (2018). JSW Steel Italy si è impegnata a riammodernare i tre “treni” di laminazione e realizzare un forno elettrico (nel progetto originario i forni erano tre). Dalle carbonifere a cielo aperto del vecchio stabilimento, il forno elettrico è un passo avanti ma pone comunque questioni ambientali legati alle emissioni di CO2, ai costi di alimentazione, e costringe a fare acciaio di alta qualità per compensare tali spese, oltre a impiegare meno operai.

Il piano industriale di Jindal, poi, è stato ripetutamente bocciato da Invitalia in quanto il gruppo di fatto non investe e continua a chiedere sconti sul costo dell’energia, altri 5 anni di cig per i dipendenti e ulteriori fondi allo Stato—dai 238 ai 288 milioni di euro, secondo quanto riportato da Il Manifesto.

JSW Steel Italy sta ancora producendo rotaie, incluse quelle da 108 metri, ma in virtù di una commessa decennale di RFI mentre sembra voler delocalizzare la produzione di sfere dell’azienda satellite GSI—Jindal ha creato un impianto gemello in India. Il Ministro Giorgetti ha promesso un Piano Nazionale della Siderurgia, ma Piombino sembra esser stata dimenticata—per adesso, solo il cremonese Gruppo Arvedi esce rafforzato nel settore grazie all’acquisto di Acciai Speciali Terni da ThyssenKrupp. Da più parti si chiede un intervento pubblico determinante per il futuro economico e ambientale del sito di Piombino e non solo finalizzato a salvare finanziariamente una multinazionale.

Oltre alla questione occupazionale, resta il grande sospeso delle bonifiche. Erano stati stanziati 50 milioni di euro per la messa in sicurezza delle falde attorno alle acciaierie ma metà dei soldi sono finiti in progettazione con stime di aumento notevole dei costi. “La vera partita di Piombino” ammette il sindaco “resta la bonifica degli spazi occupati dalle ex acciaierie”.

C’è anche la questione della discarica in procedura fallimentare RiMateria. A maggio 2021, la società che si occupa di smaltimento rifiuti ha chiuso la discarica che si trova sul terreno occupato dalle ex acciaierie mandando 40 lavoratori in Naspi. La discarica aveva cominciato con i rifiuti urbani per poi gestire anche quelli speciali. Il raddoppio dei volumi è stato sventato ma resta il problema della gestione di una discarica ferma che continua a produrre percolato e biogas.

Come se non bastasse, nel 2015 sono arrivate anche le cosiddette ecoballe nel mare di Piombino: 63 tonnellate di rifiuti plastici destinati allo smaltimento in Bulgaria e disperse impunemente nel Santuario dei Cetacei—solo 32 sono state recuperate da pescatori o “spiaggiate” e dopo l’intervento, tardivo, della Marina Militare e della Protezione Civile.

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