Diritti

Per fare 2 figli, ripartiamo dai padri

Il record negativo di nascite è “colpa delle donne in carriera”. Aumentiamo piuttosto i servizi per l’infanzia, tuteliamo le lavoratrici. Non può essere tutto sulle spalle delle mamme: ci sono anche i papà
Credit: Tatiana Syrikova.
Ella Marciello
Ella Marciello direttrice comunicazione
Tempo di lettura 6 min lettura
21 aprile 2023 Aggiornato alle 06:30

Non è che la destra si sia svegliata una mattina e in preda al delirio abbia deciso che si potevano eliminare le tasse per chi ha almeno 2 figli a carico. Forse, più presumibilmente, stiamo assistendo a qualcosa che già conosciamo, una madeleine dal retrogusto amaro eppure conosciuto, frutto di ciò che negli anni si è rimpastato infinite volte per trovare compimento in forme sempre apparentemente nuove ma sempre identiche a loro stesse.

Ogni essere umano che si esprime attraverso il linguaggio lo fa utilizzando dei frame, cioè dei quadri di riferimento narrativi composti da immagini e relazioni tra concetti che strutturano il modo di pensare e di relazionarsi con l’esterno. Nella comunicazione politica è interessante scoprire quali siano i frame di riferimento perché non ci sono parole o frasi che non inquadrino una determinata tematica secondo la prospettiva ideologica di chi quella parola o frase la pronuncia.

Per questo motivo, quando ho letto che, nelle parole della destra, il calo demografico, sarebbe “la nostra crisi più profonda” mi sono dimenticata per un attimo di quell’altra dichiarazione, secondo cui saremmo in pericolo a causa di una (inesistente) sostituzione etnica, per cui ci tocca “difendere l’etnia italiana”.

E così, il framing narrativo della Patria che una volta era unita, e sana, e concorde su tutto e oggi non lo sarebbe più a causa di forze esterne (leggasi: ebrei, africani generici, famiglie Lgbtq) si interseca con quello che fa dell’ossessione per la denatalità il suo centro. I programmi politici perciò vengono infarciti di misure per arginare l’immigrazione e al contempo incentivi che puntano a innalzare il tasso di natalità, mentre di concerto si lavora per costruire una cultura anti abortista, limitando di fatto la libera scelta e il diritto alla salute delle donne e delle persone con utero.

Non è un caso che sotto l’ultimo Governo abbiamo ricevuto in regalo il Ministero per la famiglia, la natalità e le pari opportunità, una dicitura glossy tesa a mistificare l’esatto significato delle parole scelte. Il ministero sotto il quale è stato possibile sentir dire “L’aborto è un diritto… purtroppo”.

Provando a mettere i concetti in fila sembra proprio che ci sia bisogno di credere in questa post moderna età dell’oro, pronta a compiersi nei fasti di un utopico passato mai esistito, una volta che tutti gli impedimenti contingenti saranno stati travolti e annientati. E così, di nuovo, cercheremo gli scafisti per tutto il globo terracqueo, i bambini hanno bisogno di una mamma e di un papà e niente tasse per chi ha almeno due figli.

Quella che sembra un’ossessione per alcuni concetti è in realtà la ricerca spasmodica di quello stimolo pavloviano utile per innescare risposte emotive quasi automatiche, di pancia, che non lasciano il tempo alla complessità di sedimentare ed esser dipanata in maniera critica. Chi non vorrebbe vedere i criminali consegnati alla giustizia? E non pagare le tasse? Chi non si fa toccare il cuore dalle parole “mamma” e “papà”?

La detrazione di 10.000 euro l’anno per ogni figlio a carico, ma a partire dal secondo (c’è comunque da capire come lo Stato possa sostenere una misura di questo tipo), diventa problematica alla luce di ciò che significa essere donna, madre e lavoratrice nel nostro Paese.

Perché se è vero che nel 2022 si è registrato il record negativo di nascite (meno di 400.000) ciò che non stiamo prendendo in considerazione attraverso strampalate misure economiche per il calo della natalità è un certo sistema strutturale (e culturale) che vuole i figli essere l’alternativa al lavoro.

Anche le donne non si sveglieranno un mattino, allettate dalla minor pressione fiscale, pronte per questo a sfornare qualche pargolo, in un mondo che ancora contrappone la scelta di avere figli a quella di fare carriera. E se il calo demografico riguarda la collettività, in primis perché il sistema pensionistico potrebbe non reggere sul lungo periodo, la scelta o meno di avere dei figli è quanto mai critica.

Nel Paese del “hai figli o vuoi averne?” ai colloqui di lavoro, dove il congedo di paternità è di soli 10 giorni e quello di maternità visto come un modo creativo per non lavorare (ed esser pagata), nello stesso Paese che vede il part time esser appannaggio appena del 7% per gli uomini a fronte del 24% delle donne (fonte Openpolis, giugno 2022) non sono certo i contributi in denaro a permettere di scegliere.

Il Governo dovrebbe interrogarsi su quali misure siano necessarie per costruire una rete di supporto per quelle famiglie che vogliono figli, mettendo in piedi un sistema ragionato che permetta di conciliare la vita con il lavoro (e non viceversa) aumentando i servizi legati alla prima infanzia, alla scuola, le tutele sul luogo di lavoro, quelle per le donne precarie o senza contratto dipendente.

Se non ci sono abbastanza posti negli asili nido le madri non possono lavorare o devono accettare un impiego part time, eliminando, di fatto, di avere pari opportunità lavorative con gli uomini, anche con i padri, che sono comunque percepiti nei luoghi di lavoro come persone senza figli. E si sa, culturalmente la mamma è sempre la mamma soprattutto quando c’è da rinunciare a carriera o stipendio perché è logico che si rinunci a quello più basso in casa. Indoviniamo? Sì, è quello delle donne. La mamma è sempre la mamma anche nel monte ore del lavoro di cura, naturalmente.

Essere madre non può essere una continua corsa a ostacoli in cui se va bene arrivi stremata alla sera dilaniata dai sensi di colpa per non essere abbastanza, su qualunque fronte. Ci si aspetta ancora che le madri lavorino come se non avessero figli e facciano le madri come se non lavorassero. Chi invece figli non ne ha o non ne vuole sente comunque la scure del giudizio che le dipinge come meno donne, non compiute, egoiste.

Ritornando ai framing narrativi: non possiamo smantellare quello che vuole la madre come figura sacrificale per eccellenza. Perché qui fuori nel mondo milioni di madri lavorano tutti i giorni, cercando di farsi spazio e strada, sgomitando tra gap di opportunità e salariale, sentendosi sempre inadeguate ma allo stesso tempo ambiziose, lavorando il doppio, il triplo, per dimostrare di valere quanto un collega uomo, con il carico mentale sempre acceso nella testa e il lavoro di cura come straordinario non pagato.

Non si fatica certo a dire che tutto questo sia pesante, per certi versi estremo. E che ci si chieda, sempre più spesso: ma a me chi me lo fare?

Forse da questo interrogativo si potrebbe ripartire nel pensare a misure contro il calo demografico. Ripartire dalle donne che non dovrebbero (se vogliono) rinunciare a essere madri. Ripartire dai padri come figure centrali nel supporto educativo ed emotivo dei bambini. Ripartire da un concetto di famiglia slegato da costrutti patriarcali antiquati.

Perché insomma, abbiamo visto tutti come è andata a finire.

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