Ambiente

Antonello Pasini: «Terra, perdonaci se abbiamo la memoria corta»

Secondo il fisico del clima del Cnr non riusciamo ancora a tutelare il Pianeta perché siamo privi di una visione generale. Senza la quale ci troviamo a gestire emergenze su emergenze. Partendo dalla siccità
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22 aprile 2023 Aggiornato alle 08:00

Ogni anno, ad aprile, per un giorno siamo tutti uniti nel celebrare il grande malato: la Terra. Gli Stati annunciano iniziative, i privati le loro proposte per un mondo migliore e ogni ente che si rispetti si prodiga nell’inviare mail con cui rilanciare idee per la cura.

Poi succede però, ogni benedetto anno, che a comandare è una politica che guarda il dito e non la luna”, puntando ancora sui combustibili fossili che accelerano la malattia, su deforestazione, sovrapesca, allevamenti intensivi, pesticidi, politiche più improntate ai consumi che al ripristino naturale della biodiversità e così il monitor dei segnali vitali del Pianeta, anno dopo anno, continua a mostrare emissioni climalteranti in crescita, condannando il futuro del malato.

Sta succedendo anche nel 2023, nonostante il medico curante, la Scienza, continui a prescrivere terapie che vengono costantemente ignorate o rimandante. Nella frustrazione però ci sono segnali incoraggianti, “di una rivoluzione dal basso” quella che serve per fare «pressione sulla politica affinché tratti la crisi del clima davvero come una emergenza e non solo per consensi», racconta il Fisico del clima del Cnr Antonello Pasini, che in occasione della Giornata della Terra confida i suoi pensieri a La Svolta.

Anche quest’anno celebriamo la Gironata della Terra senza però vedere grandi soluzioni all’orizzonte per il collasso climatico. Da scienziato che si occupa di clima, quanto è frustrante?

Tutti quanti abbiamo la memoria corta, a cominciare dai politici: si guarda sempre l’emergenza, il consenso elettorale, ma senza mai avere il quadro generale. Questo è estremamente pericoloso per il futuro della Terra. Pensiamo a ora: bisogna risolvere una crisi energetica e che si fa? Per l’urgenza si punta a cercare gas ovunque, al carbone, a forme veloci per avere energia. Forse risolvi la crisi nel breve periodo, ma poi finisci per fare del male alla crisi globale e climatica, che va sempre peggio. Perdere la visione globale è grave. E questo fa male. Pensiamo anche alla siccità: quando è che la inquadreremo nel contesto globale della crisi climatica, anziché parlare solo di emergenza temporanea?

Già, la siccità ogni volta viene descritta come eccezionale. Ma ormai non è più una anomalia…

In Italia se anche dovesse piovere nei prossimi due mesi in maniera normale difficilmente cambieranno le cose. Mi riferisco soprattutto al Nord dove manca in particolar modo la neve, assenza per cui soffre la Pianura Padana e l’agricoltura. Siamo molto sotto la media degli ultimi dieci anni: abbiamo avuto più anni siccitosi negli ultimi 15 che negli ultimi sessanta. Quindi non sono anomalie, non si possono definire “cicliche” come ha detto la Presidente Giorgia Meloni: è una tendenza chiara e non più eccezionale e va affrontata.

Lo scorso anno, come scienziati del clima, avete lanciato un appello all’esecutivo affinché mettesse al primo posto dell’agenda politica il surriscaldamento globale. Ma nulla è cambiato. Siete delusi?

Noi tiriamo dritto: stiamo andando avanti, fra un po’ comunicheremo alcune novità, ma non molliamo l’idea e la necessità di far sentire la nostra voce come comunità scientifica per fare sì che si affronti di petto la questione climatica. Dobbiamo fare pressing sulla politica.

Cosa pensa dei giovani e i movimenti che - anche con azioni radicali - tentano in ogni modo di metterci in guardia sulle sorti del Pianeta?

Quando il dito punta alla Luna lo stolto guarda il dito. Questi ragazzi probabilmente con le loro azioni forti, molte volte all’apparenza controproducenti perché poi la gente si arrabbia o critica, hanno mezzi discutibili ma l’obiettivo è chiaro: indicano la luna, che è il cambiamento climatico. Si può essere d’accordo o meno sul loro metodo, ma il problema reale rimane e va affrontato da parte dei piani alti.

Tra le tante crisi in corso quale la spaventa di più?

L’emergenza energetica è preoccupante. In Italia la crisi avrebbe dovuto fin da subito indurci a puntare sulle rinnovabili e a sbloccare decine di gigawatt che sono pronti per l’autorizzazione, invece quello attuale rischia di essere un dilazionamento continuo delle occasioni puntando a scelte, come il gas, non strategiche, che non hanno lo sguardo lungo dato che con i combustibili fossili si aggrava ulteriormente la crisi del clima che come sappiamo non passerà certo in dieci o vent’anni, anzi…

Anzi?

Il clima ha una inerzia, per risolvere i problemi e stabilizzare le temperature anche facendo bene ci vorranno decine di anni. La comunità scientifica ci ripete non a caso che dobbiamo stare entro i +1,5 gradi rispetto ai livelli preindustriali per evitare che si superino i punti di non ritorno. Se guardiamo alla biodiversità molti di questi punti sono a rischio già oggi. Per esempio i coralli sono praticamente spacciati: stiamo raggiungendo la soglia che li mette in seria difficoltà. Lo stesso può valere per i ghiacciai. Quelli italiani rispondono lentamente e oggi, che sono messi male, rispondono a temperature di venti-trent’anni fa. Con il mondo che si surriscalda a tale velocità è facile immaginarsi per loro, e per noi, un futuro nero. Probabilmente, anche se le temperature restassero nella media italiana, andare al 2100 perderemo almeno il 30% della superficie di volume dei ghiacciai. Dobbiamo adattarci: il problema vero è che con gli scenari peggiori, e possibili secondo i modelli scientifici, se non riusciremo ad arginare il surriscaldamento ne perderemo addirittura il 90%. C’è da mettersi le mani nei capelli: dove le prenderemo poi le risorse idriche necessarie per la vita?

In questo contesto di memoria corta e azione lenta nella riduzione delle emissioni, c’è comunque qualche segnale positivo, di speranza?

Sì. La sensibilità che aumenta, anche in Italia, fra le persone. La crescita di gruppi locali che si impegnano quotidianamente, i giovani, il fatto che il Papa ha detto che le parrocchie devono puntare sulle comunità energetiche. Quest’ultime sono estremamente importanti, possono essere un fulcro del cambiamento. Di recente sono stato a parlare in una scuola e mi ha fatto molto piacere sapere che anche l’istituto che mi ha invitato si stava preparando alla condivisione dell’energia basata sulle rinnovabili. Un bel segnale. C’è speranza in una rivoluzione, una pressione dal basso: se si muove il pubblico, il religioso, il privato e tutti gli altri attori, allora bisogna avere fiducia, ricordando però che poi molte delle scelte decisive arrivano dalla politica. è su questa che bisogna fare pressing per un vero cambiamento.

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