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“Salviamo il mondo facendo figli”: chi sono i pronatalisti?

Entro il 2100, 183 Paesi su 195 avranno tassi di fecondità inferiori a 2,1 nascite per donna, denuncia Lancet. A risolvere il problema ci pensano i miliardari delle Big Tech, aiutando le persone a fare più bambini. Come?
Credit: RODNAE Productions
Costanza Giannelli
Costanza Giannelli giornalista
Tempo di lettura 8 min lettura
21 aprile 2023 Aggiornato alle 10:00

La natalità è in crisi. Lo sentiamo ripetere continuamente: non si fanno abbastanza bambini. Anche se può sembrare un paradosso (visto che siamo ormai più di 8 miliardi sulla Terra e potremmo superare i 10 entro fine secolo) l’inverno demografico sta arrivando.

Cittadini sempre più vecchi, carichi per le casse dello Stato sempre più onerosi, crisi economica, per non parlare della scarsità di risorse e dell’emergenza climatica, sono scenari sempre più concreti.

Secondo lo studio pubblicato su The Lancet, 183 Paesi su 195 avranno tassi di fecondità totale inferiori alle 2,1 nascite per donna, entro il 2100: questa soglia, ha spiegato Charles Jones, professore di economia alla Stanford Graduate School of Business, «è la differenza tra la popolazione che cresce per sempre e la popolazione che diminuisce per sempre». Intanto, secondo i dati più aggiornati dell’Oms, 1 persona su 6 (il 17,8% del totale) ha problemi a concepire naturalmente.

Trovare una soluzione è necessario e chi se non i miliardari delle Big Tech poteva investirsi di questo faticoso compito?

Si fanno chiamare “pronatalisti”, rispolverando un termine che, nato nella Francia di Luigi XIV, ha attraversato i secoli per indicare le strategie governative di incentivazione delle nascite. Quella che sembra a prima vista una parola neutra (secondo le Nazioni Unite, più di un quarto dei Paesi del mondo ha politiche pronataliste come aiuti per il trattamento dell’infertilità o “baby bonus” in denaro), per molti è invece inquietante e scomoda per l’odore di costrizioni ed eugenetica che sembra accompagnarla.

Almeno sulla carta, il loro progetto è semplice e innocuo: aiutare le persone a fare più figli, in modo che la società come la abbiamo sempre conosciuta non collassi su se stessa. “Più figli per salvare il mondo” se dovessimo dirlo in modo sintetico. “L’immortalità attraverso i figli”, potrebbe essere un’altra buona sintesi.

Del resto, anche il miliardario per eccellenza, nonché padre di 10 figli e sostenitore della necessità di spingere le persone ad averne di più, Elon Musk ha twittato a più riprese relativamente al tema, profetizzando il collasso mondiale e addirittura una sempre più prossima fine del Giappone (il Paese con il più basso tasso di fertilità al mondo).

Il lungo articolo pubblicato su Business Insider, dal provocatorio titolo I superbambini salveranno mondo? mostra come il pronatalismo stia “prendendo piede nei ricchi circoli tecnologici e di venture capitalist” guidati da èlite imprenditoriali miliardarie e “persone come Malcolm e Simone Collins”. Anche secondo il Telegraph il pronatalismo, “collegato alle sottoculture del razionalismo e “dell’altruismo effettivo” (EA), e sostenuto dal calo dei tassi di natalità, ha guadagnato terreno nella Silicon Valley e nell’industria tecnologica in generale, in particolare nei suoi angoli più conservatori”.

Secondo Malcom Collins, che ha fondato assieme alla moglie pronatalist.org, c’è una spiegazione per la diffusione di questa filosofia tra i guru del tech: «è come se chiunque abbia familiarità con la scienza moderna e con le statistiche sia consapevole che si tratta di un problema e si concentri su si esso - ha spiegato al Telegraph - Il motivo per cui vedi che le persone della Silicon Valley sono attratte in modo sproporzionato da questo è che sono ossessionate dai dati e ricche abbastanza da poter guardare a queste cose, e che hanno anche abbastanza ricchezza e potere da non aver paura di essere cancellate».

Eppure, secondo Julia Black, autrice del pezzo su Bi, il motivo sarebbe meno razionale: “Mentre il futuro inizia a sembrare sempre più apocalittico ad alcune delle persone più ricche del mondo, l’idea del pronatalismo inizia a sembrare più eroica. È una proposta particolarmente adatta al marchio di arroganza della Silicon Valley: se l’umanità è sull’orlo del baratro e solo loro possono salvarci, allora devono alla società replicarsi quante più volte possibile”.

Malcolm e Simone Collins sono i 2 nomi più ricorrenti della galassia pronatalista. Secondo la coppia (che ha 3 figli e vorrebbe averne almeno altri 4, ma dice che si è impegnata per averne tra 7 e 13) l’umanità starebbe andando verso l’estinzione. A salvaci non saranno la possibilità di restare giovani più a lungo o di invertire il corso dell’invecchiamento (le strategie finora perseguite dai miliardari della Silicon Valley anche al prezzo di trasfusioni di sangue “giovane”) ma fare più figli, soprattutto con l’aiuto delle biotecnologie.

Nella loro visione ci sono uteri artificiali che “renderebbero la gravidanza veramente egualitaria”, un processo riproduttivo (in fase di sperimentazione nei topi) che consentirebbe di creare embrioni umani utilizzando pelle, muscoli, fegato o cellule del sangue, indotte a comportarsi come cellule di ovuli e sperma.

Alcuni esami embrionali vengono già oggi utilizzati per superare alcuni problemi di infertilità, ma la loro applicazione, in particolare se su larga scala, pone molti interrogativi: lo studio pubblicato sull’European Journal of Human Genetics definiva “l’uso di punteggi di rischio poligenico nei test genetici preimpianto: una pratica non provata e non etica” e secondo Nature “i test potrebbero portare all’inutile distruzione di embrioni vitali o indurre le donne a sottoporsi a ripetuti cicli di stimolazione ovarica per raccogliere più ovuli, per produrre più embrioni”.

Per questo, nella tecno-utopia (o distopia?) dei nuovi leader prenatalisti i critici vedono più un progetto volto a popolare il pianeta con i geni “migliori” e “superbambini” generati artificialmente piuttosto che impedire il collasso mondiale.

Incoraggio le persone responsabili, intelligenti e coscienziose ad avere figli, perché miglioreranno il futuro”, ha detto a esempio Diana Fleischman, professoressa di psicologia pronatalista presso la University of New Mexico e consulente per una start-up di selezione di embrioni al Telegraph.

“Molti osservatori sono turbati dal fatto che i pronatalisti si preoccupino meno di quanti figli stanno avendo le persone e più di chi li sta avendo - ha spiegato Black su Business Insider, sollevando nuovamente la questione della selezione eugenetica, che in questo caso si sovrappone a una selezione di classe - I bambini di famiglie ricche hanno sempre goduto di vantaggi, dall’assistenza sanitaria e nutrizionale di alta qualità all’istruzione costosa e alle attività extrascolastiche. Ora alcuni temono che le tecnologie di test genetici di gatekeeping daranno agli ultra-ricchi un altro vantaggio prima ancora che abbiano lasciato il grembo materno”.

Non è un caso forse, a questo proposito, che sia i Collins che Musk abbiano tra i loro progetti scuole e percorsi accademici per bambini “dotati” che promettono di rivoluzionare il mondo dell’insegnamento. La logica alla base del Collins Institute, spiega Black, riflette il loro pensiero in generale: “Se vuoi rendere il futuro migliore per tutti e potresti scegliere di aumentare drasticamente i risultati scolastici del 10% inferiore delle persone o dello 0,1% superiore delle persone”. Cosa sceglieresti? I Collins non hanno dubbi: lo 0,1%.

Quello dell’eugenetica, però, non è il solo aspetto controverso del pronatalismo. Anche se i Collins insistono sulla multiculturalità, come ricorda il Telegraph “il calo dei tassi di natalità è anche una preoccupazione comune dei neonazisti e di altri etno-nazionalisti, che credono di essere superati e ‘sostituiti’ da altre razze.

«Molte presunte preoccupazioni sul declino della fertilità sono in realtà idee razziste mal mascherate su che tipo di persone vogliono sul Pianeta», ha spiegato il demografo Bernice Kuang del Centre for Population Change del Regno Unito. Che in questo caso di debba sostituire il termine “razza” con “classe”?

L’altro aspetto è quello che il quotidiano britannico chiama “il problema del racconto dell’ancella” perché, spiega “per gli occidentali liberali, l’idea che abbiamo bisogno di avere più bambini può evocare immagini di Gilead di Margaret Atwood”.

L’elenco delle politiche che nei periodi più oscuri della storia hanno spinto la natalità attraverso pratiche patriarcali e spesso misogine è sfortunatamente lungo, ma ciò che è più preoccupante è l’attacco ai diritti riproduttivi delle donne che sembra interessare tutte le latitudini che si accompagna a un’incentivazione della natalità che va spesso nella direzione della discriminazione, come le agevolazioni pensionistiche destinate esclusivamente alle madri.

La Cina, a esempio, che dopo anni di limitazioni della libertà riproduttiva ha scoperto che non è altrettanto facile incentivare la natalità quando la popolazione inizia a declinare e invecchiare (senza dimenticare gli squilibri di genere), ha iniziato a limitare gli aborti. Ma inasprire le leggi o rendere difficile l’accesso all’Ivg è una strategia comune a molti Paesi, non solo agli Usa post Roe vs Wade, ma anche Polonia e Ungheria.

Certo, il pronatalismo promette di basarsi su libera scelta e, anzi, di essere “l’atterraggio morbido” per il collasso demografico che ci salverà da Gilead. Ma ormai lo sappiamo fin troppo bene: quando parliamo di diritti riproduttivi i confini sono labili e, una volta oltrepassati, potrebbe essere troppo tardi per invertire la rotta.

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