Economia

Donne ai vertici: a che punto siamo?

In Italia sono il 41% nei Cda nelle società quotate e il 13,7% se si considerano i ruoli esecutivi. Nel resto d’Europa, la situazione non è migliore
Credit: Cottonbro studio
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18 aprile 2023 Aggiornato alle 13:00

Sono state ufficializzate le nomine dei vertici delle maggiori società partecipate italiane: Eni, Enel, Leonardo, Poste Italiane e Terna. Queste nomine sono «frutto di un attento percorso di valutazione delle competenze e non delle appartenenze», ha dichiarato Giorgia Meloni.

Tra le conferme abbiamo Claudio Descalzi, Ceo di Eni, e Matteo Del Fante, riconfermato Ceo di Poste Italiane. Flavio Cattaneo, Vicepresidente di Italo, è stato invece nominato Amministratore delegato di Enel; l’ex Ministro dell’Ambiente durante l’esecutivo di Mario Draghi, Roberto Cingolani, ha assunto il ruolo di Amministratore delegato di Leonardo.

Ma le novità più importanti riguardano, senza dubbio, le nomine di Silvia Rovere come Presidente di Poste Italiane, e Giuseppina Di Foggia come Amministratrice delegata di Terna – società delle reti elettriche nazionali – diventando la prima donna a guidare una delle aziende più grandi a partecipazione pubblica.

Negli ultimi anni, in Italia, la presenza di donne nei consigli di amministrazione è aumentata: secondo lo studio realizzato dal Corporate Governance Lab dell’Università Bocconi di Milano, la percentuale di donne nei consigli di amministrazione nelle 50 società più quotate è superiore al 41%.

Un dato in linea con la Legge Golfo-Mosca del 2011, che impone che almeno il 40% delle poltrone degli organi collegiali e dei consigli di amministrazione delle società quotate sia riservato al genere meno rappresentato.

C’è, però, un risvolto negativo: la percentuale scende al 13,7% se si tiene in considerazione la presenza femminile in ruoli esecutivi; la percentuale scende ulteriormente al 12% per le posizioni gestionali di business.

Guardando, invece, al rapporto realizzato da Cerved su un campione di 1,2 milioni di società (non solo quelle quotate), notiamo che la presenza femminile nei consigli di amministrazione è pari al 27%: una percentuale decisamente troppo bassa. L’analisi conferma anche un forte divario territoriale e settoriale.

A livello geografico, la regione più virtuosa è il Lazio (28% le donne che ricoprono ruoli di ceo, amministratrici o amministratrici uniche), fanalino di coda è, invece, il Trentino Alto-Adige con una percentuale che scende al 19%.

A livello settoriale, le percentuali maggiori si riscontrano in quello sanitario e dell’assistenza sociale, non male anche l’istruzione. Percentuali estremamente basse per le attività economiche che si occupano di forniture elettriche e di gas e per il settore delle costruzioni (13%).

Dando, invece, uno sguardo a livello europeo notiamo che la situazione non risulta essere migliore. Secondo il rapporto Gdi (Gender Diversity Index), calcolato ogni anno da European Women on Boards (Ewob) in Unione europea solo il 35% dei membri dei consigli di amministrazione è composto da donne.

Una percentuale che scende vertiginosamente se si guardano le donne in posizioni apicali: 19%, contro l’81% degli uomini. Le donne Ceo, invece, su 668 aziende analizzate, risultano solo 50 (pari al 7%). Questo rapporto, inoltre, mette in evidenza che in un’azienda con a capo una donna, si ha un numero maggiore di donne in posizione di rilievo (38%).

I Paesi più virtuosi sono la Norvegia, la Francia e il Regno Unito, seguiti da Finlandia e Svezia. Alle ultime posizioni troviamo il Lussemburgo e la Grecia.

Un maggiore equilibrio di genere nel mondo lavorativo conviene, oltre che alle donne stesse, anche all’economia: il tasso di occupazione femminile, in Italia, è pari al 51,3%, ancora troppo basso. Raggiungere un equilibrio, cercare di colmare il gender gap, è fondamentale per incrementare la crescita del nostro Paese ma anche a livello globale.

Secondo una ricerca condotta da Consob, un’azienda maggiormente inclusiva, con un maggior numero di donne in posizioni di rilievo, risulta più attraente, più redditizia – ma anche più variegata a livello di istruzione e background professionale – e quindi registra un aumento significativo dei ricavi, come è stato anche calcolato dal Diversity Brand Index 2022.

Lo studio più completo, però, è stato condotto da The European House-Ambrosetti che ha deciso di lanciare un “Osservatorio permanente e indipendente sull’empowerment femminile”. L’analisi ha preso in considerazione i Paesi del G20 più la Spagna e ha fornito dei risultati sorprendenti: si stima che raggiungere il completo equilibrio di genere e lo stesso tasso di occupazione tra uomini e donne potrebbe generare un impatto economico annuale pari a 11,2 trilioni di dollari in questi Paesi, una cifra che corrisponde al 14% del Pil del G20.

È necessario, quindi, puntare prima di tutto su un vero e proprio cambiamento culturale e sulla completa distruzione degli stereotipi di genere. La strada è ancora lunga e il percorso procede a rilento, anche in quei Paesi che sono molto più avanzati, come i Paesi nordici.

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