Ambiente

Il Decreto siccità fa acqua da tutte le parti

La politica decisionista dei commissariamenti e del “superamento del dissenso” non può rispondere a crisi sistemiche. Ovvero, non basta.
Siccità: l'isola dei Conigli sul lago di Garda diventa raggiungibile a piedi (ANSA)
Siccità: l'isola dei Conigli sul lago di Garda diventa raggiungibile a piedi (ANSA)
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15 aprile 2023 Aggiornato alle 12:00

Siamo di fronte a crisi sistemiche ampiamente annunciate (che non faranno che peggiorare a causa della crisi climatica), a cui non si può pensare di dare risposte improvvisate e muscolari, in totale assenza di una strategia complessiva, che tenga conto delle cause e non solo degli effetti, che consideri un valore l’interazione tra i vari livelli istituzionali e la società civile (come indicato dalla direttiva europea acque e dagli obiettivi per lo sviluppo sostenibile al 2030, in particolare il 17).

La moltiplicazione degli invasi, incrementando l’intervento artificiale e dimenticando che il sistema infrastrutturale è già al collasso, risponde più che altro all’esigenza di moltiplicare i cantieri, ma, oltre a essere inefficace, può diventare addirittura deleteria, come segnalano le associazioni ambientaliste con il loro allarmato e nettissimo appello al Governo Meloni.

Il commissariamento, ennesima misura improvvisata e emergenziale, non può certo sostituire il recupero del ruolo delle autorità di bacino distrettuali e la pianificazione ordinaria, non può prescindere da un piano serrato di manutenzione che intervenga su un sistema vetusto e obsoleto, che è un vero colabrodo (oltre un terzo di perdite su media nazionale, con punte superiori al 50%).

Gli strumenti già in essere dovrebbero piuttosto essere potenziati e supportati, con l’istituzione di cabine di regia permanenti, con competenze integrate, che analizzino ed elaborino bilanci idrici, dati precisi e che possano garantire un monitoraggio costante.

Con tutta evidenza, inoltre, non potrà bastare chiedere parsimonia o sacrifici alle persone nella vita di ogni giorno, serve anche, e soprattutto, che la politica si prenda la responsabilità di un piano nazionale per il rinnovo delle infrastrutture idriche, serve che il sistema agricolo venga ripensato in ottica sostenibile, privilegiando le colture meno idroesigenti (e scoraggiando le altre), da una parte, e, dall’altra, promuovendo la diffusione di infrastrutture leggere e tecnologie di precisione che riducano drasticamente gli sprechi e che consentano il recupero delle acque meteoriche.

Serve la massimizzazione del riuso delle acque reflue cittadine e serve intraprendere un piano nazionale di ricarica delle falde sotterranee, di ripristino degli ecosistemi circostanti (in particolare le zone umide) e di implementazione di progetti di rinaturalizzazione e tutela e promozione della biodiversità, in chiave di adattamento alla crisi climatica e, in particolare, agli eventi siccitosi.

Al di là degli annunci sul “cambio di passo”, non ci sono buone notizie nè rilevanti novità: il Pnrr, tra l’altro, prevede investimenti entro il 2026 per la riduzione delle perdite della rete di distribuzione dell’acqua di 900 milioni di euro, quando l’Ocse nel 2013 stimava che dovremmo spendere 2,2 miliardi euro ogni anno per i prossimi 30 anni per far fronte alle necessità del Paese e per metterci in pari con il livello di investimenti per il mantenimento delle reti del resto d’Europa”. (Fonte dato: Cirf. Centro italiano per la riqualificazione fluviale).

Non ci siamo, insomma.

Nemmeno un po’.

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