Ambiente

Wishcycling, perché sei un problema

L’abitudine, anche italiana, di gettare nei bidoni della raccolta differenziata oggetti e materiali senza avere la certezza che il conferimento sia quello corretto ostacola l’economia circolare (e non solo)
Credit: Ron Lach
Tempo di lettura 3 min lettura
12 aprile 2023 Aggiornato alle 21:00

Nell’arco di 25 anni l’Italia è passata dall’emergenza rifiuti a essere uno dei Paesi più virtuosi al mondo, e il primo in Europa, per quanto riguarda il riciclaggio dei rifiuti. Nel 2020 la Penisola ha riciclato il 72% di tutti i rifiuti, urbani e speciali-industriali, superando nettamente la media dell’Unione europea, ferma al 53%.

Questo enorme progresso ha favorito il comparto industriale del riciclo, con la creazione di oltre 4.800 imprese e 236.000 occupati, per un indotto di 10,5 miliardi di euro.

Ma a fianco di questi virtuosismi, negli ultimi anni sta emergendo il problema del wishcycling, ovvero l’abitudine di gettare nei contenitori del riciclo oggetti e materiali che non possono essere recuperati.

La diffusione di questa pratica errata sta comportando diverse problematiche per le industrie addette al trattamento dei rifiuti, in quanto devono spesso rallentare le operazioni negli impianti di separazione, con un aumento dei costi.

Le prima avvisaglie del wishcycling hanno iniziato a emergere nel 2015 negli Stati Uniti, con le difficoltà dell’industria del riciclaggio in Minnesota. Ma l’attenzione globale è arrivata solo nel 2018 con l’intervento del Governo cinese nei confronti delle importazioni di materiale riciclabile dall’estero, attraverso l’operazione National Sword, che ha posto delle nette restrizioni e una diminuzione delle importazioni di rifiuti occidentali.

Una decisione politica-industriale che ha avuto notevoli ripercussioni in Europa e negli Usa, spingendo le aziende, i Governi e i cittadini a prendere atto del problema, iniziando a modificare la comunicazione e i comportamenti su queste precise tematiche.

Nonostante le buone intenzioni e la volontà di contribuire alla sostenibilità ambientale, molti cittadini commettono diversi errori nell’identificare e confinare correttamente i rifiuti, a causa anche di indicazioni spesso confusionarie o poco adatte a facilitare la gestione del materiale riciclabile.

Il wishcycling sembra coinvolgere particolarmente i rifiuti derivanti dalle materie plastiche, dove i codici di identificazione del materiale possono indurre all’errore, in quanto ben pochi sono consapevoli del fatto che solo polietilene, Pet e polietilene ad alta densità possono essere facilmente riciclati. «Abbiamo reso davvero complicato qualcosa che potrebbe essere abbastanza semplice. E questo è abbastanza frustrante per il pubblico che vuole fare la cosa giusta quando si tratta di riciclare», ha sottolineato Libby Peake, consigliere senior del think tank ambientale Green Alliance.

La mancanza di uno standard globale adottato in maniera univoca per quanto riguarda le pratiche di riciclaggio, ha contribuito alla confusione e al diffondersi del wishcycling, complice anche la disattenzione delle multinazionali e delle autorità preposte al controllo.

Per risolvere questo problema che ostacola l’economia circolare su scala globale, le aziende di gestione dei rifiuti, varie associazioni, enti e gruppi di attivisti, hanno lanciato una serie di campagne per sensibilizzare l’opinione pubblica.

Oltre a incentivare la cittadinanza a prestare più attenzione alle indicazioni presenti sui rifiuti, si sono moltiplicati i siti per guidare l’utente e sono state create delle app per facilitare la gestione della spazzatura. Ulteriori progressi potranno arrivare dalle nuove norme governative, che dovranno imporre dei packaging pienamente riciclabili e riutilizzabili.

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