Ambiente

Italia: poca decarbonizzazione, tanto gas e rinnovabili ferme

Nonostante l’addio alla dipendenza dai combustibili russi, il Belpaese sembra comunque voler puntare sul fossile estero. Inoltre, non ha ancora nominato il suo inviato speciale per il clima
Credit: ANSA/ETTORE FERRARI.   
Tempo di lettura 4 min lettura
28 marzo 2023 Aggiornato alle 10:20

Un paio di mesi dopo la sua elezione, Giorgia Meloni ha partecipato (tra i primi impegni internazionali) alla grande Conferenza delle parti sul clima in Egitto: in quell’occasione, la neo Premier ha ribadito alla platea internazionale che «l’Italia resta fortemente impegnata a proseguire il suo percorso di decarbonizzazione, nel pieno rispetto degli obiettivi dell’Accordo di Parigi».

Eppure, di quel percorso di decarbonizzazione, oggi è rimasta pochissima traccia. In un Paese dove, ha ricordato di recente Legambiente, le rinnovabili vanno a rilento (a causa di autorizzazioni bloccate da Regioni, soprintendenze e comitati Nimby, nonostante non manchino elementi chiave della transizione energetica come sole, vento e acqua) si continua a puntare sui combustibili fossili.

Più che a progetti di energie pulite, tanto annunciati ma poco realizzati (vedremo ora i tempi del famoso sviluppo delle comunità energetiche), lo Stivale crede nel fossile: in primis nel gas. In quel rapporto che lega a doppio filo l’esecutivo e l’Eni, multinazionale dell’oil and gas dai profitti ricchissimi, il Governo Meloni ha apertamente messo al centro la caccia al gas di altri Paesi per smarcarsi dalla dipendenza russa.

Con gli accordi con Algeria, Azerbaijan, Libia o con i Paesi del Nord Europa, le forniture necessarie sono per ora assicurate e l’Italia del noto “Piano Mattei” (anche passando per Israele) punta a candidarsi come hub del gas del Mediterraneo.

Tutte azioni che, ha ricordato anche recentemente il Financial Times, sembrano allontanare l’Italia dai suoi obiettivi climatici e, soprattutto, dagli accordi internazionali sul clima. Per esempio a Cop26, insieme ad altre Nazioni, il Belpaese si era impegnato a porre fine a tutti i nuovi finanziamenti pubblici per i progetti di combustibili fossili all’estero entro la fine del 2022. Un accordo che, a causa delle ripercussioni post invasione russa in Ucraina, non è stato rispettato: gli effetti della guerra sono diventati spesso l’occasione per concludere nuove strette di mano sui combustibili fossili pur di ridurre le dipendenze da Mosca.

Attraverso il mantra della “sicurezza energetica” continueranno, dunque, le esplorazioni di gas e di petrolio, anziché raddoppiare le energie rinnovabili e investire per migliorare l’efficienza energetica in modo da ridurre i consumi. Una strategia che, come ha ricordato Luca Bergamaschi, co-fondatore di Ecco (think tank sul clima) al Financial Times, «è molto deludente».

Il gas resta dunque (oltre che ben lontano dai criteri di decarbonizzazione) il principale obiettivo italiano, dagli accordi internazionali siglati da Meloni sino a quelli in Libia trovati da Eni per i giacimenti offshore, il tutto in direzione opposta a quanto richiesto dagli scienziati dell’Ipcc che ci indicano come dovremmo smetterla subito con le nuove esplorazioni di combustibili fossili, per tentare di arginare la crisi del clima.

Non solo: a preoccupare lo scenario internazionale oltre la caccia al gas estero dell’Italia (e l’uso di fondi Ue per politiche lontane da quelle del Green Deal), ci sono le continue posizioni dell’Italia “di traverso” ad altri Paesi europei riguardo le trattative delicate per il futuro del clima, come per esempio l’opposizione allo stop alle auto a diesel e benzina dal 2035, oppure i no sulla direttiva case green.

Infine, un dettaglio non da poco: l’Italia non ha ancora nominato il suo inviato speciale per il clima da quando Alessandro Modiano si è dimesso a inizio anno. Un altro segnale di quanto poco (almeno a fatti) il nuovo esecutivo sembri dar peso concreto alla questione climatica.

Leggi anche
Luisa Neubauer, Greta Thunberg e Lakshimi Thevasagayam al villaggio di Luetzerath, in Germania, il 13 gennaio 2023. Luetzerath (Renania settentrionale-Vestfalia) vorrebbe far posto alle miniere di lignite. La miniera a cielo aperto di Garzweiler, gestita dal fornitore di energia tedesco RWE, è al centro delle proteste di persone che vogliono che la Germania smetta di estrarre e bruciare carbone
World Economic Forum
di Giacomo Talignani 5 min lettura
Energia
di Jacopo Gitti 3 min lettura