Ambiente

Amazzonia: a riforestarla ci pensano le startup

A tre mesi dall’insediamento del Presidente Lula, che ha promesso di contrastare la deforestazione del Polmone verde, sono molti i progetti di rimboschimento presi in considerazione
Credit: boudewijn_huysmans
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21 marzo 2023 Aggiornato alle 07:00

Il Brasile riparte dalle start-up per riforestare l’Amazzonia. Le foreste, celebrate il 21 marzo nella loro Giornata Internazionale, assorbono una grande quantità di anidride carbonica. In particolare quella amazzonica è considerata un’alleata fondamentale contro la crisi climatica.

La regione però è stata devastata per anni, per creare spazio per gli allevamenti illegali di bestiame, per l’estrazione dell’oro e l’esportazione di legname.

Solo nel 2022, secondo l’associazione no profit Imazon, è stata rasa al suolo, quotidianamente, una superficie equivalente a 3.000 campi da calcio, grazie alla complicità del Governo di destra guidato da Jair Bolsonaro, accusato di aver allentato i controlli.

Lula, eletto a ottobre, si è impegnato a cambiare marcia e a riportare la tutela dell’ambiente al centro dell’attenzione. Per ora gli sforzi del suo esecutivo si sono concentrati sul rafforzamento delle normative contro il disboscamento.

Molte società private invece stanno mettendo a dimora nuovi alberi e sta ripristinando lentamente il bioma amazzonico. Per esempio la startup Mombak in due anni ha piantato 3 milioni di alberi su quasi 3.000 ettari nello stato del Pará. Si tratta di uno dei progetti più grandi di questo tipo, ma non è il solo.

Le startup acquistano o affittano terreni, piantano alberi e li sostengono, tramite la vendita di crediti di carbonio. Il metodo è semplice: gli acquirenti, finanziando la piantumazione di nuovi alberi, compensano l’inquinamento prodotto dalle loro attività. Ogni compensazione rappresenta una tonnellata di emissioni evitate o rimosse dall’atmosfera.

L’efficacia di tale sistema è ancora in discussione, tuttavia rappresenta un’opportunità di riforestazione: solo la parte brasiliana dell’Amazzonia (una piccola parte dell’ecosistema che copre nove Stati), si estende per circa 400 milioni di ettari. Più di 54 milioni di ettari quadrati del bioma - un’area 1,3 volte più grande della California - sono pascoli adatti per piantare alberi.

Secondo gli scienziati del Project Drawdown, una società no profit di consulenza sulla riduzione dei gas serra, il rimboschimento delle foreste tropicali e temperate potrebbe rimuovere fino a 113 gigatonnellate di CO2 dall’atmosfera da qui al 2050.

I tempi di crescita degli alberi sono lenti e la crisi climatica corre: le emissioni globali hanno raggiunto quasi 38 gigatonnellate nel 2021, secondo il database internazionale Edgar.

Per recuperare l’Amazzonia, si sta vagliando anche il metodo delle silvopasture, ovvero l’integrazione degli alberi con il bestiame, la piantumazione di alberi su territori degradati, l’utilizzo di colture perenni (cioè non stagionali), l’utilizzo di piante basse e di progetti di agroforestazione, che uniscono a piante selvagge altre piante da frutto.

Questo ecosistema è fondamentale per mitigare i cambiamenti climatici: le correnti d’aria, note come “fiumi volanti”, trasportano l’umidità, e dunque l’acqua, dall’Amazzonia attraverso l’America latina, fornendo un importante sostegno all’agricoltura, tormentata dalla siccità, e all’industria. A livello locale, può creare posti di lavoro e generare reddito, anche tramite i crediti di carbonio.

Le operazioni di rimboschimento non sono sempre semplici. La penuria di semi di alberi crea un collo di bottiglia per tutte le startup del settore.

Poi bisogna svolgere costanti controlli e sensibilizzare la popolazione locale, per evitare che gli incendi, colposi o dolosi, vanifichino ogni sforzo. Inoltre, una recente inchiesta dei quotidiani The Guardian e Die Zeit ha rivelato le carenze di Verra, una delle più grandi società di carbon credits legati all’Amazzonia, nel certificare l’efficacia dei progetti di rigenerazione della foresta. Questo ha messo in crisi la credibilità del meccanismo.

Per i critici, non sempre la riforestazione offre i benefici ambientali promessi. Il basso costo dei crediti, alcuni da 5 dollari, non incentiva le aziende a non inquinare. Può essere poi difficile valutare la qualità dei crediti, in un mercato che è ancora poco regolamentato.

Sul fronte delle riforme però qualcosa si sta muovendo. L’Integrity Council for the Voluntary Carbon Market, una task force internazionale inizialmente guidata dall’ex governatore della Banca d’Inghilterra Mark Carney, quest’anno dovrebbe annunciare una serie di regole per favorire il mercato “buono”.

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