Ambiente

Dobbiamo imparare a convivere con i castori

I roditori sono tornati in Italia: prima in Friuli-Venezia Giulia poi in Alto Adige, ora in provincia di Arezzo. Forse illegalmente. E ci si chiede: bisogna cacciarli via? L’ecologia e il buon senso rispondono no
Credit: indipendent.co.uk 

Alberi abbattuti e piante rosicchiate lungo i corsi d’acqua: sono i segni indistinguibili della presenza di uno dei pochi roditori capaci di attrarre la simpatia di grandi e piccoli, il castoro che, dopo quasi 500 anni dalla sua scomparsa determinata dagli esseri umani, sta tornando nel panorama italiano.

Il primo avvistamento risale al 2018, nella zona di Tarvisio (Friuli-Venezia Giulia) e riguarda un esemplare soprannominato Ponta; poi in Val Pusteria (Alto Adige) nel 2020. Qui è arrivato in modo del tutto naturale dall’Austria Meridionale, in particolare dalla Carinzia, dove alcuni progetti di reintroduzione sviluppati una trentina di anni fa e un territorio ricco di laghi e fiumi hanno fatto sì che questo simpatico roditore si stabilisse facilmente nel territorio.

Tuttavia, se in queste regioni ci si inizia ad abituare pian piano al nuovo abitante (anzi, la popolazione sembra averlo accettato con calore e curiosità), il rischio è che ciò non accada nella zona di Sansepolcro, in provincia di Arezzo, a 40 chilometri dalla sorgente del Tevere.

Com’è arrivato il castoro tra Umbria e Toscana?

È questa la domanda a cui stanno cercando di rispondere i tecnici di Ispra, l’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale, secondo cui l’ipotesi più probabile è che ci si trovi di fronte a quello che potrebbe essere a tutti gli effetti un caso di reintroduzione illegale nel territorio da parte di personale non autorizzato. Ovviamente, sono in corso tutte le verifiche del caso ma un “viaggio” spontaneo sarebbe da escludere, visto che coprire la distanza che va dal Nord-Est al Centro Italia sarebbe, per il castoro, un’impresa davvero eccezionale.

Le zampe posteriori di questo rosicchiatore sono infatti unite da una membrana che gli permette di muoversi con agilità in acqua e, nonostante gli esemplari vivano per i primi 2 anni di vita in colonie per poi spostarsi in cerca di un proprio territorio, diffondendosi a velocità anche elevate, la configurazione del territorio italiano e la grande distanza che separa le 2 aree in cui è oggi presente non giustificano un arrivo naturale.

Un ritorno dal passato

Fino a qualche secolo fa l’areale dei castori si estendeva dall’Europa occidentale all’Asia centrale, ma è stato presto portato sull’orlo dell’estinzione (tranne in alcune zone della Polonia, Norvegia e Bielorussia) a causa di una spietata persecuzione da parte degli umani, che lo hanno cacciato per la sua folta pelliccia, la carne e il castoreo, una sostanza gialla e oleosa prodotta dalle ghiandole perianali dell’animale. Quest’ultima, infatti, grazie all’aroma vanigliato dovuto alle piante di cui si nutre, è stata ampiamente utilizzata in medicina (per esempio, per curare il mal di testa) così come nell’industria cosmetica e, in particolare, nella creazione di profumi.

Tuttavia, grazie a numerosi progetti di riproduzione in cattività e reintroduzione, pian piano il castoro ha ripreso a ri-colonizzare il Vecchio Continente, tanto che in Austria è presente in tutte le province federali: nel 2018, gli esemplari stimati si aggiravano tra i 7.100 e i 7.800.

Il dibattito: bisogna spostarli?

Se è vero che il castoro si sta espandendo in tutta Europa, lo è anche il fatto che la sua presenza può generare situazioni di conflitto e, per evitare il peggio (soprattutto per l’animale), ci si interroga ora sull’eventualità di rimuovere almeno il nucleo introdotto illegalmente. Ma sarà la scelta giusta? L’ecologia e il buon senso dicono di no.

Il castoro, infatti, è un cosiddetto “ingegnere” degli ecosistemi e numerosi studi hanno dimostrato come la sua presenza sia di enorme beneficio per la biodiversità e gli ecosistemi acquatici in generale, tanto che in Bavaria viene utilizzato per la gestione delle aree umide, che sappiamo essere tra gli ambienti più a rischio a causa degli impatti dei cambiamenti climatici e dell’inquinamento.

Rosicchiando gli alberi e costruendo dighe, infatti, i castori creano habitat che, negli anni, sono stati distrutti da una cattiva gestione antropica del territorio e favoriscono il ritorno di molte specie che usano le aree umide come luoghi di riproduzione e riposo.

Le loro dighe formano pozze d’acqua che rappresentano microhabitat-rifugio per anfibi, pesci, uccelli acquatici, rettili, pipistrelli, macro e microinvertebrati di acqua e suolo che, peraltro, sono bioindicatori fondamentali. Senza contare il ruolo che sembra abbiano nel diminuire naturalmente la presenza di specie aliene come la nutria, la cui diffusione sul territorio è anch’essa responsabilità dell’essere umano che, dopo aver sfruttato questa specie a suo piacimento, l’ha rilasciata irresponsabilmente sul territorio e ora lotta per estirparla (con metodi che definire atroci è limitante).

Inoltre, è ben nota la capacità del castoro di attrarre le simpatie delle persone e, proprio come accade con l’orso marsicano in Abruzzo, la sua presenza può essere intelligentemente usata dalle autorità locali per promuovere le aree naturali dislocate nei territori dove la sua presenza è confermata, e sviluppare allo stesso tempo progetti di sensibilizzazione relativi all’importanza di rispettare le altre specie.

Infine, ed è bene ricordarlo, il castoro è una specie particolarmente protetta da tutte le norme e le Direttive Europee: quindi, una sua gestione errata che ne provochi la scomparsa sarebbe da considerarsi contro la normativa.

Dalla gestione alla convivenza

Che l’essere umano abbia sempre pensato di poter gestire l’ambiente naturale e le altre specie a suo piacimento non è una novità. Ma questa evidenza risulta ancora più grave in un momento storico caratterizzato da quella che, ormai, è bene chiamare con il suo nome: la sesta estinzione di massa, che sta portando alla scomparsa di specie che, senza il nostro zampino, non avrebbero di certo finito il loro ciclo evolutivo sul Pianeta.

È fondamentale comprendere che le specie selvatiche nel nostro territorio esistono, si espandono e hanno necessità. E quando le loro necessità si scontrano con quelle percepite come fondamentali dalle persone (scatenando così situazioni di conflitto), non si può reagire abbattendo gli esemplari o spostandoli a nostro piacimento, come si continua a fare in ogni regione. Ne è un esempio lampante il nuovo caso dell’orso MJ5 che, dopo 18 anni di permanenza nel territorio Trentino, si è difeso da quella che è a tutti gli effetti un’ignorante invasione del suo spazio da parte di un essere umano impreparato e dal suo animale domestico.

Esiste una parola, “convivenza”, che dovrebbe essere adottata come comportamento basilare e precondizione necessaria e sufficiente alla frequentazione umana della natura. Se vogliamo continuare a vivere in un mondo abitato da altre specie, o meglio, se vogliamo continuare a sopravvivere grazie all’esistenza di specie diverse dalla nostra, è fondamentale imparare a riconoscere i comportamenti della fauna selvatica, comprenderne l’importanza e il ruolo.

In questo, le istituzioni, hanno un dovere e un ruolo imprescindibile: e non è quello di far credere che, quando una specie infastidisce, questa possa essere eliminata. Bisogna educare i cittadini al rispetto e alla conoscenza. Doti ormai rare ma non per questo ignorabili ancora per molto tempo.

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