Ambiente

Cara Elly Schlein, faccia la rivoluzione green

L’Italia ha bisogno di politiche ambientali nuove e concrete e sono sicuro che lei saprà proporle. Ecco quindi alcune priorità per le quale battersi fin da subito
Credit: ANSA/JESSICA PASQUALON

Cara Elly Schlein,

la presente per complimentarmi per il suo passaggio alla guida del Partito Democratico, quella che dovrebbe essere la più grande forza progressista d’Italia. Donna, giovane, intraprendente, dinamica, con una spiccata attenzione ai problemi sociali: la sua elezione è una novità a cui guardo con grande attenzione e speranza.

Auspico infatti che vorrà fare del Partito Democratico il vero motore del cambiamento, a partire dalle politiche ambientali. È ormai inderogabile infatti rispondere con coraggio e determinazione, alle istanze mosse in particolare dalle nuove generazioni, quelle più atterrite dal futuro devastante che gli stiamo lasciando in eredità.

Poiché, ne converrà anche lei, è dal precario stato di salute del nostro Pianeta che discendono le crisi ormai croniche che attanagliano l’umanità.

Esacerbazione dei fenomeni climatici, disuguaglianze economiche, crisi migratorie, conflitti, perdita di biodiversità, estinzione di molte specie animali, hanno tutti un’unica matrice: la mancata consapevolezza della questione ambientale, un tema che dovrebbe essere al primo posto nell’agenda di chiunque oggi voglia porsi alla guida di un movimento politico e che invece è quasi sempre relegato, per di più con grande approssimazione, agli ultimi punti dei programmi elettorali.

Cara Schlein, bisogna passare con urgenza ai fatti, affrontando alcune priorità che a seguire riassumo in quattro punti.

Abbandono delle fonti fossili in favore delle cosiddette rinnovabili

In Europa solo il 37% del fabbisogno energetico è coperto da risorse compatibili con l’ambiente. Il nostro Paese è nella media, con poco più di un terzo dell’energia prodotta derivante da tecnologie green, nonostante l’esposizione solare favorevole, i venti che giungono rigogliosi dal mare senza interferenze orografiche, l’abbondante presenza di fiumi e bacini idrici (siamo all’8° posto in Europa) e il moto ondoso, risorsa ancora troppo poco considerata e di cui potremmo disporre grazie ai nostri 8.300 chilometri di coste.

A livello operativo possiamo prendere esempio da Islanda e Norvegia che grazie alle fonti rinnovabili producono più energia di quella consumata. Ma anche dall’Austria e dalla Svezia che con fotovoltaico, eolico, geotermico e idroelettrico, coprono rispettivamente il 78,2% e il 75% del proprio fabbisogno. Oltre quota 50% anche la Danimarca (65%), il Portogallo (58%), la Croazia e la Lettonia (53%).

I limiti che spingono ancora alcuni a scommettere su carbone, nucleare e trivellazioni sono evidentemente mentali, se non strumentali alle logiche di un approccio, quello capitalistico, che è all’origine stessa del disastro ambientale di cui siamo oggi spettatori. False soluzioni che, spero ne converrà, non dovrebbero far parte della strategia che dovremmo adottare per risolvere il problema energetico nel nostro Paese.

Sprechi e contaminazioni dell’acqua

Sono necessari radicali interventi di manutenzione della rete idrica che in diverse zone d’Italia risulta fatiscente, con tubazioni (spesso in cemento e amianto), che hanno raggiunto ormai il fine-vita. Da ciò derivano dispersioni e il conseguente spreco di acqua potabile che, secondo i dati diffusi nel 2021 dall’Autorità per l’energia elettrica, il gas e il sistema idrico, si assesta nel nostro Paese al 34,7%. In altre parole circa un terzo dell’acqua potabile immessa nella rete viene persa a causa di tubature difettose o rubinetti non adeguatamente serrati.

Ad aggravare la situazione, la mancanza di coordinamento tra i vari enti preposti alla gestione delle risorse idriche in Comuni e regioni; una frammentazione che complica ulteriormente la gestione di quello che è (e deve restare) un bene comune.

E se tutto ciò è inaccettabile per principio, visto che l’acqua è una risorsa imprescindibile per la vita sulla Terra, lo è ancora di più alla luce degli estesi casi di siccità che hanno colpito l’Italia.

Per di più oggi dove l’acqua c’è, è spesso contaminata. Accade in alcune aree della Campania a causa di sostanze chimiche e metalli pesanti derivanti dallo smaltimento illegale di rifiuti, ma anche in Veneto dove abbonda il tetracloroetilene impiegato come solvente in vari processi industriali. A compromettere la potabilità del prezioso liquido in Puglia e in Sicilia sono invece per lo più i nitrati derivanti dall’uso di fertilizzanti e pesticidi.

Anche in Sardegna la qualità delle risorse idriche è sovente compromessa da elevate quantità di arsenico presente (questa volta non per colpa dell’uomo) nelle rocce vulcaniche che ne compongono il sottosuolo.

A causa di quanto esposto i costi dell’acqua a uso domestico tendono ad aumentare con conseguenze pesanti per i consumatori: negli ultimi 10 anni sono cresciuti al ritmo dell’1% annuo per arrivare a superare un +10% complessivo.

Inquinamento atmosferico e carenza di aree verdi

Secondo i dati diffusi dall’Agenzia europea dell’ambiente (EEA), l’Italia è al terzo posto, dopo Polonia e Romania, nella classifica europea dei Paesi con la maggiore mortalità attribuibile all’inquinamento atmosferico.

Le principali fonti di contaminazione in Italia sono ben note: il traffico stradale, l’industria, il riscaldamento domestico e l’agricoltura intensiva a cui si attribuiscono emissioni di gas serra, particolato fine e polveri.

È tassativo dunque intervenire repentinamente con la riduzione del traffico veicolare, la realizzazione di piste ciclabili e di colonnine per la ricarica di veicoli elettrici e la promozione di modelli di coltivazione sostenibile. Va poi incentivato il cosiddetto smart working e potenziato il trasporto pubblico regionale così da decongestionare i centri urbani e al tempo stesso favorire un progressivo ripopolamento delle più salubri aree rurali.

Oltre a ciò i Comuni dovrebbero ampliare le aree verdi disponibili, investendo anche in orti urbani, giardini verticali, serre e fattorie cittadine, grazie ai quali una parte significativa del cibo consumato potrebbe essere prodotto localmente, a chilometro zero e a prezzi concorrenziali.

Nei centri urbani italiani c’è troppo cemento e poca natura. Roma, per fare l’esempio più virtuoso, è la prima città in Italia e la seconda in Europa per superficie verde pubblica disponibile. Dividendo i suoi 14,6 chilometri quadrati di parchi e giardini per 2.800 milioni di abitanti, otteniamo 5,21 metri quadrati. Poco più della metà di quanto raccomandato dall’Organizzazione Mondiale della Sanità, secondo cui per incidere positivamente sulla salute mentale e fisica degli individui, le città dovrebbero offrire almeno 9 metri quadrati di verde pro capite.

Se fossimo in grado di porre finalmente un freno alla contaminazione dell’aria, ne trarrebbe beneficio anche l’economia. Uno studio pubblicato nel 2018 dalla Fondazione Cittadella della Salute e dal Centro di Ricerca sulle Malattie Ambientali dell’Università Cattolica di Roma, ha stimato infatti che le malattie legate all’inquinamento atmosferico costano circa 54 miliardi di euro all’anno, pari al 3% del Pil italiano.

Desertificazione: estinzione del contenuto organico del suolo

In Italia il 28% del territorio è a rischio desertificazione. Pratiche agricole intensive, erosione, gestione inadeguata dei residui di coltura e riduzione della biomassa vegetale, hanno abbattuto il contenuto organico necessario a colture rigogliose e con adeguato contenuto nutrizionale.

La progressiva desertificazione non incide solo sulla produttività agricola, ma danneggia l’economia rurale e causa perdite di posti di lavoro, aumento dei prezzi dei prodotti alimentari e migrazione in massa verso i centri urbani.

Occorre preservare il suolo e avviare concrete politiche per rivitalizzarlo così da riportare il contenuto organico ad almeno il 3%, ossia il valore minimo per ottenere raccolti sufficientemente nutrienti. A tal proposito segnalo i Manuali di Politica Globale realizzati da un nutrito gruppo di studiosi per conto del movimento Save Soil - Conscious Planet. Suddivisi per 7 macro aree geografiche (Africa, Asia, Europa, America Latina e Caraibi, Medio Oriente e Nord Africa, Nord America e Oceania), forniscono raccomandazioni che i Governi possono adottare al fine di rivitalizzare il suolo della propria nazione.

Nel vademecum Pratiche specifiche di gestione sostenibile del suolo, invece, vengono suggeriti 700 metodi pratici per la rigenerazione dei terreni agricoli.

Cara Schlein, di temi da affrontare ce ne sarebbero molti altri. Qui, con qualche esempio eclatante, ho voluto più che altro mostrare quanto la politica italiana sia stata finora troppo poco efficiente e niente affatto lungimirante in materia di tutela e rigenerazione ambientale.

Ritengo che la narrazione del presente debba finalmente emanciparsi dal dualismo uomo-natura e promuovere di contro una visione olistica, fondata sul principio, non solo spirituale ma scientifico, dell’interconnessione e dell’interdipendenza tra le parti del sistema.

«La natura – diceva Aristotele – non fa niente inutilmente».

L’uomo, purtroppo, sì.

Buon lavoro.

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